Se volessimo ricercare nelle ragioni della nascita di Pomposa un qualche carattere di specificit riusciremmo del tutto delusi. Forse cappella nel secolo VI, forse semplice chiesa alla met dell'VIII, forse monastero benedettino dalla met del IX [1]. E neppure ci sarebbe possibile rinvenire una qualche singolarit – se non a costo di decise forzature - nella rivendicazione di Pomposa alla Santa Sede, particolarmente in quella di Giovanni VIII dell'874 [2], da inquadrare, come giustamente stato notato nelle preoccupazioni di funzionalit pubblica nei confronti dei liberi [3]. In effetti, il reale problema storiografico, per il nostro monastero, non certo quello delle origini - privo com' di fondatori santi n corpi o reliquie insigni cui ancorare speciali devozioni [4] -, quanto piuttosto quello del ruolo specifico svolto da Pomposa nell'orizzonte della sua azione e della sua area d'influenza, solamente a partire da quando, raggiunta una solida seppure tutto sommato modesta struttura economica ed organizzativa, le questioni dello spirito si presentarono urgenti, e soprattutto superiori a quelle legate alle necessit di un normale funzionamento monastico. Non stupisca una tale impostazione, in un lavoro dedicato ai rapporti di Pomposa - condizionanti e simultaneamente condizionati - con i poteri grandi, vicini e lontani, quando si consideri che perfino le scelte di operativit pi minuta si mostrano frutto di meditate posizioni in largo senso ideologiche, informative perfino delle decisioni a prima vista di mera opportunit, o semplicemente tecniche [5]. Scontando naturalmente - ma tutto ovvio e nulla banale - che non ci fu mai, n a Pomposa n altrove, un chiaro e preliminare disegno delle linee d'azione da attuare, e che le ragioni contingenti dei luoghi, dei personaggi, delle situazioni, ebbero un peso che ci pressoch impossibile ricostruire perfettamente. Naturalmente noi abbiamo il dovere di chiederci perch quegli uomini presero quelle decisioni, ma siamo ben consci di essere condannati ad una verit parziale, nella migliore delle ipotesi: l'aria che respiriamo noi non l'aria dei monaci di Pomposa nei secoli centrali del Medioevo.
Allo stesso modo non pare si possa rilevare una qualche linea di comportamento autonomamente consapevole del monastero, tra Ravenna, Roma, i marchesi di Toscana prima, i Canossa poi e l'impero, diversa dall'offrirsi come oggetto all'azione politica, eminentemente strumentale, di quei grandi protagonisti della scena italiana tra IX e XI secolo, se si prescinde da quel che sappiamo di alcuni dei suoi abati e dalla considerazione dei contemporanei. Per dire che l'attribuzione giurisdizionale, come del resto le vicende pi squisitamente economiche, non danno ragione di nulla di decifrabile, nel senso di peculiare – che poi la ragione giustificatrice di ogni indagine storica che non voglia ridursi a cronaca -, almeno per noi, mentre la collocazione, la pi ricca possibile, dei pi ragguardevoli fra i pomposiani e dei loro frutti pratici, etici, liturgici, letterari e comportamentali insieme, nell'ambito culturale ed ecclesiologico proprio, pu illuminare sulla razionalit della parabola del monastero anche in questi secoli, tanto vivaci quanto problematici sotto il profilo interpretativo.
Partiamo da quanto gi acquisito. Ovidio Capitani ha identificato tre momenti della storia del monastero nel periodo nodale della riforma della chiesa: il significato dell'esperienza monastica a Pomposa, nel riflettersi di e riflettere dei modelli di vita spirituale; la funzionalit di quell'esperienza nell'azione concreta dell'abbaziato di Mainardo; il significato estremo di difesa di identit nel ritrarsi alla rimeditazione patristica che certamente ispira l'arricchimento della biblioteca di Pomposa durante l'abbaziato di Girolamo [6]. Partizione cronologico-tematica estremamente pertinente, che pu apparire lievemente schematica, e che pare, per una decisa volont di sintesi icastica, destinata ad una inevitabile semplificazione, utile perch immediatamente fruibile, pur se incisiva e piuttosto povera di qualificazioni ulteriori, impossibili da recuperare. Per la verit non solo il tentativo di ridurre allestremo i motivi originali della presenza di Pomposa nel dibattito ecclesiologico e politico del tempo, quanto piuttosto di individuarne gli ambiti precisi, che ebbero riflesso anche nel pensiero e nellazione dei maggiori attori della prima sistemazione politica della grande questione relativa alla definizione dei rapporti tra enti ecclesiastici e poteri civili nellambito della funzionalit della societas christiana.
Ma, per restare a noi, come fu impostato a Pomposa il rapporto con il papa, e l'imperatore, meglio, con il papato e limpero? Perch anche noi siamo fermamente convinti, con Antonio Samaritani, che la molteplicit delle contraddittorie conferme, or all'uno or all'altro contendente, [non] possa essere interpretata in genere quale formale pleonasmo di cancellerie corrotte e disorganiche, ma bens come ferma volont di chiarezza non solo politica ma soprattutto spirituale da parte di Pomposa [7]. Anzi, diremmo, all'inverso, che fu proprio la volont pomposiana di mantenere un'identit monastica rigorosa, pur tra oscillazioni e continua dialettica interna ed esterna, a stimolare a volta a volta papato ed impero ad appropriarsi, non dei beni, ma del modello l offerto, per i propri fini, in qualche caso contingenti, pi spesso conformi ad un'impostazione generale, di politica attuale di largo respiro, ma anche rivolta ampiamente al futuro.
Con questo non solo si propone un totale rovesciamento di prospettiva, ma ci si apre la via anche per individuare il ruolo preciso dellente deltizio. Una peculiarit che noi riscontriamo manifestarsi chiaramente nell'apprezzamento di Pier Damiani, che vede nella pratica monastica di Pomposa realizzarsi un ideale indefettibile; apprezzamento tanto pi perspicuo se si tien conto dell'universo concettuale e spirituale del Damiani, ricchissimo e contraddittorio, come pi volte da pi studiosi, di orientamento diverso, stato sottolineato, segno, a sua volta, della ricchezza e contradditoriet dell'intero dibattito ecclesiologico, razionale del periodo. Pomposa, come ben si sa da tempo, fu centrale nell'esperienza del Damiani, gli forn un esempio vivido di fecondit, da cui egli ricevette (nehmender), da cui impar (lernender), cui diede (gebender), come si esprime con singolarissima efficacia il Laqua [8], ed alle cui preghiere volle affidarsi dopo la morte [9]. Lesempio pomposiano riluce al pi alto grado di perfezione per alcuni dei caratteri distintivi di quel monachesimo ideale sempre perseguito ansiosamente, tormentosamente, e mai attuato completamente con assolutezza in qualche luogo, neppure nelle sue fondazioni pi riuscite e celebrate, dal Damiani stesso. Avanti tutto la quiete liberatrice dalle ansie mondane, che poi significa, con un crescendo di corollari, serenit, mancanza di distrazioni per l'impegno ascetico, reale estraniamento dal secolo, rigore, disciplina, discrezione, obbedienza ordinata e misurata, studio e meditazione degli scritti sacri e dei Padri, alcuna concessione alle lusinghe carnali, povert di cose e sovrabbondanza di doni spirituali. Sono i segni distintivi di quel cenobio/eremo di cui Guido musico sente la potente nostalgia dalla sua canonica aretina [10]. Il mondo precipita verso l'apocalisse, constata in un momento di particolare sconforto Pier Damiani: omnia per mundum crimina communiter emerserunt, universa flagitiorum mala nunc vigent, atque eo se diffusius quotidie pullulando dilatant, quo vicinius mundi terminus appropinquat, dice nell'op. 12, Apologeticum de contemptu saeculi [11]. Ma il mondo l'ambiente dei potenti sulle cose, che l si possono levare in alto come monti [12]; un ambiente al quale il monaco non pu pi parlare, come avveniva un tempo, elapsa sunt ac evoluta tempora; la semina delle cose spirituali nel campo della politica da parte del religiosus non pu rinnovarsi, mentre Pomposa rimane sicuro rifugio dove ancora il cammino vero l'assoluto percorribile, di contro al terreno dei poteri del secolo, pi arido dei pur inospitali lidi del delta del Po. Non si illudano i monaci di poter influire beneficamente nell'universo dei re, papi ed imperatori, ma approfittino della grazia loro concessa di vivere in un altro mondo, ancora proficuo dei frutti eterni [13]. Non pu non rimandare al preciso luogo geografico l'immagine insistita del monaco che deve rifulgere d'esempio a chi fuori del monastero, piuttosto che correre il rischio di perire egli stesso nel tentativo di soccorrere chi si trova velut inter procellosa naufragia; Tutius ergo est sub huius vitae nocturna caligine, nos in littore positos naufragantibus lumen ingerere, quam ad eos compassionis gratia cum propriae vitae periculo pernatare [14]. Il paesaggio tutto acqua dell'insula Pomposiana la cornice che propriamente situa e spiega la vocazione del monastero, e doveva risultare familiare e naturale per chi immediatamente poteva riconoscersi in quel nos in littore positos. Ancora: un rinvio, probabilmente, a Tertulliano, si trova in una sola opera damianea, l'op. 2, Antilogus contra Judaeos [15] (che, insieme all'op. 3, Dialogus inter Judaeum requirentem, et Christianum e contrario respondentem, stata scritta a Pomposa [16]), involontaria testimonianza sui tesori di quella biblioteca, di cui il monaco pu e deve approfittare (lege Tertullianum, ammonisce il Damiani [17]). Scritti, tutti questi appena ricordati, da mettere, come sappiamo, in stretta relazione col monastero deltizio [18]. Pomposa, dunque, costituisce un valido baluardo contro i pericoli del secolo, ed offre abbondanti alimenti per l'esercizio della virt. Il modello - ed estremamente significativo in chiave damianea - non apprezzabile perch orientato alla forma eremitica, ma semplicemente perch coerente e fruttuoso sotto il profilo spirituale, per la perfecta monachi informatione: Porro autem vidi Pomposiae Monachum apprime divinae legis, et disciplinis regularibus eruditum, ricorda ancora il Damiani [19], dove, certo, si allude alla configurazione cenobitica, bench sia tipico di Pomposa in questo momento, come ha ben messo in luce lappassionata ed intensa, diuturna ricerca di Antonio Samaritani, l'esercizio delle due vite ascetiche: lo juste ed il legaliter vivere la Regula benedettina, come si apprende dalle carte degli abbaziati di Guido, contemplava le due forme, quella particolarmente retta dal juste (la cenobitica) e quella particolarmente retta dal legaliter (la eremitica). Nel monastero si apprendeva come osservare la prima e come pure rapportare e contenere la seconda in un solo ordinamento, sotto l'abate unico cenobiale [20].
Non si tratta indubbiamente di caratteristiche esclusive del monastero deltizio (di quiete monastica si parla sempre, Gregorio VII addirittura per Cluny [21], per tanti versi esperienza lontanissima da quella pomposiana, insomma un luogo comune) - e Pomposa non certamente l'unico riferimento del Damiani, comՏ notorio -, ma che a Pomposa si inverano in un monachesimo positivamente operante ed in continua tensione, o cos almeno si mostra in quegli anni, tale da additarlo tra i pi alti modelli della vita contemplativa, quando il paesaggio contemporaneo tutto costellato di esempi riprovevoli di decadenza. Soprattutto ci sono gli alti personaggi, di profondissima fede e dirittura morale, di primissimo piano e di particolare prestigio nella divulgazione dell'ethos monastico, che furono in contatto, pi o meno diretto con Pomposa: Romualdo su tutti, che fu inclusus a Pomposa, e che in un certo momento probabilmente funzion addirittura da abate [22]; ed accanto a Romualdo numerosi altri monaci ed eremiti in fama di santit. Eppure, Pomposa non di stretta osservanza romualdina, n damianea, n tanto meno cluniacense, n si rif a Guglielmo di Volpiano. Partecipa delle varie esperienze contemporanee di maggiore profondit, ampiezza e reputazione, ma non si identifica con nessuna di esse. Cos a volta a volta se ne pu sottolineare questo o quell'aspetto, ora il rigore ascetico dei suoi eremiti, ora l'ordinato e produttivo cenobio, ora la cultura dei suoi abati, ora la ricchezza della biblioteca [23].
Se dunque le cose stanno cos, appaiono del tutto naturali gli interventi imperiali tesi ad inserire il monastero entro la tutela imperiale, fin dal favore decisamente particolare di Ottone III [24], i diplomi di esenzione concessi e pi volte confermati, i trasferimenti di giurisdizione, da Ravenna a San Salvatore di Pavia, di nuovo a Ravenna, le donazioni, i ripetuti riconoscimenti di autonomia, caso per caso motivati dalle necessit momentanee della politica imperiale, o papale - perch anche Roma interviene in maniera del tutto analoga in proposito -, di compattare uno schieramento, combattere degli avversari, appoggiare od osteggiare questa o quella figura importante [25]. Insomma, Pomposa rimane sostanzialmente sempre la stessa, pur con qualche naturale oscillazione, e papato ed impero si muovono attorno e sopra di essa per ragioni esterne, mai determinandone una modifica di orientamento di vita [26]. Cos, contemporaneamente, si spiega anche il modesto contributo di Pomposa alla vera e propria discussione ecclesiologica sul campo, quella tanto intensa e coinvolgente della seconda met del secolo XI. Se il monastero passa con i suoi abati dall'uno all'altro schieramento, ci non appare significativo di una volont di collocazione esatta nella dialettica tra papato ed impero, quanto piuttosto di simpatie del momento, del tutto contingenti, e per questo dunque transitorie, e del resto costantemente dimensionate allazione di alcuni abati pi attivi. Pomposa, insistiamo, sempre la stessa, e la sua tensione linfatica non per la definizione, n teorica n pratica, degli ambiti d'intervento nelle cose sacre da parte dei laici, ma solo, su tuttaltro piano, nell'esperire vie coerenti e credibili, razionali, anche se non innovative, di vita monastica, magari con l'accentuazione di antichi e riconsiderati aspetti d'austerit e di mortificazione corporale che inclinano verso l'estasi mistica [27]. Nulla di pi estraneo al coinvolgimento diretto nella lotta tra Roma ed impero, allora, ma, solo a prima vista paradossalmente, ben poco di pi influente, nellorientare verso certe strategie nella regione, di Pomposa.
Dopo la grande tensione politico-spirituale del secolo XI, nel successivo, parallelamente ad un declino economico e, seppure non eccessivamente marcato, disciplinare, che segna forse il suo culmine tra l'anno in cui si cade nella necessit di ricorrere a un prestito, da parte di Mainardo abate, nel 1050, e la protesta dei monaci per il depauperamento del monastero nei confronti del loro abate Anselmo, che perder addirittura la carica, nel 1199 [28], gli interventi papali ed imperiali nei riguardi di Pomposa sembrano indicare - nella prassi invalsa, e limitatamente a quello che si era potuto attuare, naturalmente - la vittoria dei riformatori del secolo precedente, al punto che in un caso si pu leggere distintamente la delimitazione dei rispettivi ambiti di condotta: apostolica dignitate in spiritualibus, iurisdictio solius imperii [29].
Gi i protagonisti dell'azione politica non sono pi solo quelli del secolo precedente: fin da ora il tempo degli scontri di fazione in citt, che si alimentano nei - ed anche condizionano i - distretti pi periferici. A Ferrara particolarmente viva la lotta per il potere tra Torelli ed Estensi. I pi eminenti delle due famiglie - Salinguerra ed Azzo VI - si presentano alternativamente od a tutela od in contrasto con il pi prestigioso monastero della regione [30]. Pomposa diviene terreno di scontro, a volta a volta blandito, combattuto, avvilito, lodato o preservato. Ma il quadro generale totalmente alterato: il monastero non costituisce pi un faro di ascesi e cultura. Dopo il 1093 bisogna attendere pi di un secolo prima di vedere Pomposa acquisita alle nuove scienze religiose, con la collezione di decretali di Innocenzo III elaborata da Rainerio, "monaco e diacono" [31]. Ci che attrae ora sono i suoi possessi, in particolare quelli prossimi alla citt che si avvia a divenire decisamente egemone nel territorio. Segno ulteriore della generica debolezza del monastero deltizio, della sua incapacit a far sentire unautonoma voce, in quasi totale balia dei contendenti. Neppure Innocenzo III, pur chiamato esplicitamente in causa, si sente di dover intervenire con decisione nei confronti di Salinguerra che ha assoggettato a Ferrara la maggior parte della massa di Lagosanto, per non perdere del tutto il favore giusto dei ferraresi, gi inclini a Federico II. Se poi una maggiore recisione viene messa in mostra nell'anno successivo, con l'interdetto alla citt, ci non indica una svolta, una rigorosa presa di coscienza della necessit di intervento del papato a conservazione dell'integrit dei beni pomposiani, ma il bisogno di trovare localmente - nella fattispecie con la mediazione del vescovo Uguccione - l'appoggio di personaggi che ora risultano pi strategici e decisivi dell'impero: l'interdetto mitigato, ma Azzo - gli Estensi, ricordiamolo, si avviano sempre pi chiaramente a presentarsi come campioni del guelfismo - ha sostituito nella carica di podest Salinguerra, costretto a rifugiarsi a Modena [32]. Pomposa solo una pedina del gioco.
Subentrati, poi, definitivamente, gli Estensi ai Torelli, sar la nuova signoria cittadina di Ferrara l'unica potenza prevalente con la quale fare i conti. Parallelamente linteresse della Santa Sede, che pure in generale si mostra sempre interessata al mantenimento ed alla difesa di diritti e beni dei monasteri in generale, accentua il puro aspetto della fiscalit pontificia [33], e poich anche gli Estensi perfezionano simultaneamente la loro macchina fiscale [34], lesito della battaglia inevitabilmente segnato dalla maggiore efficienza del potere civile in loco, rispetto al potere lontano e largamente inefficace sotto questo rispetto.
Intanto il decadimento lento ma continuo ed inarrestabile. Nel 1243 pare che i monaci siano ridotti ad una decina [35]. Gli interventi papali, di Gregorio IX, Innocenzo IV, Urbano IV, tendono a restituire funzionalit economica a Pomposa, in parte con successo [36]. Ma nel 1270 Obizzo II estende il suo protettorato su Pomposa [37]. Nel 1294 l'abate Giacomo investe Azzo VIII della podesteria su Codigoro e l'intera insula Pomposiana per un decennio. L'anno successivo il signore di Ferrara impone nuovi statuti al monastero, che sanciscono il suo predominio [38]. In un momento di debolezza per la dinastia, nel 1308, un'investitura di alcuni beni pomposiani, concessa precedentemente a Fresco d'Este, revocata dall'abate [39]. Un ritorno dell'egemonia diretta del papato su Pomposa sembra possibile quando gli Estensi sono cacciati da Ferrara, e la citt nelle mani di Roma, con l'appoggio di Venezia [40]. Dopo il rientro in Ferrara, gli Este subiscono un duro attacco da parte pontificia, addirittura con la celebrazione di un famoso processo per eresia, e Pomposa prima si allinea con la Santa Sede, poi favorisce i signori [41]. La bolla papale indirizzata all'arcivescovo di Ravenna ed ai suffraganei, oltre i toni inerenti alla controversia, illumina bene sul metodo adottato dai signori di Ferrara:
Hanno occupato in particolare il monastero pomposiano, con tutte le sue ville e terre e redditi e proventi, hanno occupato e tengono occupati i beni tutti del monastero, delle ville e delle terre, alcuni monaci sono stati cacciati fuori, altri miserevolmente imprigionati nel detto monastero; dove sino ad ora si era consueti tenere il raduno solenne dei monaci et vigere plurimum observantia regularis e si esercitava continuamente e con venerazione il culto divino, hanno collocato uomini nefandi che esercitano prede e latrocini sugli uomini, i vassalli, i servi e le terre dello stesso monastero e malversano con collette e tributi il monastero. Nei porti e nelle acque del monastero hanno posto ladroni e spogliatori e altri nequissimi uomini e li fanno col abitare che spogliano e predano i passanti [42].
Passata la bufera, rapidamente l'abbazia perde ogni significato autonomo, avviandosi a divenire uno fra i tanti strumenti dell'esercizio del potere da parte degli Estensi, pur con qualche ben comprensibile oscillazione. La cornice stata gi disegnata da Augusto Vasina: le abbazie, ormai riservate per lo pi a non molte vocazioni individuali e divenute quasi estranee ad ogni tradizione comunitaria e sociale, rientrarono nel giro degli interessi privati, delle mire di prestigio e di potere delle locali dinastie signorili Cos quelle badie che non si mantennero sufficientemente vitali caddero per lo pi sotto il regime commendatizio [43]. Pomposa non fa eccezione.
Nicol III emaner gli statuti pomposiani, ed eserciter, di fatto, la commenda del monastero [44]. Dopo di lui gli Estensi saranno titolari della commenda anche formalmente [45], e ne disporranno, come accade normalmente, perfino in favore di amici e fedeli [46]. Le stesse cause religiose passeranno al tribunale civile [47]. Il regime commendatizio avrebbe dovuto porre riparo al grave decadimento della vita monastica, ma invece, come si sa, quello che avrebbe dovuto essere un rimedio si risolse in un ulteriore aggravamento gli abati titolari, divenuti arbitri del regime monastico, per lo pi assenti dalla loro sede e distratti da molteplici occupazioni, non si mostrarono certo solleciti del bene spirituale e materiale delle comunit ad essi affidate, sfruttandone non di rado i patrimoni superstiti, con distrazioni ereditarie, nepotistiche e clientelari [48]. Pomposa, di nuovo, perfettamente nella norma.
Si apre il magnifico periodo dello splendore di casa d'Este, e della cultura ferrarese. Cultura umanistica e rinascimentale, dove i classici antichi recuperati si affiancano ai nomi nuovi di Petrarca e Boccaccio, di Guarino, e preparano il Boiardo e lAriosto; il periodo di Leonello, Borso, Ercole, delle accademie letterarie, dell'universit, degli intrattenimenti grandiosi e della splendida scuola pittorica ferrarese [49]. L'antico monastero deltizio, su questo versante, non ha nulla di nuovo da offrire o da proporre: pu solo prendere. La cultura pomposiana all'asfissia.
Non baster, a risollevare non il prestigio, ormai irrimediabilmente perduto, ma neppure una funzionalit minima di Pomposa, ladesione, nel 1492, alla congregazione di Santa Giustina; non mancher molto che la decadenza economica, sempre pi pronunciata, avvii tristemente alla definitiva scomparsa.
Gabriele Zanella
(Universit di Pavia)
Indice dei nomi
(escluso Pomposa)
A
Alessio G. C.; 9
Anselmo, abate; 11
Antilogus contra Judaeos; 6
Apologeticum de contemptu
saeculi; 5
Ariosto Ludovico; 16
Azzo VI. Vedi Estensi
Azzo VII. Vedi Estensi
Azzo VIII. Vedi Estensi
B
Beda; 9
Bellizone; 9
Billanovich Giu.; 9
Boccaccio Giovanni; 16
Bock F.; 14
Boiardo Matteo Maria; 16
Borso. Vedi Estensi
Bruno di Querfurt; 9
Buzzi G.; 1
C
Camaldoli; 10
Canossa, fam.; 2
Capitani O.; 3; 10
Caspar E.; 8
Castagnetti A.; 1
Castelli P.; 16
Cluny; 8
Codigoro; 14
Comacchio; 15
Cortesi M.; 9
D
Damiani. Vedi Pier D.
De perfecta monachi
informatione; 7
Dialogus inter Judaeum
requirentem, et Christianum e contrario respondentem; 7
E
Emilia Romagna; 12; 13
Enrico III; 10
Enrico IV; 10
Ercole I. Vedi Estensi
Estensi, fam.; 1; 12; 13;
14; 15; 16
Azzo VI; 12
Azzo VII; 13
Azzo VIII; 14
Borso; 16
Ercole I; 16
Fresco; 14
Leonello; 16
Nicol III; 15
Obizzo II; 14
F
Federico II; 13
Ferrara; 1; 3; 12; 13; 14;
15; 16
Ferraresi; 13
Fornasari G.; 6
Fresco. Vedi Estensi
G
Giacomo, abate; 14
Giovanni VIII; 1
Girolamo, abate; 3; 10
Giustino; 9
Gregorio IX; 14
Gregorio VII; 8
Guarino Veronese; 16
Guglielmo di Volpiano; 8
Guido musico; 5
Guido, abate; 7
Gundersheimer W. L.; 16
I
Innocenzo III; 12
Innocenzo IV; 14
Italia; 1; 9; 10; 13; 15
K
Kiev; 9
L
Laqua H.-P.; 5
Lehmann P.; 7
Leonello. Vedi Estensi
Lovato Lovati; 9
Lucchesi C.; 7
M
Mainardo, abate; 3; 11
Marini L.; 13
Modena; 13
Moreschini C.; 16
N
Nicol III. Vedi Estensi
O
Obizzo II. Vedi Estensi
Ottone III; 9
P
Pasquale II; 10
Pavia; 9
Petrarca Francesco; 9; 16
Pier Damiani; 4; 5; 6; 7
Po; 6
R
Rainerio; 12
Ravenna; 1; 2; 3; 9; 14
Riccobaldo da Ferrara; 12
Roma; 1; 2; 9; 11; 14
Romualdo; 8; 9
Ropa G.; 1; 2; 12
S
Salinguerra. Vedi Torelli
Samaritani A.; 1; 4; 5; 7; 8; 9; 10; 11; 12; 13; 14; 15
San Salvatore di Pavia; 9
Santa Giustina,
congregazione; 16
Santa Sede; 1; 13; 14
T
Tabacco G.; 1
Tertulliano; 6; 7
Teuzone; 9
Torelli, fam.; 12; 13
Salinguerra; 12; 13
Toscana, marchesi di; 2
Trento; 13
Trieste; 13
U
Uguccione, vesc.; 13
Urbano IV; 14
V
Vasina A.; 13; 15; 16
Venezia; 14; 16
Villa C; 9
Z
Zanella G.; 12; 13
[1] Riassume i dati delle pi recenti ricerche archeologiche A. Samaritani, Presenza monastica ed ecclesiale di Pomposa nell'Italia centrosettentrionale. Secoli X-XIV, Ferrara, Corbo, 1996, pp. 13-14.
[2] G. Buzzi, Ricerche per la storia di Ravenna e di Roma dall'850 al 1118, in Archivio della r. Societ romana di storia patria, 38 (1915), pp. 121-22.
[3] G. Tabacco,
I liberi del re nell'Italia carolingia e postcarolingia, Spoleto, CISAM, 1966, p. 183, con le ulteriori
precisazioni di A. Castagnetti,
Arimanni in Romania fra conti e signori,
Verona, Lib. Universitaria, 1988, p. 19.
[4] G. Ropa, Cultura liturgica ravennate e pomposiano-ravennate nei secoli XI e XII, in La civilt comacchiese e pomposiana dalle origini preistoriche al tardo Medioevo, Bologna, Nuova Alfa ed., 1986, p. 571.
[5] Gi Ropa, Cultura, p. 605 nota 259 osservava: da un crogiolo come quello pomposiano della prima met dell'XI secolo poteva uscire un prodotto ideologicamente neutro?.
[6] O. Capitani, Tensioni riformatrici e cultura ecclesiastica tra Ferrara, Pomposa e Ravenna dal X al XII secolo, in Storia di Ferrara IV. L'alto Medioevo VII-XII, Ferrara, Corbo, 1987, pp. 315-16.
[7] Samaritani, Presenza, p. 43.
[8] H.-P. Laqua, Traditionen und Leitbilder bei dem Ravennater Reformer Peter Damiani. 1042-1052, Mnchen, Fink, 1976 (Mnstersche Mittelalter-Schriften 30), pp. 36-43.
[9] Ep. 6,6, in Patrologiae latinae cursus completus (=PL), 144, col. 386C: et praecipue cum mortuus fuero, quidquid de vestrae congregationis monacho facitia, hoc etiam de me misero facere studeatis.
[10] Samaritani, Presenza , p. 66.
[11] PL, 145, col. 265B.
[12] G. Fornasari, Medioevo riformato del secolo XI. Pier Damiani e Gregorio VII, Napoli, Liguori, 1996, p. 91.
[13] PL, 145, coll. 283-86.
[14] Ibid., col. 280.
[15] Fornasari, pp. 251-52 nota 182.
[16] C. Lucchesi, Lo 'Antilogus contra Iudaeos' di S. Pier Damiano e Pomposa, in Analecta Pomposiana, 1 (1965), pp. 89-90.
[17] Il che esclude, a mio parere, che si possa trattare di una citazione di seconda mano, come ipotizzato in P. Lehmann, Tertullian in Mittelalter, in Lehmann, Erforschung des Mittelalters, V, Stuttgart, 1962, p. 192.
[18] A. Samaritani, Sui destinatari degli Opp. 2-3, 29, 42/2, 48 di S. Pier Damiano, in Analecta Pomposiana 3 (1967), pp. 141-47; Samaritani, Presenza , p. 36 nota 14.
[19] Op. XLIX, De perfecta monachi informatione, cap. IX, S. Romualdi consilium ut sobrietatem servemus et hypocrisim fugiamus, PL, 145, col. 728D.
[20] Samaritani, Presenza, p. 34.
[21] Gregorii VII Registrum, ed. E. Caspar, Berlin-Dublin-Zrich, 1990 (Monumenta Germaniae historica (= MGH), Epistulae selectae 2), VI, 17, p. 423.
[22] Samaritani, Presenza, p. 38.
[23] Giu. Billanovich, La biblioteca dei papi, la biblioteca di Pomposa e i libri di Lovato Lovati e del Petrarca, in La civilt, pp. 619-23; Billanovich, Lovato Lovati e il Giustino e il Beda di Pomposa, in La biblioteca di Pomposa, Padova, Antenore, 1994 (Medioevo e Umanesimo 86), pp. 181-212; M. Cortesi, Teuzone e Bellizone. Tra grammatica e agiografia, ibid., pp. 67-150; Giu. Billanovich, I testi storici, in Giu. Billanovich - C. Villa - G. C. Alessio, Tradizione classica e cultura letteraria, in Dall'eremo al cenobio. La civilt monastica in Italia dalle origini all'et di Dante, Milano, Credito italiano - Scheiwiller, 1987, pp. 279-91
[24] A. Samaritani, Eremo, cenobio, missione e martirio dall'abbazia di Pomposa a Kiev. Fra Romualdo di Ravenna e Bruno di Querfurt, in I rapporti tra le comunit monastiche benedettine italiane tra alto e pieno medioevo Atti del 3 Convegno del "Centro di studi farfensi" Santa Vittoria in Matenano, 11-12-13 settembre 1992, San Pietro in Cariano, Il segno, 1994 (Scuola di memoria storica / Centro di studi farfensi per la storia del monachesimo mondiale e del meditare universale 3), pp. 219-28.
[25] Per tutto questo Samaritani, Presenza monastica, pp. 13-77, passim.
[26] Mentre ci convince l'osservazione di Samaritani, Presenza monastica, p. 58, che: Pomposa entr nel gioco politico di Enrico III e di Enrico IV e del papato per il suo prestigio spirituale, meno condividiamo il successivo: e quale centro elaboratore di pensiero politico-ecclesiale, e soprattutto la considerazione finale in questa parte: il contributo da essa data (!) all'opposizione tra gregorianesimo e antigregorianesimo, assieme a quello di altri importanti monasteri centrosettentrionali d'Italia, risulta solido e forte, anche se non eccezionale, e vissuto in sofferta profondit dialettica fra i suoi monaci. Non solo non riusciamo a vedere apporti singolari, per non dire innovativi del monastero, in maniera tutta particolare tenendo conto che quella conclusione desunta non da documentazione speculativa, ma quasi esclusivamente dal rilevamento della posizione di questo o quell'abate nello schieramento romano o imperiale; ma, ci pare, perfino altre sparse parziali conclusioni dello stesso Samaritani conducono a pensare diversamente. Subito la constatazione che Da quel 1080, sino ai lontani giorni di Pasquale II, l'abbazia seguir, forse pi per necessit che per adesione convinta, la strada dello scisma (corsivo nostro), e poi, pi oltre (p. 59), dopo il ricordo della riscoperta cultura classica, il rilievo: Mirava Girolamo, in ultima istanza, alla salvaguardia di una identit sapienziale e di un derivato consenso polarizzante, non compromissibili dalle dure vicende politiche e, ancor pi, dai sottostanti dissensi dottrinali, (sempre corsivo nostro), che si pu citare proprio a conferma di quanto diciamo nel testo. Il che, si badi bene, non significa ridimensionare il ruolo di Pomposa nel dibattito del periodo, ma piuttosto, e direi al contrario, misurarne l'importanza, oltre la logica degli schieramenti. In fondo si pu rilevare che Camaldoli singolarmente assente negli scontri della lotta delle investiture (O. Capitani, Storia dell'Italia medievale 410-1216, Bari, Laterza, 1986, p. 307), senza che questo significhi, affatto, sminuirne il rilevo: semplicemente il segno della grandezza e del limite di questo monachesimo.
[27] Samaritani, Presenza monastica, pp. 48-49.
[28] Ibid., pp. 79-80; agli inizi del Duecento il monastero descritto come in temporalibus miserabiliter diminutum et in spiritualibus miserabiliter lapsum.
[29] Ibid., p. 78.
[30] G. Zanella, Riccobaldo e dintorni. Studi di storiografia medievale ferrarese Ferrara, Bovolenta, 1980 (I presupposti 5), pp. 67-71; Samaritani, Presenza monastica, pp. 80-81.
[31] G. Ropa, Le scuole ecclesiastiche, in Le sedi della cultura nell'Emilia Romagna. L'et comunale, Milano, Federazione delle Casse di risparmio e delle Banche del Monte dell'Emilia e Romagna - Pizzi, 1984, p. 68.
[32] Zanella, p. 74; Samaritani, Presenza monastica, pp. 81-83.
[33] A. Vasina, Per una storia del monachesimo in Emilia-Romagna, in Monasteri benedettini in Emilia Romagna, Milano, Silvana, 1980, p. 14.
[34] L. Marini, Lo stato estense, in Storia dItalia 17. I Ducati padani. Trento e Trieste, Torino, UTET, 1979, p. 16.
[35] Samaritani, Presenza monastica, pp. 84-85.
[36] Ibid, pp. 85-88.
[37] Ibid. pp. 90-91.
[38] Ibid. p. 94.
[39] Ibid. pp. 96-97.
[40] Ibid. p. 97.
[41] F. Bock, Der Este-Prozes, in Archivum fratrum praedicatorum, 7 (1937), p. 81; Samaritani, Presenza monastica, pp. 98-99.
[42] A. Samaritani, Vita religiosa tra istituzioni e societ a Comacchio dall'alto al basso medioevo (secc. VIII-XIV), in Analecta Pomposiana, 11 (1986), p. 126.
[43] Vasina, p. 13.
[44] Samaritani, Presenza monastica, p. 106.
[45] Ibid., p. 108.
[46] A. Samaritani, Una diocesi d'Italia: Ferrara nel cinquantennio in cui sorse l'Universit (1348-1399), in Atti e Memorie della Deputazione ferrarese di storia patria, s. 4 vol. 8 (1991), pp. 372-73.
[47] Samaritani, Una diocesi d'Italia, pp. 386-87.
[48] Vasina, p. 13.
[49] W. L. Gundersheimer, Ferrara estense. Lo stile del potere, Modena, Panini, 1988, pp. 40-112; C. Moreschini, Per una storia dellumanesimo latino a Ferrara, in La rinascita del sapere. Libri e maestri dello Studio ferrarese, a cura di P. Castelli, Venezia, Marsilio, 1991, pp. 168-88.