Italia, Francia e Germania: una storiografia a confronto
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1. Premessa 1.1. Boccaccio 2. Il modulo 2.1. Le cause
prossime 2.2. La fenomenologia 2.2.1. Provenienza 2.2.2. Modo di trasmissione
2.2.3. I sintomi 2.2.4. Ampiezza di diffusione 2.2.5. Caratteristiche della
malattia 2.2.6. Durata 2.2.7. Effetti 2.2.7.1. Tasso di mortalit 2.2.7.2.
Qualit delle perdite 2.2.7.3. Le vittime illustri 2.2.7.4. Impotenza dei
medici 2.2.7.5. Sulleconomia-societ 2.2.7.6. Reazioni 2.2.7.6.1.
Comportamenti 2.2.7.6.2. Provvedimenti presi 2.3.La colpa 3. Italia 3.1.
Michele da Piazza 3.2. Cronaca senese 3.3. Matteo Villani 3.4. Marchionne 3.5.
Marco Battagli 4. Francia 4.1. Breve Chronicon Flandriae 4.2. Gilles li Muisit 4.3. Jean le
Bel 4.4. Froissart 5.Germania 5.1. Konrad von Megenberg 5.2. Annales
Frisacenses 5.3. Continuatio
Novimontensis 5.4.
La cronaca di Colonia 5.5. La cronaca di Erfurt 5.6. Francesco da Praga 6.
Conclusioni
1. Premessa
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Lanno
1348 si era aperto, nel ricordo dellautore del Chronicon Estense, come per tanti dellet immediatamente successiva,
nel segno della peste: Per totum orbem maxima pestis mortalitatis fuit [1]. Del turbamento generale che ne segu si trova
segno, perfino materiale, nelle carte che ci riportano le cronache coeve [2]. Per quel che riguarda latamente il regno di
Germania Rolf Sprandel ha rilevato una vera e propria spaccatura storiografica,
tante sono le cronache interrotte nei fatidici anni 1348-50 [3]. La grande peste, la peste nera: nella antica
storiografia la misura, la pietra di paragone su cui saggiare le epidemie
successive [4]; nella moderna il simbolo pi abusato della grande,
epocale crisi del XIV secolo [5], culmine e coronamento di un decennio di calamit
scrupolosamente, seppur con un certo disordine, registrate dai cronisti:
cavallette, inondazioni, carestie, sbandamenti morali degli uomini come del
consueto andamento dei prezzi, inasprimenti fiscali dovunque, furia di tutti
gli elementi naturali ed umani, avvertimenti straordinari dal cielo e dalla
terra. Nellanno terribile, infine, riassunto ed amplificazione del decennio,
non solo terremoto e peste universali, ma infinita disturbia, con
conseguenze traumatiche [6]. Molti credettero prossima quella fine del mondo
descritta in Mt 24,7: et erunt pestilentiae et fames et terraemotus per
loca, e che gi Giovanni Villani aveva visto vicina [7].
Su questo tempo eccezionale di epidemie e carestie
puntano quasi esclusivamente lattenzione gli storici moderni della crisi,
come se solo questi fossero stati gli interventi della natura capaci di
scuotere i contemporanei e di modificarne le condizioni di vita, nota del
tutto opportunamente Arno Borst [8]. Appropriatamente, perch, se non dubbio che la
dimensione e la qualit del flagello si siano imposte con prepotenza allattenzione
dei contemporanei, tanto da sollecitare molti a redigere apposite postille ed
aggiunte a cronache gi concluse [9], daltra parte estremamente raro trovare opere
dedicate esclusivamente alla peste. Konrad von Megenberg e Gabriele de Mussi consacrarono
espressamente ed autonomamente alla peste un lavoro, il primo di carattere
storico-filosofico-letterario, il secondo pi geografico-medico [10]; i due meriterebbero da soli, e singolarmente, una
relazione. Ma normalmente la descrizione del morbo nelle opere di storia si
integra in un discorso pi complesso, e generalmente non incentrato su di esso;
al massimo si riserva uno spazio ben preciso, pi o meno ampio, una rubrica, un
paragrafo, un capitolo, nellunico caso di Matteo Villani pi capitoli.
Daltra parte sicuro che lepidemia non attir su
di s linteresse esclusivo dei contemporanei, basti pensare agli eloquenti
silenzi delle prime fasi. Per quanto rapida, la diffusione della malattia non
avvenne di colpo; le notizie giungevano a grande distanza: Francesco da Praga
racconta come gli studenti boemi che tornavano da Bologna in patria riferivano
degli effetti dellepidemia in Italia e Francia [11]. Potrebbe quindi risultare sorprendente che nella
stragrande maggioranza delle cronache di citt non ancora toccate dal male non
si trovi alcun cenno allepidemia che infuria lontano; non si tratta di uno
stilema storiografico, perch conferma di questo disinteresse si constata anche
nellattivit legislativa ed amministrativa. La Carpentier vede un quelque
chose de tragique [12] in questo vivere normalmente, senza prendere alcun
provvedimento. Ma in realt la spiegazione di questo assurdo, per lo storico
moderno, comportamento da struzzo, risiede nel fatto che nessuno allora n
conosceva n poteva immaginare lestrema facilit del contagio, ed in
particolare la pericolosit estrema di quel flagello. Le cronache tutte,
italiane ed europee, concordano sul fatto che quel tipo di malattia era fino ad
allora totalmente ignoto.
Tuttavia rimane indubbiamente una sorta di rimozione
pi o meno consapevole [13]. Certo colpisce che un simile atteggiamento si
ritrovi in cronisti che scrivono dopo quegli anni terribili, quando le cose erano divenute tragicamente pi
chiare. Eppure cos: il cronista orvietano non sente affatto la necessit di
menzionare nei primi mesi del 1348 linfuriare della malattia in Sicilia, od a
Genova od a Pisa. La lezione
della peste non aveva ancora dato alcun frutto. Ma di nuovo non alcuna
ragione di meraviglia; ancora troppo presto: anche i provvedimenti sanitari
in merito devono fare molta strada. Nonostante quella tremenda lezione i
pellegrini continuarono ad affluire, in vista dellanno giubilare 1350, in
gruppi numerosi ad Orvieto, dove si rinunci quasi sempre a chiudere le porte
di notte per facilitare il loro passaggio, e dove un gran numero dorvietani si
un ai romei [14].
In
effetti, a conferma di quanto riportato sopra circa lopinione di Arno Borst,
non la peste da sola, ma il dittico peste-terremoto, o terremoto-peste,
corrente [15]; frequentissimo quello carestia-peste [16]. Anzi proprio questo uno dei motivi cardine della
presentazione del male. Numerosi sono i cronisti che risalgono alle difficili
condizioni climatiche dei due anni precedenti: Giovanni Villani descrive le
calamit provocate dalla grande carestia della primavera del 1347, di cui
soffrono particolarmente i poveri e impotenti, tanto che malattie e morti si
contano numerose: entro lestate si registrarono pi di 4000 vittime, il pi
in povere genti [17]. Lenfasi significativa, visto che pare assodato
che non si trattasse di nulla di eccezionale [18]. A Pistoia un cronista locale parla di carestia per
tutta la cristianit [19], e, se proprio non nel mondo intero, conferme per
quanto riguarda Italia, Provenza e Francia sono state reperite in abbondanza;
pare se ne debba vedere la ragione in condizioni climatiche molto difficili,
caratterizzate da grande abbondanza di precipitazioni [20]. Dopo linclemenza del tempo, ed a causa di quella,
lo scarso raccolto del 1347 fu la causa di gravissimi problemi per diverse
citt, Orvieto, Firenze e Bologna in particolare [21].
Ricorre
anche il trittico alluvioni-carestia-peste, per non dire della pala complessa
guerra-alluvione-carestia-fame-peste [22]. E volendo si potrebbe complicare ulteriormente, ma
si correrebbe unicamente il rischio di frantumare largomento. Ma va detto
chiaramente che stabilire un rapporto di dipendenza tra vicende climatiche,
guerra e peste, fatto da imputare alla storiografia successiva [23], non alla cronistica coeva, che registra quei fatti
senza attribuirvi meccaniche conseguenze. E quellinterpretazione storiografica
ha avuto di recente un forte e meditato contraddittore sul piano generale,
proprio e di metodo, nella persona di Carlo Maria Cipolla, comՏ noto [24].
Queste
prime avvertenze per dire che necessario attribuire una importanza relativa
allepidemia - poich cos risulta nellattenzione dei contemporanei,
naturalmente, visto che di questo solo ci occupiamo -, guardare con attenzione
alla gerarchia di importanza dei fatti riportati: per lanonimo domenicano che
fece laggiunta agli annali del suo convento di Friesach, ad esempio, stato
pi rilevante il terremoto della peste; al primo dedica una decina di righe,
nelledizione dei Monumenta, al
secondo, - che viene neppure immediatamente dopo, ma preceduto dalla menzione
di tonitrua magna de celo - solamente la met dello spazio che ha riservato
al sisma [25]. Lanonima Cronaca Senese dedica 35 righe ad illustrare la rubrica Della
grande moria. 1348: ma solo una riga
e mezza riguardano propriamente, e genericamente, lepidemia; il resto
riservato alle ben pi avvincenti avventure del capitano Erbanera,
valentissimo uomo e grande e di bella presenza [26].
Ancora
unosservazione preliminare si impone: la grande mortalit, causata dal
terremoto o dalla peste, si inserisce generalmente in una serie di eventi di
pari dignit, tutti giudicati egualmente degni di menzione, si tratti di fatti
politici o naturali. Non solo non cՏ - se non rarissimamente, come accennato -
unautonoma trattazione della pandemia, ma soprattutto non possibile
riscontrare mai - neppure in chi riserva ad essa uno spazio particolare -
quella caratteristica catastrofica che cos frequente invece leggere
attribuita alla peste in tanti contributi di studiosi di oggi. Se Jean de
Venette parla di una nova aetas, allude ad un rinnovamento delle persone, non
ad un cambiamento di tendenza; anzi i nuovi sono peggiori dei vecchi [27]; nonostante il tremendo segno divino le cose ben
presto tornano come prima: un atteggiamento diffuso [28]. Che manchi la prospettiva di lunga durata nei
cronisti contemporanei, che non sanno quello che sappiamo noi, osservazione
banale; meno banale la constatazione che le tanto vituperate esagerazioni
imputate dallo studioso moderno al cronista antico, riguardo ad esempio al
tasso di mortalit, non devono poi aver pesato pi di tanto nella valutazione
complessiva, per dir cos cronologico-geografico-contestuale, del fenomeno nei
cronisti coevi. E non mi pare neppure si possa dire che le conseguenze
psicologiche fossero veramente devastanti [29], visto che gli eccessi di reazione sono sempre
rilevati a livello di aneddoto, mai in chiave generale, e che quindi si possono
ragionevolmente supporre come frutto della mente e della psiche meno
equilibrata, comunque al limite della norma. Per dire, insomma, che per gli
osservatori del tempo contavano tanto le vicende dei principi, quanto quelle
della natura, senza alcuna prevaricazione delle seconde sulle prime. Basti
leggere a titolo esemplificativo questa introduzione allanno 1349 della Continuatio
Novimontensis [30]:
A. D. 1349 reges et principes in finibus nostris,
licet prius discordes, tamen cuncti amicabiliter confederati sunt. Item
inundacio aquarum permaxima ubique exorta dampnum intulit copiosum. Pesti
vero contagiosa predicta |
Lunica
grande eccezione rappresentata da Petrarca, che si rese conto, con
sensibilit unica, dei cambiamenti in atto alla met del suo secolo [31]; ma anche Petrarca ci conferma che non certo la peste
o il terremoto furono le ragioni della crisi, semmai ne furono un
evidenziatore. Le reazioni degli uomini mostravano solo assuefazione, apatia,
non avevano imparato nulla dalla storia, non si sentivano spronati a grandi
cose. La mancanza di cultura, o lobnubilamento di essa, segnavano i tempi bui
del presente [32].
Con
tutto questo generalmente indubbio che il terribile male suscitasse una
reazione universale e fortemente marcata. Ci fu chi, come Petrarca, svilupp
personali e complesse meditazioni sulla caducit della vita umana, trovando una
ragione finale in un ideale di vita semplice e tutta dedita al bene sommo della
cultura, ripreso dallantichit che tanto amava [33], e chi, come il Boccaccio, colse loccasione per la
costruzione di un capolavoro. Sono i personaggi emblematici di quellumanesimo
che giusto con loro era nato e con loro conosceva la prima crisi. Secondo il
Baron segnata dai fallimenti di Cola di Rienzo, delle grandi banche fiorentine
e dalla peste [34]; Alessandro Barbero vi ha aggiunto anche la morte di
Roberto dAngi [35].
Se
si tratta di personaggi eccezionali, la norma volle che di quel male le
cronache fossero, comՏ notorio, i testimoni principali, anche se non unici [36]. Una letteratura ormai imponente, cresciuta
rapidamente a partire dalle primissime ricerche degli inizi del secolo scorso
fino ai giorni nostri, ha assodato vie di approccio, metodi via via pi
raffinati di lettura, possibilit di collegamento e di verifica mediante il
ricorso ad altro tipo di fonti. Noi procederemo, se non del tutto estranei a
questa tradizione di studi, tuttavia per una strada diversa. Tra le possibili
prospettive di lettura sceglieremo quella che sulla peste ci indichi non i
dati, che interessano ora al medico [37], ora al demografo [38], allo storico delleconomia ed a quello della
mentalit [39], ma il senso che la peste ha nellopera di alcuni
cronisti coevi. Non ci faremo, insomma, nessuna delle domande che lisabeth
Carpentier elencava efficacemente nellintroduzione al suo studio del fenomeno
ad Orvieto [40]. Non essendo un medico, un demografo, n uno storico
delleconomia o della mentalit, mi porr anzi agli antipodi di chi considera
la peste del 1348 un fenomeno che va visto esattamente collocato in un insieme
politico, sociale ed economico, punto di partenza per lo studio delle
condizioni di vita di allora invece che bersaglio - proprio la posizione
della Carpentier [41] -; mirer invece a considerare largomento peste
nello squisito campo storiografico, interessandomi della veridicit dei dati
forniti dai cronisti solo ed in quanto funzionali alla restituzione del mondo
storiografico - a riguardo della peste, naturalmente - della cronaca che
correda con quei dati il suo ricordo della malattia. Non mi interessa qui
mettere in parallelo la descrizione dei sintomi e del decorso della peste, su
cui del resto cՏ una pressoch totale concordanza nelle fonti, tale per da
non fugare i nostri dubbi [42], quanto rilevare il quadro in cui il fenomeno si
colloca nella prospettiva dei singoli o di un gruppo di cronisti; poich non
certo laspetto medico quello che pi ci pu dire sullimpatto che il morbo
- e il ricordo pi o meno immediato di essa - ebbe sui contemporanei, mentre
invece i segni che preannunciano ed accompagnano lepidemia, i provvedimenti presi,
il comportamento generale ed individuale, le reazioni dirette ed indirette, e
soprattutto il significato ultimo del male restituito dalle cronache,
costituiscono il nostro obiettivo.
Abbiamo
detto alcuni cronisti, poich non tutto naturalmente ci pervenuto - il
caso, ad esempio, del capitolo relativo dellanonimo autore della vita di Cola
di Rienzo, che andato perduto -, e daltra parte non neppure pensabile
render conto di tutti coloro che ricordano la peste, pena annegare nel mare
magnum, visto che il fenomeno colp
a tal punto che non cՏ quasi chi non la ricordi, seppure fugacemente. E
neppure pensabile che il ristretto arco di attivit di un singolo cronista
possa in qualche modo rispondere a quelle domande di lungo periodo che tanto
sono state coltivate in maniera privilegiata qualche decennio fa [43]. N, infine, ci si chieda di illustrare la fortuna
del tema della peste, visto lo spazio a nostra disposizione.
1.1. Boccaccio
|
E
partiamo con lo sgombrare il campo da quello che a noi pare un equivoco. Tra le
descrizioni della peste la pi impressionante, la pi letterariamente compiuta,
in una parola la pi bella, e ben presto ripresa [44], si sa, quella che apre il Decameron di Giovanni Boccaccio, su cui, ovviamente, si
esercitata, dal Petrarca ad oggi, la migliore critica. Ma varr la pena
soffermarsi un poco non sul valore e la finalit letteraria di quella
introduzione nelleconomia dellopera, che lasceremo giustamente agli
italianisti, quanto piuttosto sui moduli adoperati dal grande narratore, con
occhio particolarmente attento al quadro complessivamente fornito dai cronisti
contemporanei, nellintento di cogliere quanto la costruzione letteraria
debba agli stilemi pi propri di quel tipo di cultura.
Se
infatti ormai indubbio che lintroduzione vada vista come estremamente
funzionale, necessaria in quellunit ideale e fantastica del Decameron, che solo in questi ultimi tempi abbiamo ritrovato
con gioioso stupore, come si esprimeva qualche anno addietro Vittore Branca [45], nessuno pu negare che - non suoni scandalo -
quella descrizione una pura pagina di cronaca: si provi ad immaginarla
proprio come composizione a s, e lo si constater agevolmente; ed ancora
nessuno pu negare che il Boccaccio avesse sul tema dei modelli. Il Decameron sar la risposta alluniversale dissolvimento della
vita civile nella Firenze divorata dallavidit e dallegoismo, nellonest
dei giovani che si ritirano nella villa fiesolana [46], ma ci non toglie che alla domanda principe, il
perch della pestilenza, il Boccaccio risponda, alla fin fine, del tutto
convenzionalmente, che si trattava della manifestazione della collera divina di
fronte alla iniquit umana: lira di Dio a punire le iniquit degli uomini
con quella pistolenza, dando, fra laltro, il suo contributo - ed anche in
questo caso niente affatto originale - ad una discussione, per dir cos, di
moda allora [47]. Se indubitabile che si tratti di una
impostazione particolarmente coerente allidea centrale dellopera e alle
convinzioni poetiche che ne regolano lattuazione [48], altrettanto indubitabile che la medesima risposta
avevano dato tanti fra i cronisti coevi. La peste fiorentina sar una
occasione emblematica, scelta letteraria consapevole e meditata, ma,
innegabilmente, anche drasticamente imposta dalla storia. Discorso analogo si
pu fare a proposito dellinsistenza del Boccaccio sulla desolazione del
paesaggio, in citt ed in campagna, e soprattutto sul manifestarsi di quegli
atti disumani che tanto colpirono i contemporanei, non solo fiorentini, o
toscani, non solo dellItalia, dalla Sicilia a Milano, ma dellintera Europa,
dalla Spagna alla Boemia. Se sono questi spettacoli di disumanit, di
rinnegamento di ogni viver civile che il Boccaccio osserva come estremi sintomi
di depravazione, come segni fatali di un ritorno alla squallida condizione
dellhomo homini lupus [49], sono pur sempre i medesimi segni che moltissimi in
Europa colsero come organicamente legati al diffondersi del contagio. Se noi
intendiamo la descrizione boccaccesca della peste come manifestazione artistica
della consapevolezza dellautore delluniversale dissolvimento [50], su questa base dovremmo riconoscere la medesima
consapevolezza, magari meno artisticamente compiuta, in moltissimi dei
contemporanei, che usano le identiche espressioni.
Tra
i modelli su cui si impegn, nella sua imitatio, il Boccaccio sono state variamente indicate le
pagine sulla peste di Tucidide o di Lucrezio - che in realt sembra impossibile
che il certaldese conoscesse direttamente -, di Isidoro di Siviglia, e poi di
Virgilio, Ovidio, Livio, Seneca, Lucano [51]; ma quello che ha avuto maggior fortuna, perch
autorevolmente additato per primo dal Branca, la descrizione di Paolo Diacono
nella Historia Langobardorum II,
4. Francamente colpisce non tanto laccostamento, pienamente giustificato dalla
sicura conoscenza che di quellopera aveva il Boccaccio, quanto il favore
generale che lha contraddistinto: a me, confesso, risulta incomprensibile il
confronto tra il brano del Decameron I, Introduzione 27 [52] che dice:
lun fratello laltro abbandonava e il zio il
nepote, e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e,
che maggior cosa e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli,
quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano |
a
Paolo Diacono nel luogo citato [53]:
Fugiebant filii, cadavera insepulta parentum
relinquentes, parentes obliti pietatis viscera natos relinquebant aestuantes, |
quando
possiamo leggere nella cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura [54]:
ognuno era inpaurito che luno non volea aiutare
laltro, el padre abandonava el figliuolo, el figliuolo abandonava el padre e
la madre e fratelli, e la moglie el marito; |
in
Matteo Villani [55]:
le madri e padri abbandonavano i figliuoli, e i
figliuoli le madri e padri, e luno fratello laltro e gli altri congiunti. |
in
Marchionne [56]:
Lo figliuolo abbandonava il padre, lo marito la
moglie, la moglie il marito, luno fratello laltro, luna
sirocchia laltra; |
in
Marco Battagli [57]:
pater postea infirmum filium evitabat,
frater fratrem, uxor virum; |
nella
Chronica abreviata di Parma [58]:
pater et mater vitabat filium, et uxor maritum,
et filius patrem et matrem; |
nelle
Storie Pistoresi [59]:
lo padre abbandonava li figliuoli, e figliuoli
lo padre e la madre, e luno fratello laltro; |
in
Pietro Azario [60]:
vidi patrem de filio et filium e contra de patre,
fratrem de frate, amicum de amico, vicinumque de vicino penitus non curare; |
in
Giovanni da Parma [61]:
Christiani evitabant se invicem, tamquam lepus
leonem, vel sanus leprosum, et dico tam de patre vel de matre contra filium,
et e converso, vel de sorore contra fratrem, et e converso, vel de propinquo
contra propinquum, quam de illis qui non noverant se; |
nel
Breve Chronicon Flandriae, ben
lontano dallItalia [62]:
nec pater visitat filium, nec mater filiam, nec
frater fratrem, nec filius patrem, nec amicus amicum, nec notus notum, nec
quicunque quemcumque alteri coniunctus sit sanguine; |
e
perfino in una iscrizione veneziana [63]:
el pare no volea andar dal fio ne l fio dal
pare; |
e potremmo continuare molto a lungo. Dobbiamo vedere
la ripetizione del modello offerto da Paolo Diacono anche in tutti quanti gli
altri? Come credere a quella suggestione antica, quando luniformit della
descrizione, e la ripetitivit fra un cronista e laltro non possono che far
pensare ad un modello diffuso, al quale tutti ricorrono perch consacrato ormai
dalla consuetudine, e perch in realt nessuno di questi cronisti se la sentiva
di negare credibilit a quello che era divenuto subito un luogo comune,
soprattutto nella convinzione che, se non si era stati testimoni diretti (anche
la presenza di Boccaccio a Firenze nel 1348 dubbia), altrove la cosa si era
sicuramente verificata, visto che lo ripetevano tutti. Quando ci sono da
raccontare fatti pi singolari, lo si fa, come Marchionne, che moltiplica gli
aneddoti.
N
si tratta solo di questo misero passo, perch sarebbe estremamente agevole
scomporre analogamente lintera introduzione del Boccaccio, frase per frase,
parola per parola, dallinizio alla fine. Diamo un saggio, tra diversi
possibili, partendo proprio dalle prime battute:
Boccaccio
Dico adunque che gi erano gli anni della fruttifera
incarnazione del
Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia citt di Fiorenza pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali,
alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle dinumerabile quantit de viventi avendo
private, senza ristare dun luogo in uno altro continuandosi, verso lOccidente miserabilmente sera ampliata.
Cronache
negli anni di Cristo, dalla sua salutevole incarnazione (M. Villani) MCCCXLVIII fu nella citt di Firenze (Marchionne) pistilenziosa
mortalitade (Storie
Pistoresi) la
congiunzione di tre superiori pianeti (M. Villani) humana iniquitas iusta Dei sententia (M. Battagli) ad correctionem humani generis (Cortusi) preteritis vero proximis annis (Klner Weltchronik) Cominciossi nelle parti
dOriente (M.
Villani) cum innumerabili mortalium cede (Liber regiminum Padue) nec cessavit frequenti discursu diversas nunc
has nunc illas pervagans regiones (Klner Weltchronik) E venendo aggiunse alle parti vicine (M. Villani) versus
ocidentem (M.
Battagli).
E,
insisto, si potrebbe continuare passo passo, fino alla fine. Perch non
concludere allora, semplicemente, che il Boccaccio fonde sapientemente, da par
suo, materiali diversi che discorsi e scritti dei contemporanei gli fornivano a
dismisura [64], rinunciando a rintracciare un modello unico,
soprattutto nellantichit, visto che il tempo presente era sovrabbondante nel
fornire esempi, luoghi comuni gi elaborati, tesi a commuovere od inorridire, e
altro alla bisogna; in una parola un genere ben definito?
2. Il modulo
|
Un
genere con una sua tipologia, forse esemplato per primo da Giovanni Villani [65], comunque impostosi presto, perfino in versi [66] con una struttura schematica precisa e sviluppo di
alcuni motivi cardine; tipologia che varr la pena di delineare rapidamente, al
fine di assodare il quadro generale, nel quale, successivamente, indicheremo
alcune posizioni rilevate. Il modulo corrente affronta in successione il tema
delle cause prossime, quindi della fenomenologia del male, da ultimo,
eventualmente, della sua ragione profonda.
2.1. Le
cause prossime
|
Un
grande fuoco dal cielo, registrato solo dubitativamente da Matteo Villani,
per molti, un anonimo cronista svizzero, come per il Chronicon Estense, la causa vera della peste; tra le cause per altri [67].
Pi
o meno lo stesso per la pioggia di serpenti avvenuta in Oriente, verificatasi
dopo il fuoco di cui sopra per alcuni, prima per altri [68].
La
congiunzione astrale di Saturno, Giove e Marte, considerata nefasta
generalmente tra i dotti come tra i cronisti, ritenuta non determinante dai
colti di medicina, tra gli altri Pierre de Damousy, che scrive a Reims poco
prima dellarrivo della peste, e da Gentile da Foligno a Perugia, ma comunque
da entrambi citata tra le cause del male [69]. La spiegazione di un evento con la posizione degli
astri era comune, soprattutto in Italia [70]. Konrad von Megenberg la giudica una concausa, che
pu favorire i sommovimenti del mondo, non certo la causa prima ed agente [71]. Determinante pare invece nella Chronica de
Ducibus Bavariae [72]; in altri variamente, ma comunque un segno
premonitore [73].
Pi
occasionali sono i cenni ad altre cause prossime. Jean de Venette nota che la
peste cominciata a Parigi, alla fine di agosto, contemporaneamente
allapparizione di una cometa [74], come gi Giovanni Villani [75]; ma si trattava in quel caso di un atteggiamento
secolare, che lintendeva come preannuncio, pi che causa. Pierre de Damousy a
Reims accusa i venti caldi del Mezzogiorno che portano lumidit di debilitare
i corpi e di predisporli al contagio [76], ed allinizio dagosto 1348, quando Parigi attende
la peste nellangoscia, osserva che il vaiuolo, che compariva allora a Reims,
considerato come un segno precursore della grande epidemia [77].
Alcuni
indicano la corruzione dellaria [78]. Gabriele de Musssi, che descrive con tanti dettagli
il ritorno da Caffa delle galere genovesi portatrici della peste, o Gentile di
Foligno a Perugia, o Guy de Chauliac e Chalin de Vinario ad Avignone, credono
agli astri ed allaria impestata, ma pi ancora al contagio per ammorbamento
dellaria, come del resto anche Jean de Venette [79].
Anche
i terremoti risultano tra le concause della peste, quando non la causa [80]; cos a Orvieto, poco dopo lepidemia, il 9
settembre 1349 un grave terremoto atterrisce tanto gli abitanti, come segno
premonitore di un ritorno del male, che tutti si danno ad esercizi pii per scongiurarlo
[81].
Infine
cՏ anche chi onestamente ammette che non se ne conoscevano affatto le cause [82].
2.2. La
fenomenologia
|
Quando
si tratta di descrivere propriamente il male di solito si comincia con
lindicarne lorigine geografica, quindi i modi di trasmissione, i sintomi,
lampiezza di diffusione, le caratteristiche peculiari, la durata, gli effetti;
questi ultimi a loro volta illustrati accennando al tasso di mortalit, alla
qualit delle perdite, alle vittime illustri, allimpotenza dei medici, alle
conseguenze economiche; infine le reazioni, i comportamenti indotti ed i
provvedimenti presi per affrontare lepidemia.
2.2.1. Provenienza
|
Concordemente
la provenienza del morbo indicata nellOriente, dove attiva per un periodo
pi o meno lungo, prima di passare in Occidente. Il piacentino Gabriele de
Mussi uno dei pi informati - e, pare, molto prossimo alla verit dei fatti [83] - sui momenti della trasmissione del contagio:
furono i Genovesi a portarla dalle colonie italiane pi orientali, dai porti
del Don ed intorno al Mar Nero, da Tana e Caffa, nei territori propri bizantini
(a Costantinopoli lepidemia infuri alla met del 1347) [84]. Giovanni Villani sapeva che pi o meno nello stesso
periodo ne era colpita Trebisonda [85]. Per il Chronicon Estense la peste
giunse dal lontanissimo Captay in Persia; due galee genovesi la portarono a
Costantinopoli ed a Pera, quindi a Messina, in Sardegna, ed infine a Genova;
poi lautore del Chronicon sapeva
che aveva colpito Marsiglia e quindi la regione intorno a Parigi. La Chronica
abreviata riferisce che da Genova la
moria si diffusa rapidamente (post paucos dies) in Lombardia, Toscana,
Marche, Puglia, ma che soprattutto era risultata particolarmente attiva nelle
regioni oltremontane, in Provenza, Francia, Aragona, Spagna, Inghilterra,
Germania, Boemia ed Ungheria [86]. La Chronica de Ducibus Bavariae, meno informata, genericamente riporta che la peste
ha regnato per otto anni prima di raggiungere la Baviera, vale a dire dal 1341,
in partibus primo transmarinis, deinde Gallicanis [87].
2.2.2. Modo
di trasmissione
|
Sono
i mercanti a portarla in Occidente, prima in Grecia, poi in Italia, e quindi
alle regioni contermini [88]. Lestrema facilit del contagio sottolineata
universalmente [89].
2.2.3. I
sintomi
|
Di
solito la comparsa dei primi segni della peste - i bubboni alle ghiandole
linfatiche - si accompagna a febbri e dolori; il segno ultimo
lespettorazione sanguigna [90]. La cronaca di Saint-Aubin di Angers dice dei
bubboni come casi particolari: alcuni avevano degli ascessi o dei noduli
allano o sotto le ascelle, e di quelli qualcuno scampava; altri avevano sui
corpi delle macchie rosse o branastre, ed alcuni sputavano sangue: per costoro
non era alcuna speranza [91].
La
grande frequenza delle morti improvvise, o sopravvenenti qualche ora dopo i
primi segni, uno dei sintomi pi caratteristici e gravi della peste. Ogni
decesso un po rapido allora sospetto e, se ne avvengono altri nei dintorni
del defunto, la paura si impadronisce di tutti i circostanti. Le morti subitanee
sono numerosissime allinizio dellepidemia; quasi nessuno sopravvive al quarto
giorno [92].
2.2.4. Ampiezza
di diffusione
|
Oltre
la nota tecnica, non iperbolica,
Fuit generalis mortalitas maxima [93], |
che indica come ormai la malattia sia diffusa
ovunque, non pi solo in alcune zone circoscritte [94], cՏ chi distingue tra citt e campagna, tra classi
elevate e basse, tra ricchi e poveri, tra giovani e vecchi [95].
2.2.5. Caratteristiche
della malattia
|
Peculiari
della peste furono la repentinit ed ineluttabilit del male [96], con caratteristiche di eccezione [97], fino ad allora ignote [98]. Nelluniformit generale Jean de Venette uno dei
pochi a notare conseguenze diverse in diversi luoghi [99]. Un tpos largamente diffuso lincapacit a descrivere la terribilit del morbo
[100].
2.2.6. Durata
|
Lepidemia
dura normalmente dai tre ai sei mesi [101].
2.2.7. Effetti
|
Lentit
percentuale delle morti varia tra il 33 e l80% [102]. Il Chronicon Estense riferisce quello che si era saputo in Valle Padana: a
Costantinopoli le vittime della peste erano l89% dellintera popolazione,
530.000 erano stati i morti in Sicilia, in particolare a Messina; a Trapani
nessuno si era salvato; in Sardegna era scomparso il 90% degli abitanti; a
Genova le vittime erano 40.000; Marsiglia era un deserto; a Parigi in un solo
giorno di marzo si erano sepolti 1.328 morti, e non era il conto totale; nella
citt di Nobellese di 2.000 uomini darme non erano rimasti in vita che 200;
unaltra citt, Avarexe, era deserta, cos come molte altre per la massima
parte devastate [103]. In marzo lepidemia aveva colpito Napoli, e in due
mesi si era portata via 84.000 persone. In aprile Venezia e Chioggia, causando
600 decessi al giorno; contemporaneamente dallaltra parte della penisola non
diversamente Pisa soffriva per il medesimo morbo [104].
Inutile
discutere ancora su questi numeri, generalmente inverosimili [105]: la violenza dellepidemia divenne ben presto
leggendaria, cos che le cifre comunemente fornite dai cronisti hanno valore pi
letterario che documentario [106]; non si pu che considerare il loro valore
esclamativo, non essendoci consentito un controllo statistico accettabile [107], e non potendo noi estendere a tutti i cronisti una
osservazione di Arsenio Frugoni circa un passo di Giovanni Villani, a proposito
di una interpretazione della storia di Firenze [108]. Rimarchevole che la piccola cronaca di
Saint-Aubin-dAngers, con una obiettivit rara per lepoca, e tanto pi
meritoria in quanto il convento aveva perduto poco pi della met dei suoi
abitanti, compreso labate, riconosca che la peste non infuri ugualmente in
tutti i paesi, poich in certi luoghi sopravvisse un decimo del totale, in
altri un sesto, in altri un terzo, in altri un quarto [109].
Come
per il numero delle vittime, anche la valutazione sulla qualit delle perdite
varia notevolmente. CՏ concordia nel rilevare che molte famiglie si estinsero
totalmente [110], ma poi chi insiste sul fatto che scomparvero i pi
rappresentativi, tanto fra i nobili quanto tra i popolani [111], e chi al contrario, come Guglielmo Cortusi, che
mirabile la peste non uccise n un re, n un principe, n un dominus
civitatis [112]. Chi nota che prima erano colpiti i fanciulli, poi
quelli di costituzione pi robusta [113], e chi allopposto che la mortalit era in personis
validis et iuvenibus magis quam in senibus et debillibus [114]. Per il monaco della Continuatio Novimontensis monaci e monache furono tra le vittime pi numerose [115], ma anche per Giovanni da Parma fratres et sacerdotes
in Tridento quasi omnes sunt mortui [116]; curiosamente Guy de Chauliac ad Avignone nel 1361
dice che la peste ha fatto poche vittime tra le donne, e non detto non
facesse un confronto con quella del 1348 [117]; per Agnolo di Tura e gli Annales Mellicenses infuri pi nel contado che nelle citt [118]. Ad Orvieto la peste arriva ai primi di maggio,
cominciando dai quartieri poveri e cresce rapidamente di gravit fino a luglio,
quando raggiunge i quartieri ricchi e quando - testimonia il Discorso
historico - in un giorno solo
morirono 500 persone, grandi et piccoli, et maschi et femmine. Ancora il
cronista del Discorso historico
attribuisce la morte improvvisa in gran parte alla paura: Et era si grande la
mortalit et lo sbigotimento delle genti, che morivano di subito [119]. La variet di valutazione grande, e se sar da
ammettere in generale che gli strati socialmente pi deboli fossero
maggiormente falcidiati dalla peste [120], non per affatto possibile, sulla base delle
relazioni cronistiche, concludere unilateralmente col Mollat che La Peste Nera
decim i poveri, ma non annient la povert, o che Furono decimati tutti i
livelli det [121]: daltra parte i cronisti inglesi, Guy de Chauliac
ad Avignone e Jean de Venette a Parigi, notano nel 1361 che bambini ed
adolescenti sono i pi colpiti, mentre la peste del 1348 aveva falcidiato tutte
le et [122].
Qualcuno,
come Marchionne, nota che la malattia colpiva anche gli animali domestici [123].
Non
frequentissima, la registrazione dei personaggi di rilievo che furono vittime
della peste comunque uno dei motivi ricorrenti: un elenco di personalit
ragguardevoli fornito da Agnolo di Tura [124]; di peste era morto a Firenze Giovanni Villani, dice
Matteo; Giovanni dAndrea naturalmente ricordato a Bologna [125]; la morte dellabate dal Chronicon Sublacense [126].
Lincapacit
dei medici a porre un qualche rimedio si accompagna al loro terrore di fronte
ai malati [127]; e ci furono anche medici improvvisati per avidit [128]. Guy de Chauliac, medico di papa Clemente VI ad
Avignone, nota che lepidemia si risolse nella vergogna pi totale: Ed io, per
evitare linfamia, non osavo allontanarmi, ma con continua paura mi curavo [129].
Le
conseguenze sulle attivit artigianali e commerciali normali furono
impressionanti, soprattutto in Italia [130]. A Firenze in particolare la vita economica sub un
fierissimo colpo; ma i pi intraprendenti si riebbero presto: gi il 22 marzo
1349 il diario della famiglia Alberti registra uno stato buono della famiglia
ed ancora migliori prospettive future [131]. Altrove per pare che non si possano registrare
gravi conseguenze, eccetto che sul piano demografico [132]. Generalmente i cronisti sono concordi nel rilevare
labnorme crescita dei salari successiva alla peste, ma non la stessa cosa si
pu dire dei prezzi [133].
La
prima difesa, comՏ comprensibile, fu la fuga dalla citt in preda al contagio;
dovunque, ad Orvieto come a Siena e Firenze, a Venezia come ad Avignone e
Vienna [134].
A
Firenze nel 1348, malgrado linterdizione degli assembramenti, eccezionali
processioni vengono organizzate per implorare quella Vergine [135], la cui immagine si vede il 16 agosto 1348 a Tournai
piangere di compassione per le sofferenze degli uomini [136]. A Vienna il medesimo anno, in un grande slancio di
contrizione e di mortificazione, tutti i partecipanti, clero in testa, si
tolgono le calzature e seguono a piedi nudi le processioni. Per converso,
tuttavia, come a Orvieto, non per timore di favorire il contagio, sembra, ma
per la disorganizzazione del clero in seguito alla violenza dellepidemia,
anche processioni abituali, come quella di S. Giovanni il 24 giugno, sono
rimandate di sei giorni, e quella dellAssunzione, il 14 agosto, non ebbe luogo
[137].
I
preti, alla pari dei medici, sembrano dimentichi dei loro doveri di assistenza,
e comunque risultano insufficienti [138]. Marchionne dice che a Firenze si erano
scandalosamente arricchiti facendo pagare salatissimi i loro servizi e
visitando con debite precauzioni [139].
Jean
de Venette, Michele da Piazza in Sicilia, Pierre de Damousy a Reims, Gilles li
Muisit a Tournai notano tutti come il clero intero colpito dai suoi obblighi,
ed il clero regolare pi ancora del secolare, perch i suoi membri non solo
portano il soccorso materiale e spirituale a domicilio, ma aggiungono a questo
rischio anche quello della vita in comunit [140].
Le
sepolture si facevano a fatica [141]; cimiteri e fosse comuni fuori citt si
moltiplicarono [142]. Nel 1349 a Tournay [143] si proibisce di seppellire dentro e nei pressi delle
chiese ed i magistrati fanno costruire due nuovi cimiteri in citt, ma questa
misura, considerata allepoca come necessaria per la salubrit degli
agglomerati, urta con il desiderio dei fedeli di riposare in terra consacrata,
o nella chiesa, per essere pi prossimi al Santo Sacramento o alle reliquie dei
santi di cui cercano lintercessione, ed anche per evitare le profanazioni.
Ci
fu anche la tentazione di abbandonare del tutto le citt colpite [144], e non mancarono gli sciacalli [145]:
Ovunque
regnava lavvilimento, unatmosfera angosciosa [146]. Eppure Matteo Villani ricorda lindulgenza concessa
da Clemente VI, ed i molti che muniti dei sacramenti, cristianamente
rassegnati, si disponevano alla morte, e la Chronica de Ducibus Bavariae insiste nella descrizione delle morti serene dei
molti che con i conforti religiosi si apprestavano allestremo passo, quasi
gaudia celestis patrie pregustarent [147].
Il
Langer [148] ha riassunto gli elementi di psicologia religiosa,
le forme pubbliche di penitenza, la crescita delle opere di carit, le
devozioni [149]; ma poi constata che questo apparente rinnovamento
spirituale, dovuto allimpressione del castigo lasciata dalla peste e dal
desiderio di quietare la collera divina, va di pari passo con una immoralit
crescente e si accompagna talvolta ad un malcontento nei confronti della Chiesa
( il secolo di Wyclif e Huss) ed un automatismo dei mezzi di salvezza ( anche
lepoca del commercio delle indulgenze). E contemporaneamente il ricorso
allastrologia, alla magia, al satanismo. Tutto ci contribuisce alla creazione
di uno stato danimo tipico della fine del Medio Evo. Se ne trova uneco nei
temi prediletti dagli artisti del tempo: la Passione, il Giudizio finale,
lInferno, la Danza macabra [150]. In effetti sono molti i segni del crollo della
moralit pubblica e privata, ad esempio ad Orvieto [151]. Una legge generale sembra essere che la reazione di
fronte al ripetersi dei disastri naturali normalmente o di angoscia disperata
o di sfrenata vitalit [152].
Dopo
il male i superstiti, dotati dei beni dei morti, dimentichi dellorrore
trascorso, divennero pi litigiosi di prima. Leccesso caratterizza il
dopo-peste: intrepide metam excedebant et sine lege quam plures vivebant [153].
Labbattimento
degli spiriti causato dalla peste fu anche, in qualche caso, allorigine
dellindebolimento della funzionalit politica, e ci fu chi, come Francesco di
Montemarte, mise in relazione con la peste la pacificazione tra le parti ad
Orvieto e la soggezione della citt a Perugia [154]. Un legame tra la peste e la riconciliazione tra i
principi austriaci sembra di dover desumere anche nella Continuatio
Novimontensis [155].
In
generale gli interventi delle autorit non sono n tempestivi n massicci, e di
conseguenza di scarsa efficacia [156]. Gli impedimenti per coloro che venivano da zone
infette sono tra le prime misure di difesa adottate dalle citt [157]; ma poi generalmente i forestieri, ed in particolare
i mercanti, vengono respinti oltre le porte [158].
Non
mancarono le rudimentali misure sanitarie per arginare lepidemia. Uno dei
mezzi pi antichi per isolare i malati consiste nel chiuderli dentro le loro
case: il metodo riesce, si dice, a Milano dove, nel 1348 si evita la peste
barricando porte e finestre di tre case infette e chiudendovi gli abitanti
insieme ai malati [159]. In Italia linfezione che i morti son creduti
propagare fa prendere delle misure digiene pi varie. A Catania [160] nel 1347 si decide di bruciare i corpi dei rifugiati
da Messina morti di peste, ed il patriarca per risparmiare ai cittadini la
puzza dei roghi ordina che i corpi dei Messinesi siano bruciati in campagna [161]. Per il resto i consigli a carattere generalmente
preventivo dei medici di Parigi e tutto il loro collegio a riparo della
mortalit, riportati dalle Storie Pistoresi, risultano totalmente cervellotici, tanto che non
siamo assolutamente in grado di riconoscere dove stia il discrimine fra buona
volont e mistificazione [162]
A
Pistoia, nellaprile 1348, solo le vedove hanno il permesso di portare il lutto
che proibito ad ogni altro membro della famiglia dei defunti, proibizione di
annunciare pubblicamente i funerali, di suonare le campane per i morti e le
sepolture, di darsi a qualunque manifestazione esterna di dolore [163].
A
partire dalla peste nera la frequenza degli orfani pone dei problemi alle
autorit locali [164].
2.3. La
colpa
|
Tutti
i cronisti attribuiscono generalmente alla collera divina la causa prima delle
epidemie [165], ma questo era scontato. Era stato cos da sempre:
di fronte allinesplicabile il ricorso al divino automatico. Il male viene
dal peccato; la punizione, o lammonimento, da Dio [166], ed procedimento non limitato ai secoli bui. Se
sono sempre da evitare i paralleli improponibili e spesso irritanti tra
loggi ed il secolo XIV [167], come dimenticare che stato indicato qualche anno
fa il dilagare dellAIDS come conseguenza del disordine dei costumi sessuali,
quindi niente altro che come giusta punizione divina che colpisce i reprobi? Il
punto era, nel 1348, identificare di chi in particolare, in maniera precisa e
concreta, era la colpa di aver suscitato lira divina, e di conseguenza la
peste [168]. Volta a volta in passato si era accusato un
principe, un popolo, e via via le colpe erano state indicate nei vizi capitali,
lavidit, la lussuria, la superbia, la crudelt; nei cronisti coevi alla peste
niente di nuovo, dunque, tanto pi che la Bibbia, il modello per eccellenza di
ogni narrazione, pi volte offriva esempi di tal genere [169]; si pu notare, solamente, che non viene registrata
lopera della Fortuna, alla quale pure, come alla volont di Dio, si ricorreva
con una certa frequenza [170].
Il
nesso peste-colpa, aspetto particolare del pi generale tra calamit e colpa,
si manifest nelle forme consuete: lo storico della povert nota che furono
accusati i poveri, quello delleconomia ricorda soprattutto gli usurai, lo
storico della mentalit i ricchi [171]; ma certo le vittime pi adatte erano gli Ebrei, i
miscredenti, le prostitute [172], soprattutto gli Ebrei, spesso identificati pure
come i responsabili delle povert altrui. Con rara lucidit i cronisti
strasburghesi scrivono che la ragione della accuse e delle persecuzioni
violente stava nel fatto che essi erano semplicemente ricchi [173].
La
tentazione di identificare i colpevoli tra i viventi dovette cominciare molto
presto, ma del tutto estranea allItalia. Le prime accuse di avvelenare le
acque nei confronti di alcuni non meglio identificati homines miseri sono registrate ad Avignone; ne conseguono roghi
continui [174]. Ma poi laccusa diviene nelle regioni centrali
dEuropa specifica nei confronti degli Ebrei, e cambia fondamentalmente il tipo
della imputazione: non tanto colpevoli perch fanno qualche cosa che facilita il contagio - del resto
nessun cronista dellepoca dice una sola parola sulla possibilit effettiva
della trasmissione del contagio mediante gli artifici che a quello scopo si
attribuivano agli Ebrei [175]-, quanto perch sono fondamentalmente responsabili in quanto
costituzionalmente rei. Il carattere scomposto di questo tipo di reazione
risulta palmare dal fatto che laccusa viene rivolta agli Ebrei in blocco: alcuni di loro possono essere costretti a confessare di
avvelenare lacqua, ma i colpevoli sono tutti [176], conseguenza dellidea che si tratti di un blocco
monolitico; lo dimostra ampiamente il fatto che le notizie in proposito sono in
Germania, nella terra di elezione dei tormenti inflitti agli Ebrei,
estremamente generiche; il solo Heinrich von Diessenhofen d indicazioni
precise sui pogrom antiebraici [177]. La punizione arriva al rogo ed alla distruzione
delle case [178], e non raro che si raccolgano diverse vittime in
un luogo per procedere ad una esecuzione in massa [179]: come si faceva con gli eretici. Le azioni contro
gli Ebrei, a differenza di quanto avviene nella gran parte dEuropa - dove sono
accusati di diffondere ad arte il contagio, e perseguitati con un impegno
totale, fino alla distruzione piena [180] o parallalemente al diffondersi delle notizie
sullarrivo del male, o contemporaneamente allinfuriare della pestilenza, (e
del resto ben oltre i limiti cronologici della peste nera [181]) -, in Italia sono molto modeste, si verificano
solamente dopo che lepidemia ha
infierito, e non riguardano affatto laccusa di essere in qualsiasi maniera
responsabili del male: ad Orvieto consistono nella riduzione ad un quarto della
cifra che gli eredi dei debitori defunti per la malattia devono rimborsare ai
prestatori ebrei, non sapendosi esattamente quanto gli scomparsi avevano gi
corrisposto, e nellintento di evitare che si approfitti della situazione [182].
Ma
la ragione profonda del male sta nel peccato: o meglio in un peccato
particolare che si cerca volonterosamente di identificare. Per il cronista
senese colpa degli stessi cristiani, che si uccidono a vicenda, magari
alleandosi con i nemici infedeli [183]:
Queste maledette galee de Genovesi venivano e
aveano aiutato a Saraceni e al Turco a pigliare la citt di Romania che era
de Cristiani e amazaro molti Cristiani e molte pi crudelt e uccisioni fro
quelli Genovesi a Cristiani che non fro i Turchi, e per questo si tenea che
Dio avea mandato tanta mortalit a i detti Genovesi e a Cristiani e in
Turchia, e mor in Saracina e tre quarti e cos de Cristiani. |
Il Breve
Chronicon Flandriae riporta lopinione
diffusa ad Avignone [184]:
Quis finis vel quod principium, Deus scit; quidam
tamen timent quod pro morte Andree regis, qui ita trucidatus fuit, Deus his
malis mundum flagellat. |
Per
Guglielmo Cortusi la peste solo la pi tremenda delle punizioni divine, ma a
scopo correttivo: ad correctionem humani generis [185]; la ragione sta nel perdurare di guerre dovunque [186]:
Hoc tempore Christianitas in quinque locis furebat
in armis. Primo contra Turcos, iuxta Smirnas: et Rex Angliae contra Franciam:
Rex Hungariae in Apuliam: Rex vero Boemiae, electus Imperator, contra
Bavariam: Tribunus Romae oppressus a Patribus fugit in Apuliam. |
In
ogni caso al peccato bisogna porre rimedio. Diverse cronache riportano
lepisodio di quel signore pagano che aveva manifestato lintenzione di farsi
battezzare, ma che, dopo aver sentito che i cristiani erano ugualmente vessati
dalla peste quanto i musulmani, aveva cambiato proposito [187]; doveva insegnare che la colpa della peste non era
nel perdurare del paganesimo. Ci nonostante si rivers generalmente
allesterno, sui non-cristiani, o sui cristiani troppo tiepidi, o sui peccatori
pubblici, laccusa di essere allorigine del male.
Dapprima,
per, ci fu la grande ventata dei flagellanti, risorta grandiosamente giusto
nel 1348 [188]; che per, seppure nata, - pare - ancora una volta,
come nel 1260, in Italia, primo paese occidentale colpito dalla peste, non
conobbe nella penisola gli eccessi che tanto colpirono invece i cronisti
tedeschi e francesi nelle loro regioni, al punto che Frantisek Graus ha
indicato nel nesso peste-flagellanti-persecuzioni ebraiche la cifra pi
appariscente della crisi europea della met del secolo [189].
Persecuzioni
ebraiche e penitenti pubblici impressionarono grandemente i contemporanei, non
necessariamente in questordine; in molti casi si riferiscono prima le
manifestazioni dei penitenti, quindi le persecuzioni, come negli Annales
Mellicenses [190]. E molti, ad esempio la Continuatio Zwetlensis
Quarta e Froissart, diedero maggiore
rilievo al fenomeno dei flagellanti, pi che alla peste che laveva causato [191].
* * *
Su
questa base tipologicamente comune si evidenziano, per una maggiormente
caratterizzata posizione, alcuni cronisti. Procediamo di qui in avanti seguendo
litinerario geografico e, grosso modo, parallelamente cronologico, della peste
in Europa. Non stupisca veder riservato maggiore spazio allItalia, che vide
per prima il male e pi ne sofferse: pi ne parlarono i suoi cronisti.
3. Italia
|
3.1. Michele
da Piazza
|
Il
primo cronista di rilievo che incontriamo il siculo Michele da Piazza. Il
quadro dellepidemia da lui fornito [192] particolarmente vivace. Poco incline alle ampie
interpretazioni, Michele intende il tempo del flagello, alla pari di ogni altro
evento da lui registrato, come realt viva di sua vita [193].
Lo
scoppio della peste avviene in un quadro idilliaco:
Siculis vero de huiusmodi pace nimium
congaudentibus, et sub pace existentibus tranquilla Deum collaudantibus de
tam immenso dono, quod antiqui Reges Siculi hactenus obtinere minime
potuerant, |
appena velato - nimium congaudentibus - dalla
deprecazione di un eccesso di fiducia nella felicit dello stato presente. Ma
ecco che allinizio di ottobre del 1347 dodici galee genovesi attraccano al
porto di Messina. Su di loro pesava la collera divina:
divinam fugientem ulcionem, quam Dominus noster
pro eorum iniquitatibus desuper eis transmiserat |
Michele
non dice le ragioni dello sfavore divino, che comunque riguarda i forestieri,
non glincolpevoli siciliani. Il male gi nei genovesi, ossibus infixum, e
subito trasmesso, visto che bastava parlare loro, o toccare qualche oggetto
loro appartenuto, per contrarre la malattia, al punto da non poterne scampare.
I segni dellaffezione sono precisi ed inconfondibili: prostrazione totale e
dolore per tutto il corpo, pustole sulle gambe o sulle braccia, quindi sputo di
sangue che durava tre giorni, incessante, incurabile, fino alla morte. Resisisi
conto del male portato dalle galee genovesi, i Messinesi li allontanano dal
porto e dalla citt con la massima celerit. Le navi partirono, la malattia
rimase.
Incapace,
perch fondamentalmente poco o nulla interessato, a trovare una spiegazione
dellinfuriare del morbo, il cronista isolano risolve il tema in una casistica
minuziosa ed accurata, tutta tesa al contrario a restituirne il carattere
totalizzante. Il resto, la vita politica o amministrativa, i protagonisti della
vita pubblica, tutto scompare; rimangono i rapporti personali, o meglio, la
disgregazione di essi. Subito si innesca un crescendo pericolosamente orientato
al completo annullamento dei legami umani, che va perfino oltre la volont dei
singoli: se il figlio si ammalava il padre ricusava di avvicinarsi a lui, e se
osava farlo immediatamente contraeva il male e nel giro di tre giorni esalava
lultimo respiro; e con lui morivano tutti i membri di quella famiglia, e gli
animali domestici. Non solo i rapporti di naturale solidariet familiare sono
cos profondamente alterati, perch allo stesso modo - oltre il volere
personale, ripeto - entra in crisi anche la solidariet religiosa, anche quella
sacramentale, e quella civile che si esprime nel riconoscimento pubblico delle
volont ultime: molti ricorrevano ai sacerdoti per confessare i propri peccati,
ai notai per fare testamento, e preti, giudici e notai non volevano entrare
nelle loro case, e chi entrava non poteva evitare una morte rapida. I frati
degli ordini mendicanti e gli altri regolari che erano assidui nelle
confessioni e nellamministrazione dei sacramenti erano i pi colpiti. I
cadaveri rimanevano abbandonati nelle case: nessuno, prete, figlio, padre,
parente aveva il coraggio di entrare, ma si ricorreva a carrettieri pagati non
poco per portare le salme alla sepoltura. Le case rimanevano aperte, con tutto
quello che contenevano, comprese le ricchezze: se qualcuno avesse voluto
entrare niente glielo avrebbe impedito. Limprovvisa pestilenza si svilupp al
punto che prima non vi fu un numero sufficiente di persone in grado di fornire
aiuto, ed in seguito non ve ne furono affatto.
Infine
la citt devastata tanto da rischiare la fine. I cittadini decidono di
abbandonarla, si vieta agli altri non di entrarvi, ma neppure di avvicinarsi ad
essa. I Messinesi si rifugiano in campagna, in luoghi aerati ed in mezzo alle
vigne ben oltre il limite dellabitato; un gran numero si dirige a Catania,
fidando nellaiuto della vergine Agata; altri passano in Calabria, altri in
diverse regioni della Sicilia.
Ed
il crescendo aumenta di intensit e di orizzonte. Che serve la fuga, se il male
era nelle loro ossa e viaggiava con loro? I fuggitivi morivano nei campi, nelle
strade, sulle spiagge, nei boschi, dovunque. Chi arriv a Catania mor l dove
era stato ospitato, e la mortalit portata dai Messinesi crebbe tanto che a
richiesta dei cittadini catanesi il patriarca decret sotto pena di scomunica
di non seppellire alcun messinese in citt, ma piuttosto fuori, in fosse molto
profonde.
Dopo
i congiunti che si evitavano vicendevolmente, i Catanesi che evitano i
Messinesi. Cera chi per terrore non parlava neppure con essi, ma fuggiva alla
loro vista. Se qualcuno rivolgeva loro la parola, lo apostrofavano: non mi
parlari ca si Missinisi. Non trovavano case dove risiedere, e se non ci
fossero stati alcuni messinesi abitanti a Catania con le loro famiglie ad
ospitarli di nascosto, sarebbe loro totalmente mancato ogni aiuto. Dopo
Messina, Catania; dopo Catania lisola intera. Si disperdono i contagiati, e
giungono a Siracusa, Sciacca, Agrigento, soprattutto Trapani, che quasi
perdette la totalit degli abitanti.
Disegnato
il quadro generale Michele torna sugli individui martoriati, e descrive
minutamente il decorso della malattia: non solo le pustole volgarmente chiamate
antrachi, ma anche ghiandole
crescevano in diverse parti del corpo, sul petto, alle gambe, alle braccia alla
gola. Allinizio erano come nocciole, e venivano insieme ad un gran gelo, e
prostraevano a tal punto che ci si poteva solo stendere, in preda ad una
altissima febbre e ad una angoscia profonda. Poi crescevano come noci, come
uova di gallina, di anatra, ed il dolore enorme e la corruzione degli umori
interni costringevano a sputare sangue, e lo sputo, salendo dal polmone infetto
alla gola, corrompeva il corpo intero, ed il corpo corrotto, non pi sostenuto
dagli umori, esalava lo spirito. La malattia durava tre giorni; nel quarto
almeno il corpo era liberato dalle sofferenze di questo mondo.
Limpotenza
dei rimedi lascia una sola speranza: quella di raggiungere il bene ultimo.
Considerando il breve ciclo del male, i Catanesi, come erano preda del mal di
capo e del freddo intenso per il corpo, subito si confessavano, quindi facevano
testamento. Ma giudici e notai stanchi si rifiutavano di andare per i
testamenti, e se si recavano da qualche ammalato, ne stavano ben lontani; i
sacerdoti non si sottraevano al loro dovere, ma n giudici e notai per i
testamenti, n sacerdoti per i sacramenti, erano sufficienti alla bisogna.
Perci il patriarca, volendo provvedere alle anime, concesse a qualunque prete
la facolt di assolvere dai peccati: tutti quindi guadagnarono certamente il
luogo della salvezza eterna.
Quanto
forte fosse stato il pericolo del totale annichilimento delle grandi citt
dellisola, e della sua vita civile, era stato evidente, ma per quanto
terribile, per quanto segno tremendo della caducit del benessere, non si
trattava della fine del mondo, n di un evento inesplicabile, in sede di
bilancio finale. Il male era venuto da fuori, lo si era subto, non causato; se
non si era stati in grado di combatterlo, si era comunque sopravvissuti. La
peste in Sicilia era stata una prova grandiosa, ma in fondo assimilabile:
niente pi che un brusco cambio di velocit, unaccelerazione inconsueta della
parabola umana, una via rapida verso il destino ultimo delluomo. Il tratto
intermedio si era compresso, ma lalfa e lomega rimanevano inalterate.
3.2. Cronaca senese
|
Lautore
della cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura [194], sa che a Natale la peste in Dalmazia e gi a
Genova [195], portatavi da alcune galee genovesi provenienti dal
Mediterraneo orientale dove avevano combattuto:
Le galee de Genovesi tornaro doltramare e da la
citt di Romania a d ....di novenbre e tornaro con molta infermit e
corutione daria la quale era oltremare, inpercoh in quel paese doltremare
mor in questo tempo grande moltitudine di gente di morbo e pestilentia.
Essendo gionte a Gienova le dette galee tenero per la Cicilia e lassorovi
grande infermit e mortalit, che luno non potea socorare laltro: e cos
gionti a Gienova di fatto vattacoro il morbo grandissimo e morivavi molta
gente, e dur questo pi semane e continuo cresceva il detto morbo e per
questo tutti quelli navili furono tutti cacciati di Genova, e cos si partiro
quelle maledette galee |
Cacciate da Genova le navi vanno a Pisa ad inaugurare
il nuovo anno:
e vennero a Pisa a d....di gienaio, e come
furono a Pisa nella piaza de pesci e a qualunque favellavano subitamente
amalavano di morbo e subito cadevano morti, e cos chi favellava a quelli
amalati o tochasse alcuna di le loro cose, cos di subito amalavano e
morivano, e cos si sparse per tutta Pisa, per modo che vi fu tal d che ne
moriva 400 |
Di
qui, dice il cronista senese, lepidemia si sparse in tutto il mondo. Da Pisa
con le maledette galee a Piombino; nel febbraio a Lucca, a marzo a Firenze,
tra aprile e maggio a Siena, Perugia, Orvieto, ed oltre lAppennino a Bologna e
Modena [196].
Ma
nonostante questo avvio di respiro ampio, almeno sul piano regionale,
lorizzonte del cronista ben presto si restringe recisamente allambito
cittadino. La descrizione propria della peste, dopo un avvio convenzionale [197], sembra prendere la via del ricordo personale: E io
Agnolo di Tura, detto il Grasso, sotterrai 5 miei figliuoli co le mie mani [198], tanto che il Larner rimanda a questa cronaca per
esemplificare come si trattasse di un fenomeno dalle rilevanti conseguenze
psicologiche [199]. Ma dopo questo breve cenno di carattere
autobiografico, il cronista presenta invece una situazione generale,
tipicamente cittadina; anzi tipicamente senese.
Non
gli importa indagare le ragioni, terrene o divine che siano, del male, quanto
piuttosto esclusivamente gli effetti che ebbe lepidemia nella vita della
citt. Ed ecco, nellordine, la sensibilit dei governanti nel provvedere
allassistenza degli indigenti, fino alla sepoltura, linsistenza sulla
decimazione della popolazione [200], labbandono delle opere pubbliche [201] e delle cave dargento, oro e rame, lincapacit ad
impedire lo strazio dei cadaveri da parte delle bestie selvatiche, lelenco dei
notabili vittime del male. Infine, restata la pestilentia, il disordine della
condotta dei sopravvissuti: ognuno che scanp atendevano a godere; frati,
preti monache e secolari e donne tutti godevano, e non si curavano lo spendere
e giocare, e a ognuno pareva essere richo, poich era scanpato e riguadagnato
al mondo, e nissuno si sapea assettare a far niente [202]. Si noti, oltre il rinvio ad un passo parallelo di
Matteo Villani, su cui ha richiamato lattenzione il Mollat [203] - e numerosi altri potrebbero essere ricordati -,
che la sensazione di riacquisto di vitalit fosse per il cronista senese solo
relativa - tutti si consideravano ricchi per il sempice fatto di essere
sopravissuti -, mentre reale invece fu linterruzione di un periodo di
floridezza che aveva visto nella costruzione del nuovo duomo la sua
manifestazione pi appariscente. Il tempio moderno non si costru pi, e non
perch i Senesi, superato il periodo angoscioso della peste, avessero perso la
testa in un totale rilassamento morale:
E per cagione di detta moria si tralass e non si
segu pi oltre per la poca gente che rimase in Siena, e anco per le
malinconie e affanni che ebe chi rimase. E anco li maestri, che tolsero a
fare detto lavorio, quasi tutti morirono. E similmente i cittadini che erano
operai al detto lavoro moriro, il quale difitio si cominci nel 1338, come
indietro detto [204]. |
Erano
venute meno le forze morali e materiali che avevano spinto tempi addietro a
quellopera grandiosa di celebrazione della opulenza della citt. Se in seguito
il cronista sembra di nuovo allineare i fatti degni di menzione per la vita
cittadina, come se nulla fosse cambiato, non pu esimersi dallo stilare un
bilancio finale da cui emerge chiaramente, oltre il moralismo, che la societ
senese nel breve volgere di un anno, profondamente mutata:
1349. Doppo la gran pestilentia de lanno passato,
ogni persona viveva sicondo il suo albitrio; e ogni persona tendeva a godere
di mangiare e bere, cacciare, uccellare e giocare; e tutti li denari erano
venuti a le mani di gente nuova [205]. |
Dove
non conta tanto la deprecazione degli eccessi, quanto piuttosto la
constatazione di un emergere di nuovi ricchi e potenti. Veramente qui la peste
appare giocare un ruolo importante nella storia dello sviluppo della vita
civile in Siena, e la valutazione dello storico moderno, ben pi motivata,
dialoga con quella dello storico antico [206].
3.3. Matteo
Villani
|
Matteo
Villani inizia la sua continuazione della cronaca di Giovanni proprio dalla
peste in cui il fratello maggiore era scomparso. Rivolgiamoci, accogliendo ancora
una volta lesortazione di Arsenio Frugoni [207] a porre particolare attenzione ai prologhi, tanto
fruttuosa - baster ricordare quanto sul piano tipologico servita a Bernard
Guene [208] -, e, per quel che ci interessa qui, particolarmente
al prologo al capitolo primo, che anche, e soprattutto, prologo allintera
opera. In verit molto gi stato scritto circa i prologhi di Matteo [209], veri manifesti programmatici e riassunti icastici
della sua concezione del mondo. Ora quel prologo lillustrazione pi piena
di uno sfiduciato moralismo [210], constatazione del caos che regna sovrano dovunque,
sia per lazione umana, sia per linfuriare delle forze della natura; ma,
chiediamoci, anche consapevolezza lucida di una crisi del mondo presente,
come vedeva proprio qui a Todi qualche anno fa Enrico Artifoni [211]? Se per Giovanni Aquilecchia il pessimismo di Matteo
ha in questo punto la sua prima manifestazione di stampo biblico-cristiano [212], se per il Green quel pessimismo mostra di
risolversi in una per dir cos dissoluzione storiografica [213], ci pare doveroso osservare che la presentazione
dellopera si muove non allindietro, sul piano dellapocalisse, al pi in
rassegnata attesa del giudizio ultimo, ma su quello pi propriamente positivo e
propositivo tutto volto al futuro. Tanto pi che, se Aquilecchia nota come tema
tra i pi interessanti le tirate antiecclesiastiche di Matteo [214], che sembrerebbero rendere materiche nello scritto
della cronaca le tensioni del tempo, tra Firenze ed Avignone, Artifoni ha
mostrato come fossero presenti nel secondo Villani sincera ed appassionata fede
repubblicana e - soprattutto, aggiungiamo noi - una intransigenza guelfa [215] che, per quanto pi reazione emotiva che meditazione
politica, sono in un qualche modo quella risposta alternativa al disordine del
mondo che Aquilecchia pensava arduo poter rintracciare nella cronaca al di l
dello sfiduciato senso del precario [216]. Per dire che se il prologo al primo libro come
allinizio della nona sinfonia beethoveniana, il segno del caos, si dovrebbe
constatare che il resto del lavoro non affatto lillustrazione del regno del
caos; altrimenti non si capirebbe come subito dopo, per quanto sicuramente in
omaggio ad un preciso schema retorico, si giustifichi quella fatica con la
speranza - la parola appare esplicitamente - di giovare, in maniera tutta
particolare a coloro che sono meno sperti, in modo che con fatica e studio
da poter venire a operazioni virtudiose. Di pi: teniamo conto che il quadro
sconsolato del mondo - quadro sconsolato dellesistenza - si prolunga e si
amplifica nei successivi capitoli, dal primo al quinto, che costituiscono
proprio i limiti entro cui si iscrive la peste del 1348.
Consideriamo
la partenza, gi a suo modo ambiziosa: si delinea immediatamente limmane
soffio della storia umana:
Trovasi nella santa Scrittura |
Il
male che colpisce il mondo ha la sua prima motivazione nel male commesso dagli
uomini; cos si leggeva nel prologo allopera,
per la macchia del peccato la generazione umana
tutta sottoposta alle temporali calamit e a molta miseria e a innumerabili
mali |
ed
allo stesso modo si prosegue qui: cos era stato al tempo del diluvio, quando
il peccato aveva corrotto lumanit intera:
avendo il peccato corrotto ogni via della umana
carne [217]. |
In
seguito, se non vi furono pi diluvi universali, in accordo con la promessa
divina a No, suggellata dallarcobaleno [218], che per Matteo non ricorda affatto, si
susseguirono diluvi particolari, mortalit, corruzioni e pistolenze, fami e
molti altri mali che Iddio ha permesso venire sopra gli uomini per li loro
peccati. Questa insistenza sui diluvi non pare affatto puramente topica,
visto che i due anni precedenti erano proprio stati caratterizzati da
unanomala abbondanza di piogge, come abbiamo ricordato sopra, e la stessa
parola diluvio, in volgare ed in latino, si trova largamente adoperata in
proposito nei testi coevi, di cronisti e non [219]. Quindi Matteo d un saggio di storia delle grandi
epidemie, ovviamente per quel che sa. E sa - con qualche confusione -
dellepidemia al tempo di Marco Aurelio Antonio [220] e Lucio Aurelio Commodo imperadori; poi di quella
al tempo di Gallo Ostilio Augusto e Bolusseno suo figliuolo, occupatori dello
imperio e gravi persecutori dei cristiani [221]; continu per i tre lustri successivi [222]. Ma poi pi nulla; la sua cultura storica troppo
modesta per consentirgli di proseguire la rassegna, e subito viene al caso
presente, che, naturalmente, non solo regge il paragone con le pestilenze
antiche che ha ricordato, ma addirittura le sovrasta per lampiezza delle
regioni colpite, universale giudicio, perfino superiore incomparabilmente, se
guardato dallentit delle vittime, a quello del diluvio universale, che colp
i pochi abitanti della terra di allora [223].
Ma
tempo per il Villani di entrare in argomento. Linizio proprio a dir poco
sconcertante: Matteo si propone di narrare lo sterminio della generazione
umana, scandendone tempi e modi, fenomenologia e vastit, e subito si stupisce
non della terribilit del male, ma piuttosto della molta misericordia usata
dalla divina giustizia in quelloccasione, visto che lumanit sarebbe stata
invece degna per la corruzione del peccato di final giudizio. Il peccato in
questione non certo quello originale, ma anzi il dilagare presente del
peccato, giunto a tanto da meritare lestinzione estrema. Anche se poi il
Villani non ci dice affatto in che consistano quei peccati talmente diffusi da
causare la collera divina. In realt proprio questa indeterminatezza a
chiarire di che si sostanzi e fino a che punto giunga il tanto conclamato
scetticismo villaniano. Se il cronista senese giudicava lepidemia giusto
castigo divino per il malvagio comportamento dei genovesi, esteso poi per
riverbero a tutta la cristianit [224], Matteo, che pure sa bene del modo preciso in cui il
male giunto in Occidente, ne incolpa lintera razza umana: per il senese il
tramite furono le maledette galee de Genovesi; per il fiorentino alcune
galee dItaliani. Ugualmente in chiave cosmica, viene intesa la parabola
complessiva del male. Lavvio solenne, Videsi negli anni di Cristo, dalla sua
salutevole incarnazione, 1346, non puro dato cronologico, ma afflato
provvidenziale in cui situare esattamente il fenomeno. Cos la precisazione
astrologica, su cui evidentemente molti avevano attirato (poi) lattenzione,
per additarne un segno premonitore, viene riportata per dovere di cronaca [225], ma con la precisazione esplicita che non certo l
sta la ragione profonda del male: a questa conclusione conducono una
constatazione a met tra lo scientifico ed il senso comune, e la convinzione
religiosa:
la congiunzione di tre superiori pianeti nel
segno dellAquario, della quale congiunzione si disse per gli astrolaghi che
Saturno fu signore: onde pronosticarono al mondo grandi e gravi novitadi; ma
simile congiunzione per li tempi passati molte altre volte stata e mostrata,
la influenza per altri particulari accidenti non parve cagione di questa, ma
piuttosto divino giudicio secondo la disposizione dellassoluta volont di
Dio. |
Matteo
ripete qui quanto gi il fratello Giovanni aveva osservato a proposito della
pestilenza del 1347 [226]; Boccaccio era stato apparentemente neutrale [227]:
mortifera pestilenza, la quale o per operazione
de corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a
nostra correzione mandata sopra i mortali |
Ma
la peste serviva al grande narratore per disegnare il suo contrario, lo scuro
su cui tracciare i disegni chiari delle speranze e dei lieti conversari; per
Matteo invece il momento ammonitore dellapocalisse finale, il flagello che
colpisce tutti, gli uomini dogni condizione di catuna et e sesso, prima in
Oriente dove ha origine, e poi in Occidente. Anche la vastit del quadro
geografico,
Cominciossi inverso il Cattai e lIndia [228] superiore si venne di tempo in tempo e di gente
in gente apprendendo: comprese la terza parte del mondo che si chiama Asia
saggiunse alle nazioni del Mare Maggiore e alle ripe del Mare Tirreno, nella
Soria e Turchia, e in verso lo Egitto e la riviera del Mar Rosso, e dalla
parte settentrionale la Rossia e la Grecia, e lErminia e laltre conseguenti
provincie, |
anche questo accumulo, dal generale (lAsia) alle
regioni pi particolari ed individuate, ma sempre con una riserva di mitico, lontano
ed in fondo terrorizzante, situa larrivo del male in un immane soffio divino
che avvolge lumanit. Di questa terribile grandiosit devono prendere
coscienza i lettori, non i fiorentini, non gli Italiani, ma le nazioni che
dopo noi seguiranno; questa la ragione precisa per cui scrive Matteo.
Le
galee dItaliani venute dallOriente infettano la Sicilia, e quindi Pisa, e
Genova. Quindi riprende vigore il grande respiro provvidenziale: conseguendo
il tempo ordinato da Dio, parallelo apocalittico dellevangelico tempo della
salvezza, la mortale pestilenza avvolge la Sicilia intera, e quindi lAfrica,
il Tirreno e le sue isole e tutta Europa: lItalia, la Provenza, la Spagna fino
allOceano, lIrlanda, lInghilterra, la Scozia, ed infine gli Alamanni e gli
Ungheri, Frigia, Danesmarche, Gotti e Vandali e gli altri popoli
settentrionali. Il panorama storico e geografico della peste si conclude cos,
tumultuosamente dilatandosi, e tutto avvolgendo, fin nelle brume pi estreme
del nord, come dalle leggendarie estremit orientali si era mosso.
Sulla
atrocit dei comportamenti ingenerata dal terrore del male insiste anche il
Villani, soprattutto nei confronti di chi pi avrebbe avuto bisogno di aiuto.
Tutti i cronisti sottolineano con analoghe parole, sappiamo, la crudelt che
era e modi dispiatati, come si esprime la cronaca senese [229], ad ogni livello, anche tra i parenti pi intimi [230], ma Matteo il solo a classificare come
originariamente barbara quellinumanit crudele, che pure si ritrov in
seguito anche fra i cristiani [231]. La sollecitudine reciproca poteva esser un rimedio,
ma tutti evitavano i malati. Di contro allinsieme degli altri cronisti -
notevole correzione ad un pessimismo rassegnato -, il solo Villani sostiene che
chi si era gi disposto alla morte, volendo continuare a prestare soccorso a
parenti ed amici infermi, pur contraendo il male non mor, e pot continuare la
sua opera, e la cosa incoraggi altri a fare altrettanto, per cui molti, cos
sollevati, poterono guarire [232].
Il
tempo successivo alla peste pare il culmine del pessimismo villaniano. Il
quarto capitolo, Come gli uomini furono peggiori che prima, esemplifica la norma che, scampato il pericolo,
dopo i giorni del dolore, gli uomini trovandosi pochi e abbondanti per leredit
e successioni dei beni terreni, dimenticando le cose passate come state non
fossono, si dierono alla pi sconcia e disonesta vita che prima non aveano
usata. Senza limiti ci si diede ai piaceri, cibi, vesti, lussuria, senza
freno, anzi nei modi pi esasperati. Se Dante aveva poco dopo linizio del
secolo contrapposto gli eccessi di comportamento della Firenze di allora alla
misura della Firenze di Cacciaguida, se Riccobaldo negli stessi anni aveva
fatto pi o meno lo stesso per la sua Ferrara [233], oltre mezzo secolo pi tardi Matteo Villani non pu
gi pi ripercorrere quel modello: esecrazione dei tempi presenti, s, ma
nessun ricordo di tempi pi morigerati! Da troppo tempo Firenze viveva in un
clima di benessere tale da avere fatto del tutto dimenticare let dei sobri
costumi degli antenati. E Matteo scioglie la sua amarezza senza speranza in
dimensioni universali: non si tratta della sola Firenze infatti, e cos, e
peggio, laltre citt e province del mondo. La chiusa del capitolo speculare
allinizio del primo capitolo: l si partiva dalla Scrittura, dal diluvio; qui
si ammonisce che secondo il profeta Isaia, non abbreviato il furore dIddio,
n la sua mano stanca. Cos si conclude lo spazio dedicato alla peste. Il
capitolo successivo, Come si stim dovizia, e segu carestia, serve egregiamente ad illustrare per Ruggiero
Romano e John Day la crisi italiana della met del Trecento [234], per il Mollat le conseguenze sociali e morali
della peste [235]; sorprende che questi qualificati commentatori citino
il brano a sostegno di interpretazioni offerte con scarsa problematicit, quasi
che le conseguenze dellepidemia non potessero essere naturalmente che quelle. Mentre invece da rilevare che il
fiorentino e sensibile agli affari Matteo Villani, un esperto dallora,
presenti quelle conseguenze come la negazione delle previsioni naturali. Un buon conoscitore delle leggi di mercato, come
era Matteo, confessa che lui, e come lui tanti altri, non erano stati in grado
di immaginare quello che sarebbe successo, anzi avevano supposto il contrario.
Lo studioso di oggi sorride con compatimento di fronte ai lamenti moralistici
di Matteo, mettendo in mostra la propria conoscenza delle leggi economiche, e
dimenticando quello che oltre un secolo fa aveva notato Jakob Burckhardt: Un
fiorentino soltanto poteva lasciare scritto come tutti si aspettassero che, per
la scarsezza degli abitanti, tutti i prezzi delle cose ribassassero, e come
invece e viveri e mercedi siano rincarati del doppio; come il popolo in sulle prime
non volesse pi lavorare, ma darsi buon tempo; come nella citt non potessero
pi aversi n servi, n fantesche se non a prezzi elevatissimi; come i
contadini non volessero pi coltivare che i terreni migliori, lasciando incolti
gli altri e come gli enormi legati lasciati durante la peste a favore dei
poveri apparissero dopo inutili affatto, perch i poveri o erano morti o poveri
pi non erano [236]. Perch condannare il moralismo, ricorrere al
liberatorio passepartout della
mentalit di un uomo del Medioevo, e non limitarsi alla constatazione che si
trattava semplicemente di un fatto,
registrato da altri, pi o meno con le stesse modalit, anche altrove, in
Italia ed in Europa [237]? Se invece si trattava di un errore di valutazione
dei contemporanei, in generale, non sar inutile ricordare che ancora
lesperto moderno Robert Fossier ha dovuto avvertire che non sempre - anzi,
quasi mai - i modelli moderni funzionano per i secoli finali del Medioevo [238]. Anche la peste era stato un fatto, e quel che era seguito, insomma, appariva tale da
vanificare le leggi economiche nelle quali una persona particolarmente versata
per il mondo economico, come appunto Matteo Villani, credeva; si delineavano
nuovi comportamenti, nuove leggi, un nuovo tempo, da comprender su basi
diverse; del nuovo tempo, la peste era stata, per Matteo, la cifra iniziale.
Ma
torniamo a chiederci quale sia linsegnamento che i lettori devono trarre,
quali siano il consiglio e l rimedio dellavversit che il Villani si
proponeva di indicare programmaticamente. La risposta ora semplice e
disarmante: niente pi che la constatazione che qualunque catastrofe, per
quanto enorme, non dovuta al mal fare contingente; che non ragione alcuna
di trovare giustificazione allinfuriare di una forza naturale -
incontrollabile -, nella cattiva condotta di questo o di quello, singoli o
collettivit. La ragione profonda nella stessa natura dellesistenza, tutta
ed esclusivamente nelle mani di Dio. N angoscia inerte, n presunzione quindi;
n scarico di responsabilit, n identificazione di colpevoli, perch tutti, e
da Adamo, siamo colpevoli; la lezione della peste deve avere validit al
livello delle coscienze, deve spronare a operazioni virtudiose, non per
placare lira di un Dio irraggiungibile, ma per agevolare il tragitto terreno
delluomo. Cos essendo intesa la vita, limpido significato acquista allora il
prologo:
per la macchia del peccato la generazione umana
tutta sottoposta alle temporali calamit e a molta miseria e a innumerabili
mali i quali avvengono nel mondo per varie maniere e per diversi e strani
movimenti e tempi, come sono inquietazioni di guerre, movimenti di battaglie,
furore di popoli, mutamenti di reami, occupazioni di tiranni, pestilenzie,
mortalit e fame, diluvi, incendi, naufragi e altre gravi cose delle quali
gli uomini ne cui tempi avvengono, quasi da ignoranza soppresi, pi forte si
maravigliano e meno comprendono il divino giudicio e poco conoscono il
consiglio e l rimedio dellavversit, se per memoria di simiglianti casi
avvenuti ne tempi passati non hanno alcuno ammaestramento; e in quelle che
la chiara faccia della prosperit rapporta non sanno usare il debito
temperamento, rischiudendo sotto lo scuro velo della ignoranza luscimento
cadevole e il fine dubbioso delle mortali cose |
Questa
coscienza esistenziale, n angosciosa n eroica, sostanzia lo scopo per cui
Matteo ha scritto la sua storia, il suo ammaestramento, in tempo di
avversit come in tempo di prosperit; la consapevolezza di Matteo
Villani veramente qui si trasferisce sul piano del cosmo [239] ed oltre, e d un senso alla peste, a Firenze,
allItalia ed al mondo, in breve alla vita umana. Meditando la storia della
peste del 1348 si potr in simili frangenti vivere consapevolmente: la stessa
importante lezione che il nostro contemporaneo Arno Borst trae dallo studio
del terremoto di quel medesimo anno [240]. Se le insicurezze sul mondo erano divenute in
Giovanni Villani insicurezza della persona, come rilevava il Green [241], in Matteo la catastrofe della peste era possibilit
di esercitare quel rigore di concatenazione delle riflessioni che gi stato
notato sul piano letterario [242], e motivo per procedere oltre in un maggiore
equilibrio dellanima.
3.4. Marchionne
|
La
mutazione dei tempi, avvertita alla vigilia della peste da Giovanni Villani,
e dopo il male resasi evidente agli occhi del cronista senese e di Matteo
Villani, diviene pi chiara in Marchionne fiorentino [243]. Tuttavia si potrebbe dire che la pagina della sua
cronaca dedicata alla peste un intermezzo del mutamento in atto, tra un prima
in cui lorganismo cittadino sembra funzionare a fatica, ed un dopo in cui la
direzione amministrativa della citt si avvia a riacquistare una nuova ed
efficace capacit di intervento. La rubrica sulla mortalit la quale fu nella
citt di Firenze, dove morirono molte persone rappresenta una netta cesura del
tessuto narrativo della cronaca, e si presenta con aspetti, per cos dire,
misti, visto che accosta tributi diversi a quello che abbiamo detto il modulo
cronachistico convenzionale, a notazioni vivaci e popolaresche che hanno il
fresco sapore della realt, vissuta personalmente - Marchionne nel 1348 aveva
dodici anni -, o comunque udita narrare da testimoni vicini cronologicamente e
spazialmente, amici, conoscenti e familiari.
Lorizzonte
ristretto: Marchionne ignora totalmente lepidemia al di fuori di Firenze,
non dice come vi fosse portata o da chi; il male scoppia senza una riga di
introduzione, improvviso, ingiustificato, non preceduto da segni premonitori,
n come coronamento di eventi calamitosi o comportamenti colpevoli, un hpax
della storia di Firenze.
Il
quadro colorito, ma piuttosto disordinato [244], tutto intessuto sui particolari, spesso risolto in
puri elenchi [245], ma anche con una tale abbondanza di aneddoti che,
oltre allorrore, non possono che essere diretti ad intendere la vicenda con un
certo distacco, fino a strappare un sorriso. Come quando racconta di quelli che
al malato dicevano: Io vo per lo medico, ed una volta guadagnato luscio non
si facevano pi vedere; o degli altri che, con la scusa di evitare al malato la
fatica di chiamare durante la notte, gli ponevano accanto al letto ci che si
pensava potesse essere daiuto, pillole, vino, acqua, e dopo che il disgraziato
aveva preso sonno si allontanavano; o quando riferisce dei cadaveri ricoperti
con un leggero strato di terra, e quindi con altri cadaveri, ed altra terra,
come si fa con le lasagne ed il formaggio.
Ma
la somma dei particolari non fa una unit. Gli elementi singoli rimangono a s
stanti, una lista di fatti unici, efficaci nel complesso a rendere una
atmosfera, ma soprattutto orientati, crediamo, a restituire la disintegrazione
della citt nellatomismo del particolare e del negativo: Tutta la citt non
avea a fare altro che a portare morti a seppellire [246]. Se non mancano gli interventi del pubblico -
divieto di celebrazione dei funerali con suoni di campane, catafalchi ed
annunci a voce; limitazione della partecipazione dei religiosi alle esequie;
proibizione di importare in citt frutti considerati nocivi - si tratta di
provvedimenti, escluso lultimo, giusto diretti a confinare nellambito del
privato quelle manifestazioni di lutto che, troppo perniciose al morale perch
cos numerose, non si giudicava opportuno ammettere come ordinarie. Quasi che
impedirne il clamore potesse nasconderne la diffusione. Ci si trova per ancora
insieme, o nelle processioni gridando: Misericordia, e facendo orazioni, o
in brigata a mangiare per pigliare qualche conforto; ma anche i pranzi con
gli amici sono unennesima occasione per constatare la mancanza dei convitati.
Solo
la fine dellepidemia rimette in moto lapparato di governo, fino a quel
momento solamente in grado di procedere alla conta dei decessi:
Nel detto anno, essendo ristata la mortalit, era
in Firenze trasandato gli uomini e le donne nel vestire e fessi ordine
sopra ci, e diessi bala a seguir gli ordini al giudice della grascia. Li sarti erano s forte smisurati Fu a loro
posto ordine quello dovessero trre dogni cosa per s. Li fanti e fante erano s spiacevoli con
grandissimi prezzi che convenne farvi grosse pene a raffrenarle. Li lavoratori delle terre del contado volieno tali
patti Di che fu fatto ordini gravi sopra ci Missesi freno ancora nelle
nozze [247] |
Il
controllo della situazione ristabilito; la peste ha segnato un periodo di
totale arresto della capacit del comune a fronteggiare la situazione; ma ora
tutto e passato. Il tempo si fermato da marzo a settembre 1348; la storia di
Firenze riprende a scorrere.
3.5. Marco Battagli
|
Per
Marco Battagli da Rimini, autore di una cronaca dal valore discusso [248], la peste [249] va intesa come evento del tutto provvidenziale. La
chiave tutta moralistica, ma grandiosa, di stampo biblico. Comincia anchegli
nel ricordo del diluvio universale:
humana iniquitas et cuiuscumque generis peccata
tantum creverant super terram, quod eorum fetor et clamor ad iustas aures
pervenit altissimi. Tunc iusta Dei sententia, similis diluvio Noe, cum ignea
mortis acute plaga super omnem faciem terre irruit cum furore et quasi
inquit, sicut fecit tempore diluvii: - Omnem creaturam delebo et propter
eorum facinora finis universe carnis perveniat ad effectum, |
che
riprende Gn. 6, 5-13:
Videns autem Deus quod multa malitia hominum esset
in terra et cuncta cogitatio cordis intenta esset ad malum omni tempore
Delebo, inquit, hominem, quem creavi, a facie terrae dixit ad Noe: Finis
universae carnis venit coram me |
Opportunamente
dimentica il Battagli, come Matteo Villani, la promessa divina di non pi
colpire il genere umano con un nuovo flagello universale, e passa a
descrivere i segni del male che ha visto da vicino: testimonium perhibeo. Il
ricordo della congiunzione astrale sotto cui si iniziata lepidemia, altrove
oggetto di discussione, in lui declassata a nota puramente cronologica,
mentre lorigine prossima della malattia vien fatta discendere, come in altri,
da un grande fuoco. Solo che in Battagli quel fuoco offre il destro per
continuare il parallelo con la storia sacra, questa volta verso il tempo
ultimo. Come allinizio della storia umana la malvagit aveva causato il
diluvio, cos oggi gli innumerevoli peccati hanno causato la peste; come il
giudizio finale avverr nel segno del fuoco, cos la peste di oggi, sorta dal
fuoco, esemplifica e preannuncia il dies irae:
Hoc enim tale periculum Dei sententiam possumus
appellare et quasi videtur esse et fuisse iudicium futurum per ignem, quod in
Scripturis sanctissimis invenitur, quoniam illud infirmitatis iudicium processisse
ab igne videtur. |
In
questo modo il flagello posto al centro della parabola spirituale, e lo
stesso Battagli, risparmiato miracolosamente - pro dei gratia ego evasi -, ,
nel dilagare della malvagit, segno del rinnovarsi della figura di No, segno
del sopravvivere nellumanit tralignata, di pochissimi buoni. Ma a questo
punto ogni possibilit di una rinnovata storia parallela a quella biblica cade
bruscamente: non solo lira divina non ha colpito chi avrebbe dovuto colpire,
ma le cose ora, dopo la peste, stanno peggio di prima:
Omnes autem formose domine et viri iusti omnes vite
terminum assignaverunt et quasi iniqui et reprobi pro contrario remanserunt.
Quod post mortalitatem in operibus patuit, quia in duplo peiores sumus,
quoniam nullus de altero, si potest obesse, confidat, cur cupiditas et
avaritia modo ad presens in omnibus est conserta: ergo quasi ab omni
conversatione caveto. |
Limpostazione
iniziale del brano profondamente turbata da questa conclusione; ma
evidentemente il Battagli ha barato: partito come un predicatore ha mostrato
alla fine il suo vero volto di pessimista politico. In realt ci che guida il
suo giudizio - anche a riguardo della peste - lantiguelfismo sconsolato e
senza speranza di chi nel 1352 pu solo concludere:
Modo solum ecclesia cum tyrannis in Ytalia
dominatur et Romanorum imperium et iustitia obscure sepulta sunt et
tyrannorum iniquitas et superbia cum Luciferi sequacibus, sicut in celo, ita
modo in terra deviat rectum iter [250]. |
Allora
si comprende come lhumana iniquitas et cuiuscumque peccata, che hanno dato
origine allintervento divino, sono quegli stessi mali, cupiditas et avaritia
che si constatano regnare ancora, nonostante quellintervento; liniquitas
et superbia dei tiranni e della chiesa, negazione del Romanorum imperium et
iustitia - unendiade! -, che regge e governa sovrana, parallelo terreno
dellazione luciferina nei cieli. La peste non ha cambiato nulla; la sola
consolazione, di chi non ha speranza di vedere un mutamento, che alla fine,
se Dio vuole, ci sar un giudizio.
4. Francia
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4.1. Breve
Chronicon Flandriae
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Lanonimo
chierico di Fiandra che scrive della peste [251] comincia con il riportare il contenuto di una
lettera, spedita il 27 aprile 1348 da Avignone a Bruges, dal cantore e canonico
di Saint-Donatien Louis Heiligen, o Sanctus, uno dei pi cari amici del
Petrarca, cui dedic le familiari. Il resoconto lungo e particolareggiato.
Oltre le dicerie sugli straordinari fatti dOriente che hanno preannunciato
larrivo del male in Occidente - pioggia di animali repellenti e velenosi,
tuoni, fulmini e grandine in misura eccezionale, fuoco dal cielo ed
ammorbamento dellaria -, ritornano i vascelli maledetti di Genova, che in
questo caso sono il veicolo esclusivo di propagazione della peste, perch uno
di essi, respinto da Genova, va verso Marsiglia, ed unaltro verso la Spagna. I
sintomi della moria sembrano indicare tre tipi diversi di malattie, di cui due
sembrano attagliarsi a quanto sappiamo della peste polmonare e di quella bubbonica,
mentre la terza sembra solo una variante della seconda. Si diffonde ancora il
canonico sulla facilit del contagio, sulla entit dei decessi, sullampiezza,
per quanto sa allora, dellepidemia, oltre il Rodano e fino a Tolosa. Dopo
altri particolari su quanto si fece ad Avignone, d consigli per difendersi:
mangiare e bere con misura, proteggersi dal freddo, evitare ogni eccesso,
limitare al massimo i contatti umani, in conclusione chiudersi in casa ed
aspettare che lepidemia si esaurisca: cos faceva anche il papa. Ma poi il Chronicon pare dimenticarsi della peste per dedicarsi ad altri
fatti e fatterelli. Ma invece ritorna in due brevi paragrafi a rammentare che
lepidemia avanza in Borgogna e Normandia. Quindi riprende ad occuparsi di
tuttaltro: guerre, alleanze, miracoli, successioni. Fugacemente riferisce di
molte migliaia di ebrei bruciati a Worms ed altre citt, sotto laccusa di aver
avvelenato le acque - ma nessun cenno alla peste -, e passa per alcune pagine a
descrivere i flagellanti; ma gran parte dello spazio loro dedicato occupato
dalla copia di una lettera del papa che li condanna senza eccezione. Poi pi
nulla, in proposito. La peste rimane dunque sullo sfondo, neppure angosciosa e
incombente presenza che tutto condizioni, ma nulla pi che elemento di una
cornice, alla pari di altri. Lo stesso legame dei flagellanti con il senso di
colpa suscitato dallepidemia appena accennato: in realt quello che
preoccupa la dimensione del fenomeno, le manifestazioni disordinate, il
mancato inquadramento della devozione: quia sine auctoritate episcoporum vel
pape faciebant. Non si dice neppure esplicitamente se il morbo giunto nelle
Fiandre. In conclusione per il chierico autore del Chronicon si deve allineare quel male dopo e in mezzo ad altri
fatti, pi o meno memorandi,
visto che non ha tali caratteri di eccezionalit da esigere uno spazio compatto
ed una trattazione analitica.
4.2. Gilles
li Muisit
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Gilles
li Muisit, abate di Saint-Martin-de-Tournai, ci ha lasciato una Nouvelle
chronique che va dalla Pasqua del
1349 al marzo 1353 [252]. Uomo di cultura modesta, prevalentemente poetica e
morale, tutto teso alle questioni pratiche, Gilles tutto sommato un tmoine
secondaire de son temps [253]. Ma si tratta degli anni cruciali della peste, che
lo obbligano, con gli avvenimenti rilevanti ad essa collegati, a prendere una
posizione piuttosto netta.
Per
la verit la peste lo occupa direttamente solo come conclusione di un periodo
per lui piuttosto impegnativo. Comincia infatti col descrivere le persecuzioni
contro gli ebrei nellaprile del 1349 a Colonia e nel Brabante [254], prosegue poi con lapparizione dei flagellanti
nella regione ed in particolare a Tournai, ed infine con larrivo della peste
ed il suo sviluppo.
Pare
che il morbo non colpisse la regione in maniera grave quanto nelle regioni
circostanti [255]; in ogni caso essa precedette di poco larrivo dei
flagellanti allinizio dagosto, ma divenne grave solo in settembre.
Anche
Gilles particolarmente colpito dal fenomeno dei penitenti, come tanti altri
suoi contemporanei, ma ben pi degli altri spinge il suo interesse fino ad
informarsi a fondo. Cos pu fornire abbondanti dettagli sul movimento che,
dice, ha ricavato da conversazioni con i loro capi; lo impressiona in
particolare leterogeneit del reclutamento e nel contempo la capacit di
omogenizzazione:
Et cantantes et ordinati ibant cantando secundum
suum ydioma, Flamingi in flamingo, illi de Brabantia in Theutonico, et
Gallici in gallico. Habebant cantilenam ordinatam secundum suum ydioma,
quam cantilenam incipiebant cantores ordinati, ceteris una voce
respondentibus Surgebant et cantando de beata Virgine, juxta suum ydioma. |
La
piet sincera e commovente f s che sulle prime i flagellanti possano giungere
a Tournai e fare le proprio opere di devozione con il benestare delle autorit [256]. Ma la reazione non tarda: la religiosit popolare
espropria il diritto-dovere di indirizzo e di guida proprio della dirigenza
religiosa [257], che non pu permettere alcuna alienazione in
proposito, pena la perdita del proprio ruolo, in sede locale come al sommo
vertice. Ed ecco il capitolo di Tournai opporre le proprie processioni,
predicazioni e penitenze a quelle dei flagellanti [258]. Ma cՏ di pi: la mobilitazione spirituale si fa
sempre pi razionale e sistematica. Gi la liturgia era stata adattata alle
circostanze dal papa Clemente VI, che aveva istituito un officio speciale per
la peste. Gilles segue e si affianca: nella sua cronaca inserisce molte
preghiere in francese, due delle quali indirizzate a S. Sebastiano, da recitare
in tempo di peste [259]. Particolarmente insistita la descrizione
dell'intervento delle autorit laiche in quella occasione, anche in tema di
processioni: segno manifesto del positivo disciplinamento di tutte le
attivit cittadine [260].
Allepidemia
in s Gilles dedica una considerazione ovviamente particolare, ma ancora
prevalentemente con locchio dellamministratore pubblico. Racconta s qualche
fatto eccezionale, come quello del pellegrino che tornava da S. Giacomo di
Compostela e che dopo aver cenato una sera in una osteria con loste, le sue
due figlie ed un servo, il giorno seguente li trov morti di peste tutti e
quattro [261]; ma la tragedia quotidiana, pi o meno uguale per
tutti, non lo sollecita a nessuna descrizione puntuale. Perfino il rilievo che
le vittime sono numerose tra i pi indigenti [262], e nei villaggi con vicoli stretti, pi che tra i
maggiorenti e nelle citt caratterizzate da spazi maggiormente aperti [263], sembra destinato a trasmettere la convinzione che
lordine, la razionalit civile, tipica di un luogo pubblicamente ben condotto,
in qualche modo siano una garanzia contro il diffondersi del male dalle origini
sconosciute. Racconta che allinizio i funerali si fanno con gran pompa, le
campane suonano giorno e notte, ma che poi i magistrati cittadini si
preoccupano delle conseguenze sul morale della popolazione, e prendono una
serie di provvedimenti, che vanno dalla limitazione del suono delle campane
alle sole messe domenicali, al divieto delle vesti nere, alla semplificazione
delle sepolture, che devono essere simili per ricchi e poveri; importante
losservazione finale: la popolazione unanime nel lodare queste misure che
calmano gli spiriti, e quindi fanno indietreggiare il male [264]. La vigilanza e loperativit delle autorit, civili
ed ecclesiastiche, non solo assolutamente necessaria per governare
linsostenibile situazione creata dalla peste, come nel caso dei flagellanti,
ma ha anche indubbia validit terapeutica preventiva [265].
La
cronaca dellabate di Tournai sembra una vivace risposta, sul piano propositivo
alle numerose pi o meno esplicite, rimostranze circa lo stato del clero [266], testimoniateci da molti contemporanei, e per la
verit gi attestate prima della peste, ma che parvero acuirsi durante
lepidemia, fino a spingersi allaccusa che proprio i chierici ne fossero in
qualche misura responsabili [267].
4.3. Jean
le Bel
|
Per
Jean le Bel, canonico di Saint-Lambert di Liegi, la peste in s non ha grande
rilevanza [268]: la liquida in poche righe, utilizzando argomenti
del tutto convenzionali. Ben pi importante ci che ne deriv: vista
limpossibilit di trovare un qualche rimedio allepidemia si diffonde lidea
che si tratti di un intervento soprannaturale, e molti si danno a penitenze e
devozioni. Allora, in questo clima gi favorevole, monta la marea dei
flagellanti partiti dalla Germania e giunti anche a Liegi. Vivamente
impressionato Jean evoca con ampiezza di dettagli le marce ad ampio raggio dei
penitenti, le processioni grandiose sulle quali campeggiano crocefissi,
stendardi, palii dipinti, che naturale immaginare gonfi di vento su quelle
teste curve che aloient par les rues II et II chantant haultement chanchons de
Dieu et de Nostre Dame rimes et dictes, facendo loro serymonies, e toudis
chantant leur chanchons [269]. Si tratta di un vasto quadro, ricco di colori e di
movimento, che subito colpisce e commuove gli abitanti di Liegi accorsi
immediatamente. E il fiume ingrossa e si scinde in mille rivoli; le vene si
ampliano alle regioni vicine. Un immenso afflato di religiosit popolare molto,
molto pi importante della peste. Ma il canonico di Liegi non pu concludere
con ladesione al movimento. Si capisce che ha guardato con stupore e
meraviglia al tumultuoso crescere dello spirito penitenziale e comunitario; ma
poi in questo spirito comunitario anche la radice della contestazione, o
comunque del contrasto con ci che estraneo a questo spirito: ceste grande
affliction se converti en orgueil et en presumption. I penitenti, come tante
volte si visto nel Medioevo, assolutizzano la via di salvezza che percorrono,
sono in contrasto con le devozioni normali perch giudicano le loro plus
dignes, fanno violenza a preti e chierici, per impossessarsi dei loro beni e
benefici, dice il canonico cadendo bruscamente di tono.
A
questo punto cessa di colpo linteresse di Jean per i penitenti, ed una
osservazione finale introduce ad un nuovo argomento stimolante: in realt i
flagellanti non fecero cessare la pestilenza, e questo fece s che si spargesse
la voce che la moria fosse causata dai Giudei. Bisogna notare che mentre nel
caso dei flagellanti lorigine del morbo era in un atto volontario di Dio,
mosso a vendetta dellumanit peccatrice, gli Ebrei sono incolpati non di aver
suscitato la collera divina, ma di aver dato principio materialmente al
contagio, avvelenando pozzi e sorgenti. Si tratta di un mutamento di
prospettiva notevole, ma sul quale Jean non insiste. Come non gli importa
affatto esprimere un giudizio sulla cosa. Di nuovo affascinato dalla descrizione
di un nuovo evento straordinario: la furia popolare, i roghi, ma soprattutto i
martiri ebrei che forti delle loro profezie, della loro fede, si danno
volontariamente alle fiamme, con i piccoli in braccio, trestout chantant. Di
nuovo i canti, questa volta a ritmare le urla di una folla inferocita,
lansimare delle corse, langoscia della caccia, e, per stupefacente converso,
i gruppi di coloro che aloient morir tous dansans et chantans aussy
joyeusement comme silz alassent aux noces. Chi ricorda leggendo quelle pagine
di Jean le Bel che tutto ha avuto origine dalla peste? Chi pensa che la peste
sta ancora infuriando? Tutto preso dalla rievocazione di quegli eventi
stupefacenti il canonico di Liegi ha relegato lepidemia ad occasione, casuale
sorgente di ben altri drammi.
4.4. Froissart
|
Le
poche pagine che Froissart dedica alla peste [270] hanno un parallelo in Jean le Bel, sua fonte
largamente privilegiata, comՏ noto; eppure le differenze sono notevoli, segno
esplicito di un ben diverso approccio al tema. Fin dalla rubrica del capitolo
linteresse dellautore si mostra inequivocabilmente: La peste et les
Flagellants, elementi di un inscindibile binomio. Anzi, proseguendo la lettura
ci si rende immediatamente conto che il vero argomento del capitolo sono solo i
secondi:
En lan de grace Nostre Signour mille .CCC.XLIX,
alerent li penant |
Froissart ne dice la
provenienza, dalla Germania, spiega minuziosamente gli strumenti che
adoperavano e come li impiegavano, i canti che accompagnavano gli atti penitenziali;
riferisce particolari truculenti: alcune donne raccoglievano il loro sangue e
lo usavano come rimedio miracoloso. Solo a questo punto sente la necessit di
spiegare che lo scopo era quello di far cessare lepidemia. Ma sulla peste dice
ben poco: le morti improvvise che raggiunsero circa un terzo della popolazione.
Poi subito riprende a parlare dei flagellanti che andavano di citt in citt
per schiere ben differenziate dal colore dei loro ruvidi copricapi, con il
proposito di non dormire in uno stesso luogo per pi di una notte, ed il loro
pellegrinaggio doveva durare 33 anni e mezzo, in ricordo degli anni di vita di
Cristo. Insiste ancora sulla buona accoglienza che incontravano, sugli
atteggiamenti umili che mostravano dovunque, sulle pacificazioni che
favorirono. Senza mostrare alcun giudizio prosegue dicendo che non poterono
entrare nel regno di Francia, poich papa e cardinali decisero che quel tipo di
penitenza pubblica nestoit pas licite ne raisonnable, scomunicarono loro e
chi li affiancava, e privarono dei benefici ecclesiastici i chierici che li
sostenevano. Combattuti dal papa e dal re di Francia il movimento si ridusse al
nulla. Terminata la vicenda dei flagellanti, con una frase di passaggio,
Froissart lega largomento successivo: i pogrom antiebraici, non descritti
comunque, solo accennati brevemente, ma piuttosto presentati come lavverarsi
di una delle loro profezie. E con questo termina il capitolo. Per la peste sono
rimaste poche righe, del tutto convenzionali; il cronista delle infinite
battaglie anche nel morbo universale, intrinsecamente materia povera, ha
trovato il mezzo per accentuare il movimento di grandi masse, per fissare gli
occhi sul sangue che sprizza, sui massacri, sui roghi. Il lettore anche
leggendo questo capitolo sar soddisfatto: i fatti che veramente contano anche
qui sono compiutamente descritti.
5. Germania
|
5.1. Konrad von Megenberg
|
La
figura pi dotata di indipendenza di giudizio, obiettivit e spirito razionale
quella di Konrad von Megenberg. Contro le dicerie correnti, ad esempio,
argomenta che gli ebrei a Vienna sono pi numerosi che in alcunaltra citt
tedesca, che anche qui vi moiono in cos grande quantit da dover ampliare il
loro cimitero: quindi assurdo pensare che fossero stati proprio loro a provocare
il male [271].
A
riguardo delle cause della peste esclude che si tratti del dispiegarsi nel
mondo dellira divina, in base alla constatazione che nel periodo immeditamente
precedente erano state falcidiate moltissime brave persone, mentre al contrario
molti malvagi erano stati risparmiati. Se la provvidenza divina non centra,
allorigine delle recenti catastrofi, del terremoto e della peste, devono
essere ragioni naturali. Se si tratta di cause naturali bisogna identificarle,
cos che sia possibile agli uomini adottare alcune misure preventive. Ed ecco
la spiegazione ipotizzata da Konrad, sulla scia di Aristotele e di Alberto
Magno: allorigine sia dei terremoti sia della peste doveva essere laccumulo
di vapori sotterranei, che allimprovviso deflagravano [272].
Eppure,
se queste sono le ragioni del naturalista, non deve mancare anche una qualche
colpa dellumanit, che ha messo in moto quella esplosione per la volont
suprema di Dio. E se cՏ una umanit colpevole non si tratter certo del popolo
anonimo. Chi mancato al suo compito chi sta in alto, la classe dirigente,
responsabile della conduzione del popolo, in pace come in guerra. Sono loro, i
governanti, che vengono meno al loro dovere, che non si comportano pi, come in
passato, mirando al bene comune. Sono loro ad aver richiamata su di s e sui
loro sottoposti la collera e la punizione divina, recentemente manifestata col
terremoto e con la peste. Ad ogni livello della dirigenza politica ed
amministrativa nessuno si comporta come dovrebbe, e persegue beni materiali.
Perfino gli uomini di scienza si presentano gonfi di sapere, con vuote parole [273], ma in realt non mirano affatto al bene supremo
della verit, quanto aspirano ad essere graditi e lodati. Solo se i governanti,
e chi li attorniava ed aiutava, si fossero prefisso il raggiungimento dei
valori supremi della giustizia e della verit, il futuro sarebbe stato libero
da simili pericoli [274].
5.2. Annales Frisacenses
|
Per
lAnonimo di Friesach [275] i disastri naturali vanno letti alla luce delle
scritture, tanto il terremoto [276] quanto la peste: universaliter fere per totum
mundum, egrediens a mari usque ad mare, che non pu non ricordare il versetto
di un salmo messianico divulgatissimo, il 71,8: Et dominabitur a mari usque ad
mare. Allusione al giudizio dellultimo giorno? Probabilmente, ma senza
insistenza; meccanicamente, mi verrebbe fatto di dire, con linerzia mentale di
chi ha gi tutto classificato, anche limprevisto ed il non ancora accaduto; in
fondo la citazione serve a riaffermare la speranza che in quel tempo estremo il
giudice divino salvos faciet filios pauperum, come recita il versetto 3 del
medesimo salmo, e che quindi il giusto debba guardare con non eccessivo timore
a questi preannunci del giorno ultimo [277].
5.3. Continuatio Novimontensis
|
Nella
Continuatio Novimontensis [278] lanno 1348 interamente occupato dal terremoto e
dalla peste; ma mentre il primo richiede al cronista lo spazio miserando di tre
frasi, la seconda lo impegna lungamente. Non si verific alcun altro evento, di
qualsiasi natura, che fosse degno di ricordo per il monaco cronista. Il quadro
generale dellepidemia non contiene grandi elementi di novit rispetto alle
descrizioni di altri, ma colpisce per lampiezza, la gradualit e
laccuratezza, la lucida coerenza che governa il seguito delle notazioni.
Inizia con la provenienza, la causa immediata, i protagonisti e le modalit
della trasmissione del contagio; prosegue con il terrore che colp le citt, i
provvedimenti presi per difendersi e per evitare lo sciacallaggio, la
desolazione generale, lentit delle morti. Quando poi il morbo raggiunge le
terre circostanti, Carinzia e Stiria, le osservazioni si fanno pi puntuali,
ricche di particolari e capaci di rievocare la fosca atmosfera di quei giorni,
ita ut homines desperati incederent et quasi amentes [279]. Quindi si innesca un processo razionale e
consequenziario: i colti si chiesero il perch di quel letalis annus, e non
trovando spiegazioni n nel moto anomalo degli astri, n nella corruzione
dellaria, giudicarono che si fosse manifestato puramente il volere divino. Ed
allora, per commuovere quel Dio, ecco le penitenze pubbliche di schiere
numerose di cittadini e di villici, ecco le processioni di devoti seminudi che
visitavano le chiese, cantilenando nella lingua materna della passione di
Cristo, e flagellandosi a sangue; e le donne proseguivano la sera, al riparo
delle mura, gli atti di mortificazione degli uomini di giorno allaperto. La
penitenza pubblica dur per poco pi di un mese, da S. Michele (8 maggio) alla
Pasqua (20 aprile). Alla devozione popolare, sorta spontaneamente, si
accompagnano i riti dei sacerdoti, armati di reliquie e di litanie, ed anche il
pontefice romano, che istitu una speciale liturgia, cos ricca e
particolareggiata che il cronista rinuncia a ricordarla analiticamente. Ma non
si ottiene nulla con gli atti devoti, anzi le morti aumentano; i medici sono
impotenti; non resta che abbandonarsi totalmente, omnibus postpositis, a quel
Dio che non fa conoscere i suoi disegni. Passa quindi il nostro a parlare della
sintomatologia della malattia: rigonfiamenti rossi variamente maculati
allinguine o alle ascelle e, per quelli inevitabilmente condannati,
espettorazioni di sangue. Chi visitava il malato o gli prestava un qualche
aiuto veniva a sua volta colpito; spessissimo alla morte di uno seguiva quella
di tutta la famiglia. Per la generale devastazione il bestiame vagava nei campi
senza custodia, e perfino i ladri per il timore non osavano avvicinarsi, e
perfino gli eredi evitavano come se fossero infetti i beni lasciati
legittimamente per testamento. La malattia in prossimit del novilunio
incrudeliva. Infine verso met novembre (per S. Martino) lepidemia cess, dopo
essersi portata via molti monaci e molti coloni. Lanno successivo la peste era
giunta a Vienna, e quindi a tutti i confini della Germania. Una nota infine
inconsueta di psicologia : gli scienziati del tempo avevano consigliato, al
fine di evitare langoscia di quei giorni, di favorire lieti incontri, per
combattere la depressione, e si erano visti dovunque gioiosi conviti e feste di
nozze, che avevano posto rimedio alla disperazione [280].
Il
male terribile aveva imperversato senza che si potesse far nulla per impedirlo;
ma gli uomini non si erano persi danimo, ed avevano reagito vivacemente. Se
non cerano spiegazioni naturali credibili, si era tentato con la devozione
popolare e con quella diretta dalle istituzioni ecclesiastiche; solo riusciti
inutili questi tentativi si era posta ogni fiducia nelle mani divine; esito di
per s non dissimile da quanto rilevato altrove, ma qui conclusione di un
seguito di osservazioni che ci fa stimare labbandono finale pi scelta
razionale che emotiva. Tanto pi che se quello che alluomo era impossibile era
stato alla fine lasciato alla veggenza divina, non si rimase inerti per quello
che sul piano del morale era invece largamente possibile fare; non dunque
negativa angosciosa rinuncia allazione, ma positiva volont di sopravvivere.
5.4. La
cronaca di Colonia
|
La
cronaca di Colonia [281] non contiene in assoluto alcun elemento di novit
circa la peste; la descrizione dellorigine orientale, dellavvento in
Occidente, della gravit del male e dei topici comportamenti inumani indotti,
ed infine dei sintomi della malattia, largamente convenzionale e di riporto.
Da rimarcare piuttosto la collocazione dello spazio dedicato allepidemia.
Sembra infatti di dover inserire la peste entro un ciclo di avvenimenti
funesti, che si origina e conclude con la guerra franco-inglese, e che conosce
come capitoli intermedi il fenomeno dei flagellanti, i pogrom ebraici e la
pestilenza.
Che
si debbano stabilire relazioni di dipendenza tra un argomento e laltro non
sembra di poter desumere; n lanonimo autore fornisce un minimo segno che
autorizzi a pensarlo. Ma certo la successione adottata fa riflettere. Poich
quello che governa non un criterio strettamente cronologico: quegli
avvenimenti sono pi o meno contemporanei, e non la griglia rigidamente
annalistica che inquadra la presentazione di quei fatti: prima si fa cenno ad
avvenimenti bellici del luglio ed agosto 1346, poi dellagosto 1347, di nuovo
dellottobre 1346; quindi, con un passaggio generico, per idem tempus, si
passa ai flagellanti nel regno di Germania, di seguito, eisdem temporibus, ai
tumulti antiebraici, e quindi, circa hec tempora, alla peste [282], prima di tornare alla guerra, con la morte di re
Filippo di Francia nel 1350. Lordine sarebbe potuto essere diverso: i
flagellanti potevano venir dopo la peste, cos come le persecuzioni degli
Ebrei, o ancora diversamente, variamente combinando.
Ma
se non motivo che autorizzi a far dipendere un fatto dallaltro, n per
importanza, n per rapporti di causa ed effetto, n, come si visto, per
ragioni di cronologia, non si pu concludere che gli argomenti, nella specola
dellautore, si equivalgono. Sul fondo comune rappresentato dalla guerra tra
Francia ed Inghilterra, il solo fatto di rilevanza europea, si sono
manifestate le processioni dei penitenti, sono stati uccisi diversi ebrei,
scoppiata la peste. Con tutto ci, se non cՏ interrelazione, i tre argomenti
non sono senza possibilit di confronto, oltre quello di contiguit.
Intanto
le dimensioni: i penitenti pubblici dallUngheria trascorrono per totam
Germaniam; i tumulti contro gli Ebrei avvengono per universum regnum
Germanie; la peste orbem afflixit generaliter universum, ed in Gallia e
Germania vehementer. In secondo luogo la capillarit: flagellanti si videro
ovunque, non erat civitas, non villa, non municipium dove non fossero presenti;
la violenza contro gli Ebrei si manifest in omnibus civitatibus, opidis et
municipiis; la mortalit fece s che intere famiglie fossero completamente
estinte in diversis regionibus et regnis multe civitates et ville, in non
nullis civitatibus et villis [283]. In terzo luogo si tratta di fatti del tutto
negativi: quella dei flagellanti una periculosa nimis et detestabilis secta
hominum laycorum, una pestilens supersticio; il giudizio negativo dei pogrom
contro gli Ebrei implicito nel tono usato per descriverli, Iudei universi
utriusque sexus, cuiuscumque etatis tam parvuli quam infantuli unius diei
crudeli nece sine misericordia fuerunt trucidati, ed avvalorato dalla nota che
vi contribuirono anche resti di quei flagellanti di cui tanto male si detto
precedentemente, carboni ancora accesi tra la cenere, che offrirono
crudelitatis sue officium vel pocius maleficium; del male rappresentato dalla
gravis pestilencia et mortalitas hominum non alcun bisogno di dire. Ancora:
si tratta di mali sorti improvvisamente, senza ragione, seppur in luoghi
diversi; e tutti quanti caratterizzati da una sorta di contagio crescente che
diffonde il male tra le grandi masse popolari [284], senza rimedio; e che infine, dopo aver devastato
ovunque, scompaiono senza lasciare traccia [285].
Fatti
dunque straordinari, incomprensibili, segni dellopera del maligno che governa
tanto gli uomini quanto la natura, manifestazioni dellincepparsi della storia,
pi o meno dello stesso segno negativo, da illustrare dunque e da intendere con
gli stessi mezzi, della parola e del giudizio storico. Un intermezzo, una
parentesi in tre tempi di diversa gradazione, in una cornice identica. Tre
detestabili episodi degli anni 1348-50, da citare per i tanti lutti di cui sono
stati allorigine, ma che non hanno avuto seguito.
5.5. La
cronaca di Erfurt
|
Per
il terzo continuatore della cronaca di S. Pietro di Erfurt la peste giunge come
ultimo fatto notevole del biennio 1349-50 [286]. La precedono avvenimenti diversi, di pi o meno
grande rilievo, ma fra i quali spiccano i moti antiebraici e le manifestazioni
dei flagellanti. N il primo n il secondo sono ricordati come conseguenza
dellepidemia: si presentano del tutto autonomamente da quella, e sono
accompagnati da tentativi di interpretazione improntati ad un realismo non
frequente. Le uccisioni di ebrei avvengono ad Erfurt come precedentemente si
sono verificate, ricorda la cronaca, in tante citt della Turingia, ed
analogamente sono accompagnate dallaccusa di aver avvelenato lacqua. Ma poi
le osservazioni del nostro cronista si fanno sorprendentemente singolari per la
coerenza interna che li tiene. Non si sostiene, come fanno tante altre
cronache, che l'inquinamento delle acque aveva lo scopo di diffondere il
contagio della peste - che, ripeto, fino a questo punto non neppure nominata
-, e se si riporta per dovere di cronaca la diceria secondo la quale il fine
era quello di impedire ai cristiani di cibarsi di pesce durante la quaresima ed
in generale di cuocere alcuna vivanda con lacqua, la ragione vera, exordium
calamitatis eorum, consisteva nei molti debiti che barones cum militibus,
cives cum rusticis avevano contratto con loro. Questo spiegava la sollevazione
popolare, scoppiata invitis consulibus. Non si tratta certo di una impensabile
comprensione umana, visto che la spiegazione introdotta da un Requiescant in
inferno! che non lascia il minimo dubbio sull'ostilit dellautore, ma
semplicemente di - a suo modo, sintende - obiettivit di giudizio.
Un
uguale totale disincanto usa la cronaca nel riferire dei flagellanti. Anche in
questo caso la vicenda di Erfurt non sostanzialmente diversa da quella di
tanti luoghi dellintera Germania; ma di nuovo una singolarit: Erfurt la
sola citt della Turingia in cui i magistrati cittadini, questa volta providi
et discreti, hanno impedito alle schiere dei flagellanti di entrare in citt.
Ben presto risulta evidente linconsistenza del movimento: manifeste apparuit,
quod tota trufa fuerat.
Il
resoconto della peste non pu dunque presentarsi che con caratteristiche
prevedibili: origini della epidemia analogamente a quanto avvenuto in tutta la
Turingia e la Germania, ma, ancora una volta, precipue in Erphordia;
intervento dei magistrati cittadini, con la consulenza dei medici, per disciplinare
le sepolture; entit dei decessi e durata. Nessuna accusa di colpa rivolta a
nessuno. Si tratta di una totalmente asettica, e piuttosto concisa, relazione
di un semplice evento, che si aggiunge a quelli che lhanno preceduto, senza
pesare di pi, senza suscitare maggiore emozione, in linea con il modo di
procedere della citt nellaffrontare qualsivoglia accadimento di interesse
comune. La sola esclamazione finale, Requiescant in sancta pace!, il segno
di una piet per gli scomparsi - per quanto di maniera - che si era negata agli
ebrei uccisi.
5.6. Francesco
da Praga
|
Per
Francesco da Praga [287] si deve distinguere: la posizione raggiunta dagli
astri era stata la causa naturale determinante della peste; la ragione profonda
invece risiedeva nelleccessivo amore per i beni terreni mostrato dagli uomini
del tempo. Riteneva che la Boemia fosse stata risparmiata dal flagello perch
allora governata da un re giusto, Carlo IV. Il ben ordinato e ben diretto regno
di Boemia risaltava ancor di pi se messo a confronto non tanto con i paesi dei
barbari, naturalmente, ma perfino con la situazione di Francia e dItalia, dove
invece i mali tipici del 1348 erano stati tremendamente efficaci. Il terremoto
aveva distrutto Ravenna e Villach, la peste a Venezia e Marsiglia aveva
decimato la popolazione; in Boemia il sisma fu appena avvertito, e lepidemia,
contrastata dallaria pura, non si era potuta espandere. Anche il caotico
movimento dei flagellanti non aveva avuto quellimpatto negativo rivelatosi in
Germania. Infine ritiene che dopo lammonimento divino del 1348 la situazione
generale migliorata. La lezione della peste era stata chiara e semplice: il
buon governo allontana il pericolo dello scatenarsi della ammonizione divina [288].
6. Conclusioni
|
Se
ora tentiamo di ricondurre ad unit quanto abbiamo ripercorso analiticamente -
seppure per campioni, visto la spazio a disposizione -, diremmo che la grande
pandemia del 1348 signific molto in Europa, per il numero delle vittime e la
vastit, tanto da non consentire a nessun cronista, o quasi, di ignorarla; ma
sul piano propriamente storiografico ebbe un senso molto meno epocale di
quanto si sia creduto e si creda. Le cronache non furono la consolazione
retorica della tragedia collettiva che fu la peste. Spesso la grande moria non
fu che una occasione, per quanto imprescindibile, per esercitazioni di
carattere letterario, pi o meno riuscite. Ma raramente le si attribu un senso
storico. Anzi, generalmente venne considerato - per quanto terribile, carico
di orrore, drammatico - un episodio, tutto considerato, nello svolgersi delle
vicende umane, ben poco significativo.
Se
si era trattato di un monito divino, nessuno o quasi aveva colto
lavvertimento, e si era tornati rapidamente alla situazione precedente, forse
peggio di prima. Se era stato un preannunzio degli ultimi giorni, in definitiva
il giudizio finale rimaneva ancora di l da venire. Se era stato il frutto di
una mancata vigilanza da parte dei governanti, quegli stessi governanti erano
rimasti, ben poco migliori, quando non pi incattivi e incapaci. Chi si era
atteso la punizione dei malvagi, ed il premio dei buoni, era rimasto totalmente
deluso. La peste era stato un eccesso, come eccessive erano state le
reazioni dei flagellanti ed i pogrom antiebraici: la vita civile esige invece
quellequilibrio, quella norma, quellordine che proprio lopposto. Se le
cronache non possono, per definizione, riferire che quello che emerge dal
grigiore della vita quotidiana, il fatto straordinario della peste nella
cronaca doveva rimanere straordinario. Per i cronisti i mutamenti economici,
sociali e politici - con lunica eccezione di quelli demografici - in atto sono
stati poco accelerati dalla malattia, e comunque non ne sono stati sicuramente
causati. Per un certo periodo la peste, o meglio il terrore della peste,
costituirono una ipoteca psicologica [289], ma in definitiva essa venne considerata un
accidente del tutto fortuito, casuale, senza spiegazione scientifica comera, e
di impossibile interpretazione religiosa.
Non
si previde neppure la possibilit di un ritorno futuro, e quindi non ci si
attrezz per lavvenire. Di fronte allirrazionale non ci sono che due
possibilit: rimuovere o convivere. I cronisti che furono a ridosso della peste
nera cicatrizzarono la ferita e proseguirono oltre; era passato, storia
assimilata. Ma non mentirono a se stessi, non fecero il possibile per
dimenticare, come invece di frequente si constata accadere oggi, di fronte a
quel male del tutto imprevedibile, al di fuori della statistica, che rimane
ancora per noi il terremoto [290]. Di fatto videro la peste con gli occhi che
avevano, mettendo pi o meno in evidenza le loro debolezze, convinzioni,
pregiudizi, idee politiche, morali, modo di ragionare.
Se
vogliamo in qualche modo sintetizzare, diremo che in ambiente italiano
lattenzione variegata per gli aspetti umani della tragedia prevalente,
insieme alla tendenza a giudicare dellincidenza dellepidemia in chiave di
funzionalit amministrativa e di etica politica generale, insieme ad una pi o
meno accentuata vena esistenziale; nel regno di Francia pi pronunciato
linteresse per i grandi movimenti di massa ai quali il timore della peste ha
dato origine; in ambiente germanico invece si fa pi scoperta la sensibilit
per le interpretazioni pi razionali, controllabili, logiche, che permettano
alluomo una qualche possibilit di scelta di comportamento, contrapposta alle
terribili ventate emozionali dei movimenti scomposti delle popolazioni.
estremamente arduo ricondurre a poche note esteriori la variet degli approcci
al tema; non era possibile dare risposte univoche ad un male rimasto
sostanzialmente ignoto, tranne che nella pericolosit. Di fronte alla peste
nera il cronista del 1348, privo di modelli anteriori, senza indicazioni di
maestri, ecclesiastici o laici, era nudo; nel perenne pericolo di naufragio nei
luoghi comuni, si mosse naturalmente con le armi di cultura, carattere ed
intelletto di cui era fornito; e cera, allora come oggi, chi era ben armato,
chi mediocremente, chi miseramente; chi titubante, chi modesto, chi letterato,
chi mercante, chi religioso, chi laico, chi rassegnato, chi ottimista Se
nostro compito recuperare le linee di fondo comuni, nel caso del dramma senza
confini della peste nera non lecito prescindere in alcun modo dalle reazioni
individuali. Una sola cosa certa e, ci pare, incontrovertibile: passata
lepidemia, recuperate sanit e funzionalit civile, le cronache trasmisero ai
contemporanei - ed ai posteri - unimmagine del male con toni variegati, ma
sostanzialmente equilibrati. Il problema metafisico del dolore e della morte di
massa aveva avuto soluzioni diverse, pi o meno razionali e credibili; ma non
era stata certamente eluso.
Gabriele Zanella
[1] Chronicon Estense cum additamentis usque ad annum
1478, edd. G. Bertoni - E. P. Vicini, Rerum Italicarum Scriptores (di qui in avanti: RIS)
n. e. 15/3 (1908-37)(di qui in avanti: Chronicon Estense), p. 159, forse ripetendo Patrizio Ravennate Cronica, in A. Calandrini
- G. Fusconi Forl e i suoi
vescovi I. Appunti e
documentazione per una storia della Chiesa di Forl I. Dalle origini al secolo XIV Forl, Centro studi e ricerche sulla antica
provincia ecclesiastica ravennate 1985 (Studia ravennatensia 2), p. 1174:
Mortalitas magna per totum fere mundum, segnata, per, in capo al 1347.
[2] Andreae
Danduli ducis Venetiarum Chronica per extensum descripta a. 46-1280, ed. E Pastorello,
RIS n. e. 12/1 (1938-1958), Introduzione, p. XV: Anche il manoscritto originale della Cronaca estesa del
Dandolo serba traccia manifesta del flagello dellepidemia. La interruzione
improvvisa del testo del libro nono, il mutamento della carta, dellinchiostro,
dello scriba e del criterio di numerazione dei capitoli, la ripresa a distanza
del primo amanuense, le numerose correzioni stilistiche e le giunte fatte alla
copia del sostituto, si riferiscono evidentemente ad un tempo darresto, che,
fra il 1344 e il 1352, anno in cui la Cronaca rimase definitivamente sospesa,
non pu convenire se non con il semestre della pestilenza del 1347; cf. Georgii et Iohannis Stellae Annales Genuenses, ed. G. Petti
Balbi, RIS n. e. 17/2 (1975), p. VI: Per il periodo tra il 1347 e il
1364 assai scarse sono le notizie negli Annali, tanto che possiamo quasi
parlare di una lacuna, avvertita pure dal nostro storico, il quale pi volte
lamenta di non aver trovato n di aver avuto testimonianza di fatti accaduti in
quegli anni.
[3] R. Sprandel
Geschichsschreiber in Deutschland 1347-1517, in Mentalitten im Mittelalter. Methodische und
inhaltische Probleme, ed. F. Graus, Sigmaringen 1987 (Vortrge und
Forschungen 35), pp. 288-89.
[4] Ad esempio per Conforto da Costozza, a proposito
della peste del 1387, per cui vedi G. Arnaldi
Realt e coscienza cittadine nella testimonianza degli storici e cronisti
vicentini dei secoli XIII e XIV, in Storia
di Vicenza II Let medievale a cura di G. Cracco,
Vicenza 1988, p. 305 nota 44.
[5] R. Romano
- A. Tenenti Alle origini del
mondo moderno Milano 1967, pp. 9-16
(Storia Universale Feltrinelli 12); F. Graus
Vom Schwarzen Tod zur Reformation. Der krisenhafte Charakter des
europischen Sptmittelalters, in Revolte
und Revolution in Europa, ed. P. Blickle, Mnchen 1975 (Historische
Zeitschrift, Beiheft 4), pp. 10-30.
[6] A. Borst
Il terremoto del 1348, prefaz. di
R. Delle Donne, Salerno 1988, p.
28: I sopravvissuti si flagellavano per penitenza fino a far sprizzare il
sangue, o si ubriacavano alla buona vendemmia del 1349 fino a picchiarsi lun
laltro, che parafrasa e cita la Continuatio Novimontensis, ed. W. Wattenbach,
Monumenta Germaniae historica (di qui in avanti: MGH) Scriptores (di qui in
avanti: SS) 9 (1851 (=1983)), pp. 671-76, in particolare p. 676: Optima vina
ubique provenerunt, et de ipso utentibus indiscrete, omnes quasi amenciam
contraxerunt, ita ut absque causa se verberarent atque male tractarent, dove
per pare di dover intendere che la violenza degli ebbri si rivolgesse contro
di s, piuttosto che vicendevolmente.
[7] Giovanni Villani Nuova Cronaca, III (Libri XII-XIII), ed. G. Porta, Parma, Fondazione Pietro Bembo - Ugo Guanda 1991 (di
qui in avanti: G. Villani), XIII, cxxiii, p. 566: E nota, lettore, che
lle sopraddette rovine e pericoli di tremuoti sono grandi segni e giudici di
Dio, e non sanza gran cagione e permessione divina, e di quelli miracoli e
segni che Ges Cristo vangelizzando predisse a suoi discepoli che dovieno
apparire alla fine del secolo. Su questidea del Villani vedi M. Haeusler Das Ende der Geschichte
in der mittelalterlichen Weltchronistik Archiv fr Kulturgeschichte 13 (1980) Beihefte, p. 143. Vedi anche ad
esempio Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso detta la
Cronaca Maggiore, edd. A. Lisini - F. Iacometti, RIS n. e. 15/6 (1939)(di qui in avanti: Agnolo), p. 555: ognuno credea che
fusse finemondo; Die Oberrheinische Chronik, ed. H. Maschek,
in Deutsche Chroniken,
Leipzig 1936 (Deutsche Literatur. Sammlung literarischer Kunst- und
Kulturdenkmler in Entwicklungsreihen, Realistik des Sptmittelalters 5), p.
64; Die Chronik des Johanns
von Winterthur, edd. F. Baethgen - C. Brun, MGH SS n. s. 3 (19552) (di qui in avanti: Giovanni di
Winterthur), p. 276; e via via fino al Sercambi: Le croniche di
Giovanni Sercambi, I, ed. S. Bongi, Lucca 1892 (Fonti dellIstituto
Storico Italiano (di qui in avanti: FSI) 19)(di qui in avanti Sercambi), p. 96: E per ciascuno fu
stimato essere la fine del mondo, e ben oltre, nel ricordo dei posteri.
[8] Borst Il
terremoto del 1348, p. 20. Che la
peste non sia affatto la ragione principe della crisi armai abbondantemente
provato ed accettato; cf. A. Frugoni
G. Villani, Cronica, XII, 94,
Bullettino dellIstituto Storico Italiano e Archivio Muratoriano 77 (1965),
p. 248: invece era s in corso, anche senza accompagnarsi alla improbabile
regressione demografica, una profonda crisi politica ed economica con rimando
(non solo fiorentina) a E. Perroy,
lorigine dune conomie contracte. Les crises du XIVe sicle
Annales E. S. C. 1 (1949), pp. 167-87; cf. ancora A. Higounet-Nadal Prigueux
aux XIVe e XVe sicles. tude de dmographie historique Bordeaux 1978, pp. 146-47, con rimando, oltre che al
Perroy, anche a R. Cazelles La peste de 1348-1349 en
Langue dOl. Epidmie proltarienne et enfantine, Bull. Phil. et Hist. du Comit des travaux
historiques 1965, pp. 293-305. Vedi infine G.
Cherubini La crisi del Trecento. Bilancio e prospettive di ricerca Studi storici 15 (1974), pp. 660-70.
[9] Ad es. Annales Frisacenses. Continuatio, ed. L. Weiland,
MGH SS 24 (1879 (=1975)), p. 67.
[10] S. Krger
Krise der Zeit als Ursache der Pest? Der Traktat De mortalitate in Alamannia
des Konrad von Megenberg, in Festschrift
fr Hermann Heimpel, 2, Gttingen
1972, pp. 839-83. Il resoconto cronistico di Gabriele de Mussi, Historia de
morbo sive mortalitate quae fuit anno Domini MCCCXLVIII, fu edito per primo da H. Haeser in Archiv
fr die gesammte Medizin, II., Dokumente
zur Geschichte des schwarzen Todes,
ed. A. W. Henschel, Berlin 1842,
pp. 26-59, e poi pi volte; da ultimo (ma in realt trascrivendo e
trascegliendo dalla edizione Haeser,
in Geschichte der epidemischen Krankheiten, Jena 1865, Anhang VIII., pp. 17-23) in A. G. Tononi La peste dellanno 1348, Giornale Ligustico 11 (1884), pp. 144-52; vedi
anche V. J. Derbes De Mussis
and the Great Plague of 1348, a forgotten episod of bacteriological warfare Journal of American Medical Association 196,1 (1966), pp. 59-62; nulla in proposito in Repertorio della
cronachistica emiliano-romagnola (secc. IX-XV), introd. di A. Vasina,
Roma 1991 (Nuovi studi storici 11).
[11] Franciscus
Pragensis Cronica Boemorum regum, ed. J. Emler, Fontes
Rerum Bohemicarum 4 (1884) (di qui in avanti: Franciscus
Pragensis), pp. 449-50.
[12] E. Carpentier
Une ville devant la peste. Orvieto et la Peste Noire de 1348 Paris 1962 (Ecole pratique des hautes tudes - VIe section. Centre des recherches historiques.
Dmographie et socits VII), p. 100; cf. anche pp. 121-36.
[13] Higounet-Nadal Prigueux aux XIVe e XVe
sicles, p. 146: la mentalit de
lՎpoque refusait de parler de la peste.
[14] Discorso historico con molti accidenti occorsi in
Orvieto et in altre parti principiando dal 1342 sino al 1368 o Ephemerides Urbevetane, ed. L. Fumi,
RIS n. e. 15/5,1 (1902-20)(di qui in avanti: Discorso historico), p. 35; Carpentier
Une ville, 193-94; J.-N. Biraben Les hommes et la peste en
France et dans les pays europens et mditerranens, voll. 2, Paris - La Haye 1975-76 (Civilisations et
Socits 35-36), 2, p. 69, ma la peste gi finita da un pezzo.
[15] A puro titolo esemplificativo, trascegliendo da un
materiale abbondantissimo, Julianus
Canonicus Civitatensis Chronica,
ed. G. Tambara, RIS n. e. 24/14
(1906), p. 57: Anno Domini MCCCXLVIII, die xxv januarii, circa horam
vespertinam, fuit terremotus magnus, qualis non fertur in aliquibus scripturis.
Eodem quoque anno iam incepta pestilentia; Cronica de Ducibus Bavariae, ed. G. Leidinger,
in Chronicae Bavaricae saeculi XIV,
MGH Scriptores rerum germanicarum (di qui in avanti: SRG) in us. schol. 19
(1918), p. 171: Anno Domini MCCCXLVIII in conversione sancti Pauli factus est
hora vespertina terremotus magnus, qui in diversis mundi partibus diversas
evertit civitates. Eodem anno, videlicet MCCCXLVIII, sevire cepit in Bavaria et
Bohemia et Austria illa magna pestilencia; ancora pi indicativo, per
lasettico accostamento, lintegro paragrafo che lautore degli Annales
Mellicenses, ed. W. Wattenbach, MGH SS 9 (1851 (=1983)) p.
513, dedica allanno 1348: In festo conversionis sancti Pauli, hora quasi
vespertina, terremotus factus est magnus, et in Karinthia Villacum et plures
civitates et castra cum hominibus perierunt. Item eodem anno tanta pestilencia
invaluit in Ytalia et in Provincia, quod vix duodecimus homo remansit; incendia
etiam plurima fuerunt.
[16] Per le Storie Pistoresi, ed. S. A. Barbi,
RIS n. e. 11/5 (1907-27)(di qui in avanti: Storie Pistoresi), p. 235, gli anni 1347 e 1348 sono accumunati da
fame e di pistilenziosa mortalitade per tutto lo mondo. Vedi anche F. Graus Pest, Geiler, Judenmorde. Das
14. Jahrhundert als Krisenzeit,
Gttingen 1987 (Verffentlichungen des Max-Plank-Instituts fr Geschichte 86),
pp. 15-16 nota 11. Il legame tra carestia e peste si trova anche esplicitamente
in alcuni trattati medici di poco successivi: K. Sudhoff Pestschriften aus den ersten 150 Jahren nach de
Epidemie des schwarzen Todes 1348,
Archiv fr Geschichte der Medizin 17 (1925), p. 55.
[17] XII, lxxxiii-lxxxiv.
[18] V. Rutenburg
Popolo e movimenti popolari nellItalia del 300 e 400, introd. di R. Manselli,
Bologna 1974, p. 71.
[19] Storie Pistoresi, p. 224.
[20] A. Corradi
Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1860, I, Bologna 1865 (= 1973), pp. 477-78; Carpentier Une ville, pp. 81-82;
Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 135.
[21] Corradi
Annali, p. 479; Carpentier Une ville, pp. 82-83.
[22] Non si tratta neppure di fenomeno limitato alla met
del Trecento: cf. B. Figluolo Il
terremoto del 1456, Altavilla
Silentina 1988-89 (Storia e scienze della terra 1), 1, pp. 3-17: La spirale
maltempo-carestia-pestilenza.
[23] E non una trovata recente: gi Leonardo Bruni
legava strettamente carestia e peste; lha indicato per primo M. Meiss Pittura a Firenze e Siena
dopo la morte nera. Arte, religione e societ alla met del Trecento, Torino 1982, p. 138.
[24] Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture
sanitarie nellItalia del Rinascimento,
Bologna 1985.
[25] Annales Frisacenses. Continuatio, p. 67; Borst
Il terremoto del 1348, p. 23.
[26] Cronaca Senese dei fatti riguardanti la citt e
il suo territorio di autore anonimo del secolo XIV, edd. A. Lisini
- F. Iacometti, RIS n. e. 15/6
(1939)(di qui in avanti: Cronaca Senese), pp. 148-49.
[27]Chronique latine de Guillaume de Nangis de 1113
1300 avec les continuations de cette chronique de 1300 1368, ed. H. Graud,
Paris 1853, 2 (di qui in avanti: Jean de
Venette), p. 215.
[28] Graus Pest,
Geiler, Judenmorde, pp. 30-31.
[29] Borst Il
terremoto del 1348, p. 28: Nella
mente dei testimoni oculari si imprimeva per sempre ci che i moderni
specialisti cos difficilmente comprendono: le catastrofi non si lasciano
accuratamente ripartire in fisiche, epidemiche, tecnologiche, politiche,
sociali. Esse devastano la vita delluomo nel suo complesso.
[30] Continuatio Novimontensis, p. 676.
[31] Borst Il
terremoto del 1348, pp. 33-35; C. Vasoli Umanesimo ed escatologia, in Lattesa della fine dei tempi nel Medioevo, a cura di O.
Capitani e J. Miethke,
Bologna 1990 (Annali dellIstituto storico italo-germanico, Quaderno 28), p.
252.
[32] F. Petrarca
Le senili, ed. G. Martellotti, Torino 1976, pp. 92-98.
[33] U. Dotti
Vita di Petrarca Roma-Bari 1987,
pp. 194-210, in particolare p. 210: possibile risposta al male del mondo,
lideale del savio che vive contento di pochi amici, della comunit dinteressi
con loro e della comune serenit di propositi e di pensieri.
[34] H. Baron
La crisi del primo Rinascimento italiano. Umanesimo civile e libert repubblicana in unet
di classicismo e tirannide Firenze
1960 (o 1970?), p. 115. Gi nel 1860 J. Burckhardt
(adopero la trad. it., La civilt del Rinascimento in Italia Firenze, Sansoni 1968), inseriva il suo breve
paragrafo sulla peste (pp. 76-77) nel capitolo Ritardo del Rinascimento. Cf. il legame accolto, a segnare il 1347, lanno pi
nero per leconomia della penisola e anche per molta parte dEuropa, da
Capitani nella Introduzione a M.
Mollat I poveri nel Medioevo introd. di O. Capitani,
Bari 1981, pp. XXIX-XXX, tra laccumulo di congiunture sfavorevoli:
carestie, turbe meteorologiche e, naturalmente, la peste nera, le
congiunture sfavorevoli economiche e la vicenda di Cola.
[35] A. Barbero Il
mito angioino nella cultura italiana e provenzale fra Duecento e Trecento Torino 1983 (Biblioteca storica subalpina 201), p.
162.
[36] Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 72.
[37] Per cui rimando a W.
H. McNeill, La peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dallantichit
allet contemporanea, Torino 1982; J. Ruffie - J. C. Sournia Le epidemie
nella storia, Roma 1985, ed ora al
lavoro di I. Naso in questo stesso
volume.
[38] Th. Rahe
Demographische und geistig-soziale Auswirkungen der Pest von 1348-1350 Geschichte in Wissenschaft und Unterricht 35
(1984), pp. 125-44. Significativo comunque che L. Del Panta Le epidemie nella storia demografica italiana
(secoli XIV-XIX) Torino 1980, pp.
28-31 non consideri neppure fugacemente le cronache tra le Fonti per lo studio
delle crisi di mortalit; nel paragrafo immediatamente successivo, Lo studio
delle crisi con dati parziali o incompleti, alle pp. 31-33, si fa cenno a mo
di esempio, ad un cronista, ma proprio per concludere che le fonti annalistiche
e cronachistiche possono avere una qualche validit su questo piano specifico
solamente se trovano conferma statistica; osservazione del tutto analoga fa Capitani nella sua Introduzione al Mollat
I poveri nel Medioevo, p. XXXIII, a proposito di
Matteo Villani. Una completa svalutazione delle cifre fornite dai cronisti a
proposito dei morti nella peste del 1348 in Del
Panta Le epidemie nella storia, a p. 114. Posizione analoga assunta da R. Comba La demografia nel Medioevo, in La Storia. I. Il Medioevo. 1. I
quadri generali Torino, UTET 1988,
p. 8. A. M. Nada Patrone Alimentazione
e malattie nel Medioevo, ibid., p.
38, sottolinea invece la straordinaria indifferenza alle grandi crisi del loro
tempo da parte dei cronisti ed annalisti (ad eccezione, per il basso medioevo,
di Boccaccio, Chaucer e William Langland) e di quasi tutti gli uomini di
cultura che, seppur memorizzano un evento epidemico, lo descrivono in modo
molto fatalistico. Questo atteggiamento pu far supporre una sorta di
rassegnata abitudine alla tragedia, di dura consuetudine con la morte, dovute
forse alle limitate possibilit e speranze di sopravvivenza delluomo
medievale. Per converso gli unici tipi di fonti utilizzabili per tracciare
una mappa delle malattie nel medioevo sono le fonti narrative, agiografiche ed
iconografiche (p. 42). E. Carpentier
Autour de la Peste Noire: famines et pidmies dans lhistoire du XIVe sicle
Annales E. S. C. 17 (1962), pp. 1062-92, propone in maniera quasi esclusiva
la via da lei percorsa: quella delle ricerche locali. Vedi ora il lavoro di R. Comba in questo stesso volume.
[39] Per cui vedi per indicazioni di largo respiro, che
interessano anche i cronisti, lintero volume Mentalitten im Mittelalter, ma in particolare F.
Graus Mentalitt - Versuch einer Begriffsbestimmung und Methoden der
Unterschung, pp. 9-48, e R. E. Lerner The Black Death and
Western European Eschatological Mentalities The American Historical Review 86 (1981), pp. 533-52.
[40] Carpentier
Une ville, p. 7: il sagit le
plus souvent de raconter lhistoire de la peste dans une ville ou dans un pays.
Quand a-t-elle commenc? Combien de temps a-t-elle dur? Quand a-t-elle fini?
A-t-elle eu des rsurgences? Quelle descriptions, quels tmoignage
possde-t-on sur elle? Quelles sont ses victimes clbres? Parfois, la
recherche prend plus dampleur: do est venue la peste? Par quel chemin?.
[41] Carpentier
Une ville, p. 9, e dopo di lei
di W. M. Bowsky The impact of
the Black Death upon Sienese Government and Society Speculum 39 (1964), pp. 1-34, e di R. W. Emery The Black Death of 1348 in
Perpignan ibid. 42 (1967), pp.
611-23. In generale vedi N. Bulst Der
Schwarze Tod. Demographische, wirtschafts- und kulturgeschichtliche Aspekte der
Pestkatastrophe von 1347-1352. Bilanz der neueren Forschung Saeculum 30 (1979) pp. 45-67.
[42] D. Herlihy
Pistoia nel Medioevo e nel Rinascimento Firenze 1972, pp. 125-41 fornisce una bella rassegna delle
incertezze e dei problemi irrisolti posti dalla descrizione dei sintomi della
peste.
[43] Cf. Carpentier
Une ville, p. 164: quelle est exactement la place de
la Peste noire dans ces deux sicles de dclin du Moyen Age, de dcadence de
lՎconomie europenne, de crises du XIVe
sicle?; vedi anche L. Febvre La
peste noire de 1348 Annales E. S.
C. 4 (1949) pp. 102-03; F. Keyser
Die Pest in Deutschland und ihre Erforschung, in Actes du Colloque international de
Dmographie historique, Lige, 1963:
Problmes de mortalit. Mthode, sources et bibliographie en dmographie
historique Lige 1965, pp. 369-77.
[44] Giovanni
di Pagolo Morelli Ricordi, ed. V. Branca,
Firenze 1956, pp. 287-92.
[45] V. Branca Boccaccio
medievale e nuovi studi sul Decameron
Firenze 19928, p. 33.
[46] Ibid., p. 39.
[47] Ibid., p. 34
e nota 2.
[48] Ibid., pp.
34-35, ma vedi anche losservazione successiva (p. 35): Levocazione
della peste non solo poggia su una tradizione tanto serrata e autorevole nella
retorica medievale da costituire quasi una ekphrasis canonica.
[49] Ibid., p. 37.
[50] F. Cardini Il
Decameron: un Genesi laico? Le dieci giornate della rifondazione cavalleresca
del mondo, in Cardini De finibus Tuscie. Il
Medioevo in Toscana Firenze 1989, p.
185: Il Boccaccio fa nascere loccasione del Decameron proprio dal
destrutturarsi drammatico di tutta una societ e in modo particolare di tutto
un ceto dirigente; p. 186: E, con la peste, quella rovina sembrava un fatto
consumato ormai irrimediabilmente. Non era solo la rovina dun grande centro,
con la sua potenza politica e i suoi traffici. Era, soprattutto la rovina dun Way
of life, che si esprimeva attraverso
il rilassamento dei freni morali, il disinteresse per lo stesso lavoro e le
stesse ricchezze, infine la rottura dei legami di parentela, al punto che lun
fratello laltro abbandonava e il zio il nepote e la sorella il fratello e
spesse volte la donna il suo marito; e, che maggior cosa e quasi non
credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare
e di servire schifavano.
[51] G. Getto
La peste del Decameron e il problema della fonte lucreziana, in Getto
Immagini e problemi di letteratura italiana Milano 1966, pp. 49-68.
[52] Adopero G. Boccaccio
Decameron, a cura di V. Branca, Torino 19926.
[53] Adopero Paolo
Diacono Historia Langobardorum, edd. L. Bethmann - G. Waitz,
MGH Scriptores Rerum
Langobardicarum et Italicarum
(1878), che comunque qui non differisce dalled. Crivellucci, di cui si serve
il Branca.
[54] Agnolo,
p. 552.
[55] Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani
secondo le migliori stampe, Trieste
1857 (di qui in avanti: M. Villani), I,
2.
[56] Marchionne di
Coppo Stefani Cronaca fiorentina, ed. N. Rodolico, RIS n.
e. 30/1 (1903-55)(di qui in avanti: Marchionne),
p. 230.
[57] Marco Battagli
da Rimini Marcha, ed. A.
F. Massra, RIS n. e. 16/3
(1912-13)(di qui in avanti: Battagli),
p. 54.
[58] Chronica abreviata fr. Johannis de Cornazano, in Chronica parmensia a sec. XI. ad exitum sec.
XIV, ed. L. Barbieri, Parma 1858 (di qui in avanti: Chronica
abreviata), p. 386. Su di essa vedi Repertorio
della cronachistica emiliano-romagnola, pp. 259-61.
[59] Storie Pistoresi, p. 235.
[60] P. Azario
Liber gestorum in Lombardia, ed.
F. Cognasso, RIS n. e. 16/4
(1925-39), p. 1.
[61] Cronaca inedita di Giovanni da Parma canonico di
Trento, in A. Pezzana Storia della citt di Parma, I, Appendice, Parma, 1837 (=Bologna, Forni 1971)
(di qui in avanti: Giovanni da Parma),
p. 51.
[62] Breve Chronicon Flandriae, ed. J. J. De
Smet, Corpus Chronicorum Flandriae 3 (1856) (di qui in avanti: Breve
Chronicon Flandriae), p.16.
[63] P. G. Molmenti
La storia di Venezia nella vita privata. Dalle origini alla caduta della Repubblica, 1, Trieste1973, pp. 415-16.
[64] Getto La
peste del Decameron, p. 65: La peste costituiva insomma un vero e proprio topos, un tema letterario a elementi obbligati, unekphrasis canonica; p. 66: Con lesperienza personale della
peste, o comunque con le notizie che di essa o di particolari di essa potevano
fornirgli i suoi contemporanei, il Boccaccio non doveva certo sentire la
necessit di ricorrere ai classici per nutrire di nuovi dati il suo racconto.
Dei classici egli aveva bisogno, soprattutto, per risolvere un problema di
calcolata arte retorica; p. 68: unoccasione, anche, per svolgere un alto
esercizio di arte retorica.
[65] G. Villani,
XII, lxxxiv, pp. 486-88: Ma
infinita mortalit, e che pi dur, fu in Turchia, e in quelli paesi doltremare,
e fra Tarteri. E avvenne tra detti Tarteri grande giudicio di Dio e
maraviglia quasi incredibile, e ffu pure vera e chiara e certa, che tra l
Turigi e l Cattai nel paese di Parca, e oggi di Casano signore di Tarteri in
India, si cominci uno fuoco uscito di sotterra, overo che scendesse da cielo,
che consum uomini e bestie, case, alberi, e lle pietre e lla terra, e vennesi
stendendo pi di xv giornate
atorno con tanto molesto, che chi non si fugg fu consumato, ogni criatura e
abituro, istendendosi al continuo. E gli uomini e femine che scamparono del
fuoco, di pistolenza morivano. E alla Tana, e Tribisonda, e per tutti que
paesi non rimase per la detta pestilenza de cinque luno, e molte terre vi
sabandonaro tra per pestilenzia, e tremuoti grandissimi, e folgori. E per
lettere di nostri cittadini degni di fede cherano in que paesi, ci ebbe come
a Sibastia, piovvono grandissima quantit di vermini grandi uno sommesso con viii gambe, tutti neri e coduti, e vivi
e morti, che apuzzarono tutta la contrada, e spaventevoli a vedere; e cui
pugnevano, atossicavano come veleno. E in Soldania, in una terra chiamata
Alidia, non rimasono se non femmine, e quelle per rabbia manicaro luna
laltra. E pi maravigliosa cosa e quasi incredibile contaro avvenne in
Arcaccia, uomini e femine e ogni animale vivo diventarono a modo di statue
morte a modo di marmorito, e i signori dintorno al paese pe detti segni si
propuosono di convertire alla fede cristiana; ma sentendo il ponente e paese di
Cristiani tribolati simile di pistolenze, si rimasono nella loro perfidia. E a
porto Talucco, inn una terra chha nome Lucco invermin il mare bene x miglia fra mare, uscendone e andando
fra terra fino alla detta terra, per la quale amirazione assai se ne
convertirono alla fede di Cristo. E stesesi la detta pistolenza infino in
Turchia e Grecia, avendo prima ricerco tutto Levante i Misopotamia, Siria,
Caldea, Suria, Cipro, il Creti i Rodi, e tutte lisole dellArcipelago di
Grecia, e poi si stese in Cicilia, e Sardigna, Corsica, ed Elba, e per simile
modo tutte le marine e riviere di nostri mari; e otto galee di Genovesi
cherano ite nel mare Maggiore, morendo la maggior parte, non ne tornarono che
quattro galee piene dinfermi, morendo al continuo; e quelli che giunsono a Genova,
tutti quasi morirono, e corruppono s laria dove arivavano, che chiunque si
riparava co lloro poco apresso morivano. Ed era una maniera dinfermit, che
non giacia luomo iii d, aparendo
nellanguinaia o sotto le ditella certi enfiati chiamati gavoccioli, e tali
ghianducce, e tali gli chiamavano bozze, e sputando sangue. E al prete che
confessava lo nfermo, o guardava, spesso sapiccava la detta pistilenza per
modo chogni infermo era abandonato di confessione, sagramento, medicine e
guardie. Per la quale sconsolazione il papa fece dicreto, perdonando colpa e
pena a preti che confessassono o dessono sagramento alli infermi, e lli
vicitasse e guardasse. E dur questa pestilenza fino a , e rimasono disolate
di genti molte province e cittdini []. E tali son fatti i giudici di Dio per
pulire i peccati de viventi.
[66] Buccio di
Ranallo Cronaca Aquilana,
ed. V. De Bartholomaeis, Roma 1907
(FSI 41), pp. 180-86.
[67] M. Villani, I,
2: Avemmo da mercatanti genovesi, uomini degni di fede, che avevano avute novelle
di que paesi, che alquanto tempo innanzi a questa pestilenzia, nelle parti
dellAsia superiore usc della terra ovvero cadde dal cielo un fuoco
grandissimo, il quale stendendosi verso il ponente, arse e consum grandissimo
paese senza alcuno riparo. E alquanti dissono che del puzzo di questo fuoco si
genr la materia corruttibile della generale pestilenzia: ma questo non
possiamo accertare; Die Oberrheinische Chronik, pp. 64-65; Chronicon Estense, p.160: Eodem millesimo et diebus, pluit ignis maximus
de celo in partibus Imperii, quod est inter Cathayum et Persidam, et cecidit in
forma nivis et combursit montes, terras et alia loca, homines et feminas, et
deducebat fumum maximum, quem qui adspiciebat, moriebatur in spatio medii diei;
et similiter si aliquis vel aliqua respiciebat illos, qui fumum viderant, etiam
moriebatur. Accidit tunc, quod decem galie transibant partes illas, quarum due
de Januensibus, scilicet homines respicientes illos qui viderant dictum fumum,
mori ceperunt etiam; tamen conduxerunt eas Constantinopolim et Peram. Tunc
cives dictarum civitatum loquentes cum illis existentibus super galias, statim
moriebantur; Continuatio Novimontensis, p. 674 (codex Novimontensis): Non longe ab illa regione accidit, quod terribilis ignis de celo
fulminavit, et ea que reperit consumpsit; lapides vero virtute illius ignis ita
ardebant ac si in arida ligna fuissent mutati. Fumus inde procedens erat valde
contagiosus, ita ut mercatores a longe ipsum intuentes statim inficerentur;
nonnulli ex eis eciam vitam ibidem finierunt. Qui autem evaserunt, pestilenciam
secum deportaverunt.
[68] M. Villani
I, 2: Appresso sapemmo da uno venerabile frate minore di Firenze vescovo di
del Regno, uomo degno di fede, che sera trovato in quelle parti dovՏ la citt
di Lamech ne tempi della mortalit, che tre d e tre notti piovvono in quello
paese bisce con sangue che appuzzarono e corruppono tutte le contrade: e in
quella tempesta fu abbattuto parte del tempio di Maometto e alquanto della sua
sepoltura; Continuatio Novimontensis, p. 674 (codex Novimontensis): Insuper in partibus ubi zinziber nascitur letalis pluvia descendit,
mixta cum serpentibus et diversis vermibus pestiferis; et cunctos quos tetigit
continuo extinxit. Il Chronicon Estense, p. 160, riporta la notizia, ma non la mette in relazione con la peste
successiva: Eodem millesimo, in partibus Captay pluit in maxima copia vermium
et serpentium qui devoraverunt maximam quantitatem gentium et quoscumque
homines, homines vel feminas, tangebat aqua, subito moriebantur.
[69] A. Coville
Ecrits contemporains sur la peste de 1348 1350 Histoire littraire de la France 37 (1937), pp.
340-51; Biraben Les hommes et
la peste, 2, pp. 9-10.
[70] N. Rubinstein The
Beginnings of Political Thought in Florence, A Study in Medieval Historiography Journal of the Warburg and Courtauld Institute 5
(1942), pp. 198-227.
[71] Das Buch der Natur von Konrad von Megenberg. Die
erste Naturgeschichte in deutscher Sprache, ed. F. Pfeiffer,
Stuttgart 1861.
[72] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Anno Domini MCCCXLI prima die mensis
Marcii ingressus est Saturnus primum punctum capricorni, et tunc iniciabatur
pestilencia illa magna, quam totus expertus est mundus.
[73] Chronique et Annales de Gilles le Muisit, abb de Saint-Martin de
Tournai (1272-1352), ed. M. H. Lematre, Paris 1905 (di qui in avanti: Gilles le Muisit), pp. 238-39; Jean de Venette, pp. 179-80; Chronique
de Jean Le Bel, edd. J. Viard - E. Dprez, 1-2, Paris 1904-05
(di qui in avanti: Jean Le Bel),
1, p. 225; Chronicon comitum Flandrensium, ed. J. J. De Smet, in
Corpus Chronicorum Flandriae 1 (1837), p 227; Breve Chronicon Flandriae, p. 18.
[74] Jean de
Venette, pp. 210-11; vedi anche P.
Cochon Chronique normande,
ed. Ch. de Robillard de Beaurepaire,
Socit de lhistoire de Normandie 1870, pp. 71-72; Biraben Les hommes et la peste, II,
pp. 12-13.
[75] G. Villani, XIII,
xcviii, p. 510: Nel detto anno,
del mese d'agosto, aparve in cielo la stella commeta [] e ingener grande
mortalit ne' paesi che il detto pianeto e segno signoreggiano; e bene il
dimostr inn Oriente e nelle marine d'intorno, come dicemmo adietro.
[76] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 20.
[77] Ibid., p. 39.
[78] Ad es. Jean de
Venette, p. 212; Die Chronik des Hugo von Reutlingen Forschungen zur Deutsche Geschichte 21 (1881), pp.
49-50; Sercambi, p. 96: Et era s
corrocta laire, che in qualunqua luogo huomo andava, la morte il giungea;
altri rimandi in Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 20.
[79] Vedine la rassegna in Biraben
Les hommes et la peste,
2, p. 25; Jean de Venette, pp.
212-13, che per vi aggiunge anche linquinamento delle acque da parte dei
giudei.
[80] Liber regiminum Padue, ed. A. Bonardi,
RIS n. e. 8/1 (1903-07), p. 368: in annis MCCCXLVIII die XXV ianuarii hora
XXIII fuit ingens terraemotus qui duravit per dimidium horae, post quem pestis
inaudita mare transivit, et evolavit de Venetiis in omnes occidentis
provincias, et denique in universum orbem.
[81] Carpentier
Une ville, p. 197; Biraben Les hommes et la peste, 2, p.
16.
[82] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Unde autem eadem pestilencia causaretur
vel quomodo ei succurrendum esset, nullus potuit medicus invenire.
[83] Biraben Les
hommes et la peste, 1, p. 53.
[84] Non si pensi che il de Mussi riferisca di cose viste
personalmente, perch stato mostrato dal Tononi,
p. 142, che tra 1346 e 1356 egli era attivo nella sua professione di notaio con
continuit a Piacenza.
[85] Vedi supra nota 65; cf. Biraben Les
hommes et la peste, 1, p. 53.
[86] Chronica abreviata, pp. 385-86.
[87] Chronicon Estense, p. 160; Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168.
[88] Breve Chronicon Flandriae, p. 14; Continuatio Novimontensis, p. 674.
[89] Agnolo,
p. 555: questo morbo sattachava collalito e co la vista pareva; Liber
regiminum Padue, p. 368: in solo
visu, vel anhelitu omnes interrimebat; cf. Biraben
Les hommes et la peste, 2, p. 22.
[90] Ad es. Marchionne
p. 230: Lo segno era questo, che, o tra la coscia e l corpo al modo (nodo?) danguinaia, o sotto lo ditello apparia un
grossetto, e la febbre a un tratto, e quando sputava, sputava sangue mescolato
colla saliva, e quegli che sputava sangue niuno ne campava; Cronica de
Ducibus Bavariae, p. 168: Invasit
autem homines et in lectos prostravit aliquando per nimum calorem, aliquando
per frigus, aliquando per capitis dolorem, inter que glandes erumpebant in
corporibus eorum et crescebant aliquibus sub humeris, aliquibus in ingwine,
aliquibus in coxis, quarum tamen multe evanescentes aut saniem emittentes
mortem hominibus non intulerunt; cf. Carpentier
Une ville, p. 114; Molmenti La storia di Venezia, pp. 415-16; Biraben
Les hommes et la peste, 2, pp. 43,
46.
[91] Annales S. Albini Andegavensis, ed. L. Halphen,
Cocllection de textes pour servir lՎtude et lenseignement de lhistoire
37 (1903) (di qui in avanti: Annales S. Albini Andegavensis), pp. 39-41; Biraben
Les hommes et la peste, 2, pp. 43-44, 46.
[92] Marchionne
p. 230: fu di tale terrore e di tanta tempesta, che nella casa dove
sappigliava chiunque serva niuno malato, tutti quelli che lo serviano,
moriano di quel medesimo male, e quasi niuno passava lo quarto giorno; Boccaccio Decameron Introduzione 13: quasi tutti infra l terzo
giorno dalla apparizione de sopra detti segni, chi pi tosto e chi meno e i
pi senza alcuna febbre o altro accidente, morivano, cf. Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 48.
[93] Annales Urbisveteris, ed. L. Fumi,
RIS n. e. 15/5,1 (1902-20), p.197.
[94] Come chiarisce bene la rubrica del
Battagli, p. 54: De mortalitate universali per totum orbem;
espressione ricorrente.
[95] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Quam magna autem seu seva fuerit in
popularibus civitatibus atque villis, si scribatur, incredibile estimatur.
[96] Agnolo, p. 555: E morivano quasi di subito e favellando
cadevano morti e non valea n medicina n altro riparo; e quanti ripari si
facea parea che pi presto morissero; Discorso historico, pp. 25-26: et la mattina erano sani et laltra
matina morti; Carpentier Une
ville, p. 113; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 55.
[97] Gilles le
Muisit, p. 238; Jean de Venette,
p. 179-80; Chronicon comitum Flandrensium, p. 227; Die Chronik Heinrichs Taube von Selbach mit den von ihm
verfaten Biographien Eichsttter Bischfe, ed. H. Bresslau, MGH SS
n. s. 1 (1922), pp. 75-76.
[98] Carpentier
Une ville, p. 162; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 55, nota a riprova che, sulla scorta degli
studi di K. Sudhoff, di contro alla totale assenza di trattati medici sulla
peste prima del 1348, con una unica eccezione nel 1340, sono stati pubblicati
circa trecento trattati in merito risalenti al periodo tra 1348 e 1500; Nada Patrone Alimentazione e malattie
nel Medioevo, p. 39: le opere
mediche sulle epidemie si infittiscono proprio a partire dal fatidico 1348.
[99] Jean de
Venette, p 214.
[100] Ad es. Sagacio
e Pietro de Gazata Chronicon
Regiense, RIS 18 (1731), col. 66:
De hoc morbo non possem scribere horribilitates, et crudelitates, et
obscuritates, quae fuerunt.
[101] Sei mesi sono la norma per Giovanni da Parma, p. 52. A Pisa (Agnolo, p. 553) dur questa mora 5 mesi; a Siena per uno
(Cronaca Senese, p. 148):
bast tre mesi, giugnio, luglio e agosto; ma per Agnolo, p. 555: La mortalit cominci in Siena di magio E
cos dur in fino a settembre; ad Orvieto (Discorso historico, pp. 25-26) dur questa mortalit finamente a
calenne di septembre, dai primi di maggio; a Firenze per M. Villani da aprile
a settembre, per Marchionne (p. 230) da marzo a settembre; per le Storie
Pistoresi, p. 235 dur l nfert
pi di IIII mesi continui; a Bologna da marzo a settembre; a Venezia da
febbraio ad agosto per alcuni (Pastorello
Introduzione, p. XIV), ma per
altri il canonico semestre: Molmenti
La storia di Venezia, pp. 415-16
; per il Battagli, p. 55, dovunque
da febbraio ad Ognissanti, primo di novembre; ad Avignone dur sette mesi
secondo la testimonianza di Guy de Chauliac (Biraben
Les hommes et la peste, 2, p. 45), ma il culmine si ebbe tra
gennaio ed aprile (Breve Chronicon Flandriae, p. 14); a Vienna dalla Pentecoste del 1349 (31
maggio) a S. Michele (29 settembre) (Continuatio Novimontensis, p. 676).
[102] A
Padova e distretto secondo il Liber regiminum Padue, p. 368: tertia pars defecit; a Pisa per Agnolo, p. 553, stimasi che ne morisse
de 5 e 4, ed a Piombino morivi e 3 quarti de le persone, ma per Pisa
cf. A. Feroci La peste bubonica
in Pisa nel Medio Evo e nel 1630
Pisa 1893, p. 13: secondo lanonimo qui pubblicato la mortalit colp il 70%
della popolazione; Agnolo, p. 555:
in tutto si trova che ne la citt e borghi di Siena morisse 80m persone, ch in questo tenpo facea Siena e li borghi
pi di 30m omini, e rimase Siena a meno di
X mila omini; il 75% nelle Venezie, risultava allautore della Continuatio
Novimontensis, p. 674, e lo stesso a
Siena per la Cronaca Senese, p.
148; Agnolo, p. 553: A Milano
mor poca gente, inperoch mor 3 fameglie; ad Orvieto per il Discorso
historico, pp. 25-26, contasi, che
delle dieci parti ne morissero le nove parti; per gli Annales Urbisveteris, p. 197, creditur quod medietas hominum obierit; a
Firenze per M. Villani de cinque i tre e pi, il 60%, soprattutto tra gli
strati inferiori, con la nota, tipica di Matteo, che sempre vede in chiave
cosmica, nel generale per tutto il mondo manc la generazione umana per
simigliante numero; 96.000 i morti per Marchionne, 100.000 per Boccaccio; A. B.
Falsini Firenze dopo il 1348 Archivio Storico Italiano 129 (1971), p. 436,
ritiene che ci si possa avvicinare alla verit ammettendo presenti in Firenze,
prima della peste, poco pi di 90.000 abitanti e, subito dopo la peste, poco
meno di 50.000 abitanti. A Venezia le vittime erano state prossime a 100.000
per il Battagli, pp. 54-55, ed il Liber
regiminum Padue, p. 368; ad Avignone
per le Storie Pistoresi, p. 235,
pi di 120.000, per Giovanni di
Winterthur, p. 275, 16.000 in un mese; a Pisa (Storie Pistoresi, p. 236) pi di 25.000, ed a Parigi 1.573 morti il
solo 13 marzo. Per gli Annales Mellicenses, p. 513, la percentuale dei morti era del 72%: vix duodecimus homo
remansit ; per Giovanni da Parma,
p. 51, a Trento l83% (5 su 6); per Giovanni da Praga tra Venezia e Marsiglia
il 66%, e cos mediamente in Germania per la Continuatio Novimontensis, p. 676. Vedi anche, dopo Bulst Der Schwarze Tod, pp. 49 ss., P. Dubuis LՎpidemie
de peste de 1349 Saint-Maurice-dAgaune Lausanne 1980 (tudes de lettres - Facult des lettres de lUniversit
IV-3), pp. 3-20.
[103] Chronicon Estense, pp. 160-61; riprendono pari pari il Chronicon la Polyhistoria, RIS 24 (1738), coll. 806-07, e lintero Corpus Chronicorum
Bononiensium, ed. A. Sorbelli, RIS n. e. 18/1 (1906-40), pp.
583-87; per Bologna A. I. Pini Campagne
bolognesi. Le radici agrarie di una metropoli medievale Firenze 1993, pp. 138-39: si pu senzaltro
concludere che la peste port via gli abitanti della citt in una proporzione
che oscilla tra 1/3 e i 2/5. Non era dunque molto lontano dal vero il cronista
bolognese contemporaneo Pietro da Villola quando scriveva che per la peste fu
estimato che di cinque era morti li tre e pi.
[104] Chronicon Estense, p.
162. Sulla peste a Venezia vedi ancora Pastorello,
Introduzione, p. XIV, che cita
anche Gian Jacopo Caroldo Historia
di Venetia, ms. Marc. It. VII 128a,
c. 200r, ed il Chronicon Monasterii S. Salvatoris Venetiarum Francisci de
Gratia (1141-1380), ed. A. M. Duse,
Venezia 1766, pp. 69-70, ed infine la testimonianza tarda raccolta in Marin Sanudo Vitae Ducum Venetorum, RIS 22 (1733) coll. 614-16.
[105] A. Sapori
Lattendibilit di alcune testimonianze cronistiche delleconomia medievale, in Studi di storia economica medievale 1, Firenze 1955, pp. 25-33.
[106] Biraben Les
hommes et la peste, 1, p. 156.
[107] Nemmeno la conclusione, a suo modo cauta, di Mollat I poveri nel Medioevo, p. 221: il calo demografico raggiunse forse un
terzo della popolazione europea.
[108] Frugoni
G. Villani, Cronica, XII, 94, p.
245 Tutte queste cifre, al di l della precisazione numerica, rappresentano
anche una interpretazione, direi, della storia fiorentina. Bowsky The impact of the Black Death, pp. 4-5 giudica le cifre fornite dai cronisti
senesi come, se non esattissime, generalmente affidabili.
[109] Annales S. Albini Andegavensis, pp. 39-41; Biraben
Les hommes et la peste, 1, p. 155.
[110] Discorso historico, pp. 25-26: molte famiglie et chasate rimasero
sderedate; Marchionne p. 230:
quando sappigliava in alcuna casa, spesso avvenia che non vi rimanea persona
che non morisse; Giovanni da Parma,
p. 51; cf. Biraben Les hommes
et la peste, 2, p. 30.
[111] Annales Urbisveteris, p.
197: principales nobiles et populares obierunt. Per Domenico da Gravina Chronicon de rebus in Apulia gestis, ed. A. Sorbelli,
RIS n. e. 12/3 (1903-09), p. 49, quasi modicus superfuit populus nel regno di
Sicilia.
[112] G. Cortusi
Historiae, RIS 12 (1728)(di qui
in avanti: Cortusi), col. 926. Non
risponde affatto a verit che secondo la cronaca di Rimini (e ci si riferir al
Battagli) la malattia ha colpito
prima i poveri, poi i ricchi, ma nessun grande signore, come si trova in G. C. Coulton The Black Death London 1929, p. 62, ripreso da Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 31.
[113] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Ubicunque vero sevitura erat, ibi primo in
pueros, deinde in forciores seviebat; Giovanni
da Parma, pp. 51-52, nota che la peste colp in regioni diverse in
diverse stagioni, qui nei tempi caldi, l nei freddi, senza norma, e pi i
giovani dei vecchi, e pi le fanciulle (soprattutto se carine), e pi le donne
degli uomini.
[114] Alberto de
Bezanis Cronica pontificum et imperatorum, ed. O. Holder-Egger,
MGH SRG in us. schol. 3 (1908), p. 102, ed aggiunge: in locis sanis quam in
viciosis et in fumis; che cosa significhi in fumis inesplicabile, ma
indicher comunque luoghi malsani.
[115] Continuatio Novimontensis, p. 676. Il che si accorda in parte con quanto
riferito da Heinrich von Herford (Liber
de rebus et temporibus memorabilibus sive Chronicon Henrici de Hervordia, ed. A.
Potthast, Gottingae 1859), p. 284, che nobilibus et militaribus et
clericis secularibus plus pepercit.
[116] P. 51.
[117] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 29.
[118] Agnolo,
p. 555: nel contado mor molta pi gente, che molte terre e ville sabandonaro
che non vi rimase persona; Annales Mellicenses, p. 513: in Karinthia, Austria et Babaria
mortalitas in tantum seviebat, quod multe ville et in civitatibus quibusdam
domus quamplures sunt destructe, ita quod inhabitator in eis nullus est
inventus.
[119] Discorso historico, pp. 25-26; Carpentier
Une ville, pp. 112, 120-21; Biraben
Les hommes et la peste, 2, pp. 28, 31, 37.
[120] J.-N. Biraben
Les pauvres et la peste, in tudes
sur lhistoire de la pauvret, ed. M. Mollat, Paris 1974 (Publications de
la Sorbonne, tudes 8,1-2), 2, pp. 505-18.
[121] Mollat I
poveri nel Medioevo, p. 221. Alcune perplessit in proposito mostra
ragionevolmente Capitani nellIntroduzione, pp. XXX-XXXIII. Ancora pi drastica, e meno
accettabile, laffermazione esemplificativa alle pp. 221-22: Linsistenza
dei cronisti nel mostrare, come gli artisti delle danze macabre, uneguale
vulnerabilit del ricco e del povero, corretta dalle testimonianze del triste
primato della povert. La malattia colp dapprima i quartieri poveri, per esempio
a Rimini, a Orvieto a Narbonne si pu parlare cos di epidemia proletaria.
[122] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 28.
[123] Marchionne,
p. 230; cf. Carpentier Une
ville, p. 113; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 25.
[124] Agnolo,
p. 556.
[125] Corpus chronicorum Bononiensium, pp. 583-87.
[126] Chronicon Sublacense, ed. R. Morghen,
RIS n. e. 24/6 (1927), p. 44.
[127] Agnolo,
p. 553: e non si trovava medici che volessero curare ; M. Villani I, 2: Di questa pestifera
infermit i medici in catuna parte del mondo, per filosofia naturale o per
fisica o per arte dastrologia, non ebbono argomento n vera cura; Marchionne, p. 230: e non valeva n
medico, n medicina, o che non fossero ancora conosciute quelle malattie, o che
li medici non avessero sopra quelle mai studiato, non parea che rimedio vi
fosse; Boccaccio Decameron, Introduzione 13: A cura delle quali infermit n
consiglio di medico n virt di medicina alcuna pareva che valesse o facesse
profitto: anzi, o che natura del malore nol patisse o che la ignoranza de
medicanti [] non conoscesse da che si movesse e per consequente debito
argomento non vi prendesse; Breve Chronicon Flandriae, p. 16: nec medicus visitat infirmum, si tamen ei
dantur quicquid infirmus in hac vita possideret.
[128] M. Villani, I,
2: Alquanti per guadagnare andarono visitando e dando loro argomenti,
li quali per la loro morte mostrarono larte esser fitta e non vera: e assai
per coscienza lasciarono a ristituire i danari che di ci aveano presi
indebitamente; Boccaccio Decameron, Introduzione 13: o che la ignoranza de
medicanti (de quali, oltre al numero degli scienziati, cos di femine come
duomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero
divenuto grandissimo.
[129] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 127.
[130] Discorso historico, pp. 25-26: Et le botteghe delli artefici tutte
stavano chiuse; Breve Chronicon Flandriae, p. 18: ad Avignone, ogni lavoro sospeso, vacationes indicte sunt
usque festum Michaelis.
[131] V. Rutenburg
Popolo e movimenti popolari nellItalia del 300 e 400, introd. di R. Manselli,
Bologna 1974, p. 109.
[132] Di
contro a Y. Renouard La Peste
Noire de 1348-1350 Revue de Paris
57 (1950), pp. 107-19, oggi in Renouard
Etudes dhistoire mdivale Paris
1968, I, pp. 143-55, che vedeva subito dopo la peste grandi mutamenti sociali e
soprattutto approfondirsi del divario tra poveri e ricchi, G. Prat Albi et la Peste Noire Annales du Midi 64 (1952), pp. 15-25, conclude che
nella regione da lui studiata si ebbe un notevole calo della popolazione, ma
scarsi mutamenti politico-sociali; ad analoghe conclusioni giunto P. Wolff Trois tudes de dmographie
mdivale en France mridionale, in Studi
in onore di Armando Sapori, I,
Milano 1957, pp. 493-503. Sulla
disgregazione della societ causata dalla peste insiste W. L. Langer The Black Death Scientific American 210 (1964), pp. 114-21.
[133] Vedi ora il lavoro di P. Pirillo in questo stesso volume.
[134] Marchionne,
p. 230: le genti spaventate abbandonavano la casa, e fuggivano in unaltra; e
chi nella citt, e chi si fuggia in villa; cf. Carpentier Une ville, pp. 134, 149-50; i veneziani fuggono a Chioggia, Ferrara, Padova,
Treviso, Ceneda, Torcello, Murano e altrove (Pastorello
Introduzione p. XIV); qui la
situazione particolarmente grave, tanto che si dovette ingiungere - passata
la tempesta - agli ufficiali pubblici fuggiti in massa di riassumere il loro
posto, parallelamente al divieto di lasciare la citt per tutti i veneziani;
cf. ancora Giovanni di Winterthur,
p. 275-76; Continuatio Novimontensis, p. 676, con la nota triste: sed quia prius erant infecti, propterea
non poterant evadere quin ex eis quam plures morerentur. Anche questo non
fenomeno esclusivo della peste nera: cf. Figliuolo
Il terremoto del 1456, 1, p. 11.
[135] Carpentier
Une ville, p. 155, con rimando a
Marchionne, p. 232. Anche questo
fenomeno ricorrente in seguito: cf. Figliuolo
Il terremoto del 1456, 1, pp.
112-13; sul carattere antropologico di queste manifestazioni si intrattenuto
J. Delumeau La paura in Occidente
(secoli XIV-XVIII), Torino 1979, pp.
209-11.
[136] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 77. Proprio a partire dalla peste
nera si moltiplicheranno i ricorsi alla misericordia della Madre di Dio: cf. Pestbltter
des XV. Jahrhunderts, ed. P. Heitz, Strassburg 1901; P. Pedrizet La Vierge de Misricorde.
Etude dun thme iconographique,
Paris 1908; Figliuolo Il
terremoto del 1456, 1, p. 176; J.-P. Delumeau Rassicurare e
proteggere, Milano 1992, che dedica
ampio spazio, per quel che ci riguarda, alle processioni ed al culto di Maria
misericordiosa; vedi in particolare p. 284: Fra le ondate delle pestilenze che
si abbatterono sullEuropa a cominciare dal 1348 e la diffusione del culto
della Vergine col mantello cՏ un rapporto di causa ed effetto che nessuno
mette in dubbio.
[137] Carpentier
Une ville, pp. 155-56; Biraben
Les hommes et la peste, 2, p. 66.
[138] Agnolo,
p. 553: e a pena e pochi preti davano la confessione e sagramenti; Marchionne, p. 230: Medici non si
trovavano; Battagli, p. 54:
Presbiteri et medici etiam fugiebant infirmos et mortuos pro timore; Storie
Pistoresi, p. 235: e che non si
trovava chi volesse servire nullo malato n portare morto a sepoltura n frate
n prete che andare vi volesse ; cf. Carpentier
Une ville, p. 155.
[139] Marchionne,
p. 230: quelli che si trovavano, voleano smisurato prezzo in mano innanzi
che intrassero nella casa, ed entratovi, tocavono il polso col viso volto
adrieto, e da lungi volevono vedere lurina con cose odorifere al naso; p.
231: Li preti e i frati andavano ai ricchi e in tanta moltitudine, ed erano s
pagati di tanto prezzo che tutti arricchieno;
cf. Carpentier Une
ville, p. 155.
[140] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 32.
[141] Agnolo,
p. 553: e non si trovava chi li sopellisse se no el padre portava el
figliuolo, el marito portava la moglie a la fossa senza preti o croce, e molti
rimaneano, ch non vera chi li portasse a la fossa. E Dio promise (sic) per,
che nissuno rimanesse in sul letto, n in casa morto, che non fusse portato a
la fossa da qualcuno dicendo: aiutiamo costoro, ch saremo aiutati noi, e
portialli a la fossa, ch saremo portati noi; e cos come per morti molti si
metteano e molti ne moriva e molti canpavano e molti facevano per denaro e
molti per lamor di Dio; p. 555: e non si trovava chi soppellisse n per
denaro n per amicizia, e quelli de la casa propria li portava meglio che potea
a la fossa senza prete, n uffitio alcuno, n si sonava canpana.
[142] Agnolo,
p. 555; Battagli, p. 54; Continuatio
Novimontensis, p. 676.
[143] Secondo quanto riferisce Gilles li Muisit, cui
rimandano Coville Ecrits
contemporains, p. 382, e Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 168.
[144] Agnolo, p. 553: Pisa si fu per abandonare [Piombino]
per tanto si fu per abandonare.
[145] Pastorello Introduzione p. XV, che cita la cronaca di S. Salvatore: Et in
ista peste surexerunt latrones infiniti, furantes et depredantes domos.
[146] Agnolo,
p. 555: quasi a ognuno pareva che di dolore a vedere si diventavano
stupefatti; Discorso historico,
pp. 25-26: et quelle che rimasero,
rimasero inferme et sbigottite, et con gran terrore dipartisene delle case che
rimasero delle genti loro morte.
[147] M. Villani,
I, 3.
[148] W. L. Langer
The next assignment The American
Historical Review 63 (1958), pp. 283-304.
[149] Nota Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 83 che a Firenze nel 1348 i
Villani - Giovanni, il nonno, che ne muore, poi il padre [ma il fratello
minore! G. Z.], Matteo, infine il
figlio, Filippo - descrivono larrivo della peste ed osservano come, durante
lepidemia, gli uomini si gettino con ardore nelle devozioni, ma come le chiese
non sembrano loro che luoghi di preghiera, e non dei rifugi protetti dalle
epidemie. Sulle devozioni anche Mollat
I poveri nel Medioevo, p. 225.
[150] Adopero qui il rapido sunto che del lavoro di Langer ha fatto la Carpentier Une ville, p. 164.
[151] Carpentier
Une ville, pp. 195-96.
[152] Anonymus
Leobiensis Deutsche Fortsetzung, ed. H. Pez, Scriptores
Rerum Austriacarum 1 (1721), col. 968; Borst
Il terremoto del 1348, p. 28.
[153]Continuatio Novimontensis, p.
676.
[154] La Cronaca del Conte Francesco di Montemarte
(1231-1399), ed. L. Fumi, RIS n. e. 15/5,1 (1902-20), p. 224;
sui fraintendimenti del cronista Carpentier
Une ville, pp. 104-05.
[155] Continuatio Novimontensis, p. 676.
[156] Vedi ora anche il lavoro di G. M. Varanini in questo stesso volume.
[157] Agnolo,
p. 553: E quelli che fugiano di Pisa erano divietati e non poteano entrare in
terra alcuna; provvedimenti analoghi vennero presi a Firenze, a Pistoia, a
Venezia, cf. F. Carabellese La
peste del 1348 e le condizioni della sanit pubblica in Toscana Rocca San Casciano 1897, A. Chiappelli Gli ordinamenti sanitari del comune di Pistoia
contro la pestilenza del 1348
Archivio Storico Italiano s. 4 20 (1887), pp. 3-24; A. Zanelli Di alcune Leggi suntuarie
pistoiesi dal XIV al XVI ibid. s. 5
16 (1895), pp. 206-24; M. Brunetti
Venezia durante la peste del 1348
Ateneo Veneto 22 (1909), 1, pp. 289-311; 2, pp. 5-42, edito anche come
estratto a parte, Venezia 1909; Carpentier Une ville, pp. 132-34. Nel secolo successivo lItalia sar,
come in tanti altri campi, a questo riguardo allavanguardia: cf. Cipolla Contro un nemico invisibile, pp. 14-20.
[158] Continuatio Novimontensis, p.
674.
[159] Agnolo, p. 553: le case loro furo murate luscia e le
finestre, ch nissuno ventrasse; Biraben
Les hommes et la peste,
2, p. 169.
[160] Coulton
The Black Death, p. 26; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 168.
[161] Senza giungere allincenerazione gli Ordinamenta
sanitatis dellaprile 1348 a Pistoia
ordinano che non si ritirino i morti dalle case che in una bara, regolamentano
la profondit delle fosse e proibiscono di introdurre cadaveri in citt. Si
sparsa lidea che la putrefazione dei corpi insepolti pu generare la peste, e
misure per allontanare i cimiteri si diffondono lentamente. Linteresse delle
autorit amministrative per la peste il fatto capitale, il punto di partenza
essenziale di ogni regolamentazione amministrativa ulteriore nel campo
delligiene pubblica. Prima dellapparizione della peste, solo in Italia,
sembra, che esistano regolamenti sanitari in qualche grande citt: a Firenze
gli Statuti sanitari, pubblicati
dal 1321 al 1324, si preoccupano di assicurare labbondanza del
vettovagliamento, sorvegliare la qualit delle carni e altre derrate alimentari
per la salute degli abitanti. Gi prima della peste in Italia alla fine del
XIII o allinizio del XIV secolo alcune comunit assoldano dei medici con
lincarico di assistere i poveri: Orvieto dispone cos di due medici pagati
dalla citt, e bisogna vedervi i primi passi, al di fuori delle opere di carit
della Chiesa, di una assistenza sanitaria civile. Ma la peste nera sconvolge
questa organizzazione encora timidamente abbozzata. Fino ad allora mal
remunerati (venticinque lire per anno), i medici scomparsi non sono rimpiazzati
che a peso doro. Sempre ad Orvieto il 24 ottobre 1348, si assolda maestro
Matteo fu Angelo dopo averlo lungamente sollecitato e gli si offrono cento lire
allanno. Il 4 giugno 1350, di nuovo si cerca di reclutare due medici ma anche
offrendo cinquanta fiorini allanno, vale a dire duecento lire, nessuno si
presenta e ci si deve contentare di incaricare uno studente che non ha ancora
terminato gli studi (Carpentier Une
ville, pp. 131, 147 e 192; Biraben Les hommes et la peste, 2, pp. 102, 125-26). Agli inizi della peste nera
molte citt italiane adottano simili provvedimenti: Pistoia nellaprile 1348
pubblica gli Ordinamenta sanitatis tempore mortalitatis, le cui misure sono rafforzate allinizio di giugno
del 1348. Venezia, Milano, Parma ed anche Gloucester in Inghilterra, vietano
lingresso ai viaggiatori ed agli stranieri provenienti da luoghi infetti. In
seguito alcune citt sentono il bisogno di una organizzazione amministrativa
particolare in tempo depidemia (G. Sticker
Abhandlungen aus der Seuchengeschichte und Seuchenlehre, I. Die Pest, 1. Die Geschichte der Pest,
; 2. Die Pest als Seuche und als Plage, Giessen 1908-1910, 1, pp.
51-52; Biraben Les hommes et la
peste, 2, p. 102). A Venezia il 20 marzo 1348 il doge Dandolo fa
nominare tre provveditori di sanit, una sorta di consiglio sanitario
ristretto, incaricato di proporre tutte le misure da prendere a proposito della
peste (V. Bazala Della peste e
dei modi di preservarsene nella Repubblica di Ragusa (Dubrovnik), in XIV Congresso internazionale di storia della
medicina, Roma, 13-20 settembre
1954, Dubrovnik-Zagreb 1954, p. 16; Biraben
Les hommes et la peste,
2, p. 138), ed a Firenze l11 aprile seguente i priori scelgono otto saggi che
formano una sorta di comitato di salute pubblica investito di poteri quasi
dittatoriali; ma questa istituzione non riesce a svolgere alcuna funzione al di
fuori delle forme amministrative tradizionali e ad imporsi (Carpentier Une ville, p. 131; Biraben
Les hommes et la peste,
2, p. 138).
[162] Storie Pistoresi, pp. 236-38.
[163] Carpentier
Une ville, pp. 132-33. Ad
Orvieto ugualmente, fin dal 1347, prima dellarrivo della peste, le
manifestazioni esterne di dolore sono proibite, ed a Venezia una misura
identica presa verso la fine dellepidemia (ibid., pp. 94, 95, 121, 132, 133;
Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 100).
[164] La Carpentier
rileva questa preoccupazione ad Orvieto quando, il 18 dicembre 1348, si compila
una lista degli orfani e si esamina la regolarit della loro tutela, o, se non
stabilita per testamento o per legge, che vi si provveda ricorrendo al parente
pi prossimo. Allo stesso modo, il 6 ottobre 1349, si decide di reprimere gli
abusi commessi dai tutori sui beni degli orfani (Carpentier Une ville, pp. 146, 190-91; Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 149).
Vedi anche Bowsky The impact of
the Black Death, p. 17, con rimando
ad Agnolo, p. 557.
[165] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 8; in generale - anche troppo -
vedi J. Delumeau Il peccato e
la paura. Lidea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, Bologna 1987.
[166] B. Guene
Storia e cultura storica nelloccidente medievale Bologna 1991, pp. 255-61. Alla pari della peste
anche il terremoto un segno della punizione divina e richiede espiazione: A. Riera Melis Fuentes y metodologa
para el estudio de los ssmos en Catalua, in Estudio dedicados a la memoria del Prof. Dr. Emilio Saz, I, Barcelona 1987 (= Anuario de estudios
medievales 17 (1987)), pp. 308-39.
[167] Vedi lacuta riflessione di Borst Il terremoto del 1348, pp. 52-58, che conclude che storia ancora
limprevedibile e linsuperato.
[168] Coulton
The Black Death, p. 11; Biraben Les hommes et la peste, 2, p.
8.
[169] Graus Pest,
Geiler, Judenmorde, p. 26.
[170] L. Green
Chronicle into History. An Essay on the Interpretation of History in
Florentine Fourteenth-Century Chronicles Cambridge 1972, passim. Sul dovere umano di giostrare tra
Fortuna e Virtus si esprimeva, comՏ noto, Petrarca.
[171] Mollat I
poveri nel Medioevo, p. 226: furono accusati i poveri In mancanza di
poveri, la vendetta popolare se la prese soprattutto con gli Ebrei in
Catalogna e nella valle del Reno.
[172] A proposito delle reazioni al terremoto nota Borst Il terremoto del 1348, p. 27: La civilt contadina del XIV secolo era
sufficientemente illuminata per credere gli uomini capaci di tutto, e
sufficientemente aggressiva per rispondere agli eventi funesti con la
persecuzione. I mercanti fiorentini ne facevano cauto accenno, il popolino
nellarea sismica non aveva peli sulla lingua: colpevoli erano coloro che
facevano prestiti in danaro, che bestemmiavano Dio, che frodavano gli uomini e
avvelenavano le fontane; colpevoli erano ad esempio gli ebrei. In alcune citt
ai margini dellarea sismica, tra lAustria e la Svevia, essi furono bruciati
poich avevano diffuso tra i cristiani la grande pestilenza; vedi ad es. Continuatio
Zwetlensis quarta, p. 685: Incusati
autem Iudei, quod fontes et aquas eciam fluentes quibusdam pulveribus
toxicassent, unde in superioribus partibus undique autem iugulati, et in
Chremsa adusti sunt una cum domibus eorum; Heinrich
von Diessenhofen Historia ecclesiastica, ed. A. Huber,
Fontes rerum Germanicarum 4 (1868) (di qui in avanti: Heinrich von Diessenhofen), p. 68, e molti altri; vedi per
questo Graus Pest, Geiler,
Judenmorde, pp. 168-214, 299-334.
[173] Fritsch Closener dice che il veleno che li uccise
era costituito dalle loro ricchezze; Knigshoven, a riprova, per converso, che
se fossero stati poveri li si sarebbe ritenuti innocenti (S. Guerchberg La controverse sur les
prtendues semeurs de la Peste Noire, daprs les traits de peste de lՎpoque Revue
des Etudes juives n. s. 8 (1948), pp. 3-40, che cita a sua volta M. Dubled Aspects conomiques de la vie
de Strasbourg aux 13e et 14e sicles: baux et rentes Archives de lEglise dAlsace n. s. 6 (1955), pp.
23-56; Biraben Les hommes et la
peste, 1, p. 65). Mollat
I poveri nel Medioevo, p. 226:
Per il loro tramite, lobiettivo erano i prestatori, gli usurai, i ricchi.
[174] Breve Chronicon Flandriae,
pp. 17-18.
[175] Guerchberg La
controverse, pp. 3-40; Biraben Les hommes et la peste, 1, p.
65.
[176] Come risulta chiaramente negli Annales
Mellicenses, p. 513: 1349 Item
Iudei in Swevia et Babaria cremati fuerant, quia convicti quidam profitebantur,
se mortalitatem predictam ante christianos pulvere toxicativo generasse.
[177] Graus Pest, Geiler, Judenmorde, 159; fra laltro conosce anche che simili
persecuzioni sono avvenute in Francia (ibid., p. 68).
[178] Ad es. Heinrich
von Diessenhofen, pp. 68-69: Anno predicto [1300] XL octavo mense
novembris incepit persecutio Judeorum. Et primo in Alamannia in castro
Solodorensi [Solothurn] cremati fuerunt omnes Judei, eos fontes ac rivos
intoxicasse...; vedi ancora per numerosissimi altri casi Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 161.
[179] Heinrich von
Diessenhofen, p. 70: XIII vero kal. octobris [1349] cremati sunt Judei,
qui in castro Kyburg reservati fuerunt numero 330, collecti de Wintertur et
Diessenhoven ac aliis oppidis ducis Austrie, qui ipsos defendebat....
[180] Come facilmente desumibile da molti dati
cronistici, fra cui quelli offerti dallOberrheinische Chronik (pp. 64-65), da Gilles
li Muisit (p. 224), Heinrich von
Diessenhofen (pp. 68-70); vedi per tutto questo Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 165.
[181] Graus Pest,
Geiler, Judenmorde, pp. 156-58: i
pogrom degli anni 1348-50 furono i pi impressionanti per vastit dellintero
Medioevo, ma non furono isolati: una tabella rileva una successione quasi
continua tra il 1298 ed il 1421, mentre unaltra mette in rilievo il ripetersi
delle persecuzioni in molte citt.
[182] Carpentier
Une ville, p. 206; Biraben Les hommes et la peste, I, p. 64.
[183] Agnolo, p. 553.
[184] Breve Chronicon
Flandriae, p. 17.
[185] Cortusi,
col. 926.
[186] Ibid., col. 927; Lidia Capo nella menzione di Cola
(G. Arnaldi - L. Capo I cronisti di Venezia e della
Marca Trevigiana nel secolo XIV, in Storia
della cultura veneta. Il Trecento
Vicenza 1976, pp. 317-18 n. 184 ) vede meno espresso, ma probabilmente forte
nel cronista, un atteggiamento di critica alla Chiesa, inetta a soddisfare le
aspirazioni di una cristianit bisognosa di pace e di coerenza morale.
[187] Ad es. Chronicon Estense, p. 160; Die Oberrheinische Chronik, p. 64. Genericamente G. Villani, supra nota n. 65.
[188] Annales Ensdorfenses, ed. G. H. Pertz,
MGH SS 10 (1852), p. 7: 1349. Hoc anno facta est pestilencia magna in toto
mundo. Eodem anno surrexerunt homines dicentes se penitere peccata sua, euntes
cum vexillis et cum flagellis percucientes se, et perambulabant omnes
regiones.
[189] A. Coville
Documents su les Flagellants
Histoire littraire de la Frane 37 (1937), pp. 390-411; Biraben Les hommes et la peste, 1, pp. 65-71; F. Graus
Pest, Geiler, Judenmorde.
Critiche al lavoro del Graus sono per venute da J. D. Morerod, Zeitschrift fr schweizerische Kirchengeschichte
85 (1991), pp. 289-91, che in particolare rileva come non si esaurisca cos la
ricerca della colpa della peste; per conto suo segnala i massacri dei lebbrosi
in Savoia. Anche Ph. Ziegler The
Black Death Phoneix Mill - Sroud -
Gloucestershire 1991, titola il capitolo che dedica alla Germania: the
Flagellants and the Persecution of the Jews. Heinrich von Herford, p.
283, intende il fenomeno come eminentemente tedesco.
[190] Annales Mellicenses, p. 513: Et hac de causa ritus quidam penitencie
fuit exortus, ut tam divites quam pauperes, antiqui cum iuvenibus et parvulis,
de sursum usque ad femora nudati, deorsum vero panno quodam cincti se flagellis
acriter verberabant, et cantum quendam decantantes, ecclesias, in quibus
penitenciam hanc exercebant, processionaliter intrabant
[191] Continuatio Zwetlensis quarta, ed. W. Wattenbach,
MGH SS 9 (1851 (=1983)), p. 685: Anno 1349 circa circumcisionem Domini usque
in pascham viri 40, 60 vel 100 coadunati per ecclesias discurrentes cum
flagellis se denudantes usque ad cingulum publicas egerunt penitencias,
cantando de passione Domini, quatenus pestilencia que tunc in quibusdam locis
prevaluerat cessaret. Per la Cronicae S. Petri Erfordiensis moderna
Continuatio II, in Monumenta
Erphesfurtensia Saec. XII. XIII. XIV,
ed. O. Holder-Egger, MGH SS in us.
schol. 42 (1899), p. 392, i tria mala antea vero inaudita sono nellordine le
uccisioni di ebrei, i flagellanti e la peste.
[192] Michele da
Piazza Historia Sicula,
ed. A. Gregorio, Bibliotheca
scriptorum Aragonensium 1 (1791), pp. 562-66.
[193] O. Capitani
Motivi e momenti di storiografia medioevale italiana: secc. V-XIV, in Nuove questioni di Storia medioevale Milano 1964, p. 791.
[194] Vedi da ultimo i dubbi in proposito di Bowsky The impact of the Black Death, pp. 4-5.
[195] Carpentier
Une ville, p. 99; Biraben Les hommes et la peste, 1, 54.
[196] Agnolo, pp. 552-55;
cf. Corradi Annali, p. 490; Carpentier
Une ville, pp. 99-100.
[197] Agnolo,
p. 555, rr. 7-18.
[198] Ibid.,
rr. 19-21.
[199] J. Larner LItalia
nellet di Dante, Petrarca e Boccaccio Bologna 1982, p. 443: Per coloro che la dovettero subire
quella fu una profonda tragedia umana durante la quale ogni signola persona di
anno in anno si vide chiamata a dar prova del proprio coraggio e della propria
capacit di resistenza.
[200] Bowsky The
impact of the Black Death, p. 17
corregge la punteggiatura, ed il senso, delled. Lisini: 52.000 persone, di cui 36.000 vecchi, 28.000 nei
borghi, in totale 80.000 vittime; i superstiti sono 30.000.
[201] Cf. il documento del 17 novembre 1348, riportato
ibid., p. 23 e nota 139: in lapso fatalitatis tempore negligebatur comuniter
ab omnibus custodia pecoris et brutorum, cum vix propinquorum infirmorum et
deficientium cotidie habebatur custodia et cura.
[202] Agnolo,
pp. 555-56.
[203] Mollat I
poveri nel Medioevo, p. 227: Ognuno
viveva secondo il suo capriccio dopo la grande pestilenza dellanno passato.
[204] Agnolo,
p. 557.
[205] Ibid.,
p. 560.
[206] Bowsky The
impact of the Black Death, p. 27
rileva un aumento dei disordini, e rimanda ad Agnolo,
p. 556; a p. 29 trova qualche conferma documentaria sui nuovi ricchi, di cui Agnolo, p. 560; lo stesso a p. 30 per i
magazzini e le case, di cui Agnolo,
p. 557; conclude a p. 34 che la peste non fu la causa della caduta del governo
dei Nove, ma favor i mutamenti demografici, sociali ed economici che
rafforzarono lopposizione alloligarchia dominante.
[207] A. Frugoni
La biblioteca di Giovanni III duca di Napoli (dal Prologus dellarciprete
Leone al Romanzo di Alessandro)
Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dellUniversit di
Roma 9 (1969), p. 161; cf. M. Miglio
Et rerum facta est pulcherrima Roma: attualit della tradizione e proposte
di innovazione, in Aspetti
culturali della societ italiana nel periodo del papato avignonese Todi 1981 (Convegni 19), pp. 348-51.
[208] Guene Storia
e cultura storica.
[209] In particolare Baron
La crisi del primo Rinascimento italiano, p. 189, e da ultimo, con una correzione del parere del Baron, E. Artifoni La consapevolezza di un
nuovo assetto [non aspetto, come si legge a p. 77] politico-sociale nella
cronistica italiana det avignones: alcuni esempi fiorentini, in Aspetti culturali della societ italiana , pp. 82-92.
[210] G. Aquilecchia
nella sua Introduzione a Giovanni Villani Cronica. Con le
continuazioni di Matteo e Filippo,
scelta, introduzione e note di G. A., Torino 1979, p. XX.
[211] Artifoni
La consapevolezza di un nuovo assetto , p. 82.
[212] Aquilecchia
Introduzione, p. 291 nota 2.
[213] Green Chronicle
into History, pp. 44-85.
[214] Aquilecchia
Introduzione, pp. XX-XXII.
[215] Artifoni
La consapevolezza di un nuovo assetto , pp. 83-88.
[216] Aquilecchia
Introduzione, p. XXI.
[217] Calco di Gn 6, 12: Cumque vidisset Deus terram esse corruptam (omnis quippe caro
corruperat viam suam super terram).
[218] Gn 9,
11: Statuam pactum meum vobiscum, et nequaquam ultra interficietur omnis caro
aquis diluvii, neque erit deinceps diluvium dissipans terram.
[219] Cf. Discorso historico, p. 11; Carpentier
Une ville, p. 82.
[220] Aquilecchia
Introduzione, p. 293, rettifica: Antonino, e nota che il nome Antonio non figura nella ed.
giuntina del 1581, ed il Chronicon di Girolamo, da cui probabilmente trae Matteo, - come del resto anche
Orosio e lHistoria Romana di Paolo Diacono-Eutropio - ha proprio Antonino. Ma noto io che la lezione Antonio molto comune nei cronisti del tempo; vedi ad es. Ricobaldi Ferrariensis Compendium
Romanae Historiae, ed. A. T. Hankey, Roma 1984 (FSI 108), IX, 54, p.
593; ma qui certo (non: sembra, come dice Aquilecchia)
che Matteo si riferisce a Marco Antonino Vero ed a Lucio Aurelio Commodo
Severo, e lepidemia di cui si parla era descritta sommariamente, pi che in
Girolamo, cui rimanda Aquilecchia,
nellAdversus paganos di Orosio
(VII, 15, 5-6); cf. Ricobaldi
Ferrariensis Compendium ,
IX, 46, p. 588. Certo non da Orosio, per, viene lindicazione la quale
cominci in Babilonia dEgitto, che potrebbe esser frutto di confusione,
mentre la frase successiva -e comprese molte provincie del mondo - pare
proprio un calco dellorosiano plurimis infusa provinciis.
[221] Ancora da Orosio
VII, 21, 5, pi che da Girolamo: Matteo per non mette in diretta relazione il
diffondersi del male con la persecuzione dei cristiani, come fa invece Orosio:
Exeritur ultio violati nominis Christiani.
[222] Ancora da Orosio
VII, 22, 1-2.
[223] A suo modo pi modesto lautore del Liber
regiminum Padue, p. 368, faceva il
confronto con le piaghe dEgitto ed altre minori: Hac clade multae fuerunt
destitutae civitates; in castris non audiebantur nisi voces querulae, dolores
et ploratus, adeo quod clades, quae fuit tempore Pharaonis, David et Ezechiae,
poterat respectu huius pro nihilo reputari.
[224] Vedi supra testo corrispondente alla nota 183.
[225] Gi J. BurckhardtLa
civilt del Rinascimento in Italia
Firenze 1968, p. 478, aveva notato che: I cronisti
fiorentini si mostrano fieramente avversi, anche se sono costretti a menzionare
quel delirio [scil. il ricorso allastrologia], perch sinnesta nelle
tradizioni patrie. Giovanni Villani ripet pi duna volta: nessuna
costellazione pu sottoporre alla necessit il libero volere delluomo, n il
consiglio di Dio; Matteo Villani biasima lastrologia come un vizio che i
Fiorentini avrebbero ereditato dai loro antenati gentili, i Romani.
[226] G. Villani,
XII, lxxxiv, pp. 485-86: Ma nnoi
dovemo credere e avere per certo, che Idio promette le dette pestilenze e
llaltre a popoli, e citt e paesi per pulizione de peccati, e non solamente
per corsi di stelle, ma talora, siccome signore delluniverso e del corso del
celesto, come gli piace; e quando vuole, fa accordare il corso delle stelle al
suo giudicio.
[227] Decameron Introduzione 8. Branca Boccaccio
medievale, p. 34 richiama anche
Introduzione 25: Alcuni erano di pi crudel sentimento, come che per avventura
pi fosse sicuro, dicendo niuna altra medicina essere contro alle pistilenze
migliore n cos buona come il fuggir loro davanti: e da questo argomento
mossi, non curando dalcuna cosa se non di s, assai e uomini e donne
abbandonarono la propria citt, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e
le lor cose, e cercarono laltrui o almeno il lor contado, quasi lira di Dio a
punire le iniquit degli uomini con quella pistolenza non dove fossero
procedesse, ma solamente a coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor
citt si trovassero, commossa intendesse, o quasi avvisando niuna persona in
quella dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta, per concludere che il
Boccaccio per una spiegazione provvidenziale. A noi pare che si debba
distinguere tra le cause prossime, tra cui pu rientrare la congiunzione
astrale, e la causa ultima, che risale sempre alla volont divina; della prima
si dice in Introduzione 8; della seconda in Introduzione 25; in ogni caso il
primo passo non pu essere dimenticato. Notiamo qui di, passaggio - a proposito
di Introduzione 25 - che il rimedio suggerito dal buon senso di lasciare la
citt per luoghi pi salubri marchiato anche dal Villani come vano tentativo,
biasimato da discreti, di sottrarsi alla mano di Dio.
[228] Sulla provenienza dallIndia concordano altre
testimonianze di area francese; cf. Biraben
Les hommes et la peste, 1, p. 50.
[229] Agnolo, p. 555.
[230] Vedi supra testo corrispondente alle note 52-63.
[231] Tra glinfedeli cominci questa inumanit crudele,
che le madri e padri abbandonavano i fligliuoli, e i figluoli le madri e padri,
e luno fratello laltro e gli altri congiunti: cosa crudele e maravigliosa e
molto strana alla umana natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali,
seguendo le nazioni barbare, questa crudelt si trov.
[232] Del tutto opposto il giudizio del Breve Chronicon
Flandriae, p. 16: Et ideo
innumerabilis multitudo hominum mortua est carnali affectione devota, ac etiam
pietate et caritate nota, que si non visitasset ad tempus, forte evasisset.
[233] Vedi da ultimo G. Zanella
Machiavelli prima di Machiavelli
Ferrara 1985, pp. 96-102.
[234] R. Romano
Tra due crisi: lItalia del Rinascimento Torino 1971, pp. 21-22; J. Day
Crisi e congiunture nei secoli XIV-XV, in La Storia, I, p. 250;
pi sotto (pp. 250-51) mette in parallelo i lamenti di Matteo Villani sugli
effetti scandalosi della peste nera a Firenze con analoghe posizioni assunte
dal poeta John Gower e da William Langland.
[235] Mollat I
poveri nel Medioevo, p. 226; ma cf. Capitani,
che nellIntroduzione, p. XXXIII,
richiama la necessit di spiegare il passo nellottica culturale del
cronista. Nota che la peste segna, nelleconomia stessa del volume del Mollat, un momento basilare,
catastrofico (Capitani, p. XXX),
assunto ad inaugurare lultima parte, la quarta, del libro; cos lo studioso
francese riprende ed aggiorna Matteo Villani.
[236] Burckhardt
La civilt del Rinascimento in Italia, pp. 76-77.
[237] Ad es., e con la medesima meraviglia, da Jean de Venette, pp. 215-16: Et quod
iterum mirabile fuit: nam cum omnis abundantia omnium bonorum esset, cuncta
tamen cariora in duplo fuerunt, tam de rebus utensilibus quam de victualibus,
ac etiam de mercimoniis et mercenariis, et agricolis et servis; exceptis
aliquibus hereditatibus et domibus quae superfluae remanserant his diebus; cf.
Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 16.
[238] R. Fossier
Crisi di crescita in Europa (1250-1430), in Storia del Medioevo,
a cura di R. Fossier, III. Il
tempo delle crisi 1250-1520, Torino
1987, pp. 79-80: Lo schema di una crisi agraria classica ben noto: un
raccolto mediocre (che ipoteca il successivo) comporta un aumento dei prezzi
dei prodotti alimentari; tale aumento intacca le disponibilit finanziarie
degli acquirenti, rurali o urbani, che sono costretti a ridurre altri acquisti,
provocando il ristagno e la paralisi dellartigianato o del commercio; a tale
livello, di conseguenza - ma anche in campagna -, i salari, in mancanza di
lavoro, rimangono bassi e limitano le possibilit di acquisto del lavoratore.
Ma lo schema in questione, tipico del periodo moderno, non funziona per i
secoli XIV e XV. Ho detto in precedenza che i salari non diminuivano o
addirittura aumentavano a causa del forte decremento demografico La forbice
dei prezzi e dei salari, almeno in campagna, non assume dunque laspetto di una
curva-prezzi in ascesa e di una curva-salari decrescente, ma esattamente il
contrario. Ovunque sia stato possibile delinearla, la tendenza
indiscutibile. Sembra una esegesi del passo di Matteo.
[239] Artifoni
La consapevolezza di un nuovo assetto, pp. 83, 87-88.
[240] Borst Il
terremoto del 1348, p. 19: Con
laiuto della storia noi potremmo vivere consapevolmente, come gi fanno altri.
In Cina e in Giappone moderni geofisici e storici hanno compilato adeguate
cronache dei terremoti del loro paese Conoscenze scientifiche ed esperienze di
ogni giorno cooperano nel lontano Oriente a preparare la popolazione non ad uno
shock isolato, ma ad una minaccia continua; p. 53: Bisognerebbe rispondere
alla sfida in modo simile al tardo Medioevo, con la comune premura di molti,
con grande respiro e sguardo volto a tutti gli uomini; p. 58: Ci che tremava
sotto i loro piedi era la vita, che muove anche i nostri cuori.
[241] Green Chronicle
into History, p. 37; vedi anche G. Aquilecchia Villani Giovanni Enciclopedia Dantesca 5 (1976), pp. 1013-16.
[242] G. Aquilecchia
Aspetti e motivi della prosa trecentesca minore, in Aquilecchia
Schede di italianistica Torino
1976, p. 14, rileva le novit stilistiche in M. Villani, che si segnala per un
rispetto notevole per i nessi logici e temporali; vedi anche Aquilecchia Villani Matteo, Enciclopedia Dantesca 5 (1976), pp. 1016-17; in
definitiva lesatto contrario di quanto vedeva R. Palmarocchi I Villani (Giovanni, Matteo e Filippo
Villani). Secolo XIV Torino 1937,
pp. 90-91: Il pi grave difetto della Cronica di Matteo la mancanza di una
organica fusione tra ragionamento e racconto. Le sue osservazioni filosofiche
sono per lo pi esposte nei Proemii ai singoli libri; seguono i fatti, ordinati
quasi sempre cronologicamente e, nonostante qualche tentativo mal riuscito di
coglierne le linee generali, scelti senza troppo badare al loro valore
storico.
[243] Capitani
Motivi e momenti di storiografia,
pp. 778-79.
[244] N. Rodolico Introduzione a Marchionne, p. XCIX: A
lui mancava quella preparazione artistica, per la quale conservando le naturali
doti di popolano scrittore evitasse i difetti.
[245] Marchionne, p.
230: E non bastava solo gli uomini e le femmine, ma ancora gli animali
sensitivi, cani e gatte, polli, buoi, asini e pecore moriano; pp. 231-32:
Tutte le frutta nocive vietarono a entrare nella citt, come susine acerbe,
mandorle in erba, fave fresche, fichi ed ogni frutta non utile e non sana; p.
232: Di questa mortalit arricchirono speziali, medici, pollaiuoli,
beccamorti, trecche di malva, ortiche, marcorelle ed altre erbe.
[246] Marchionne,
p. 230.
[247] Ibid., p. 232; corsivi miei.
[248] I propositi dichiarati e lo schema generale facevano
dire al Massra che si tratta di un opera storiograficamente irrilevante,
mentre Gherardo Ortalli nota che poi sono gli stessi fatti a mutare sia la
struttura programmatica sia il valore della cronaca; cf. A. F. Massra nella prefazione alla sua ed.
della Marca a p. XXXII; G. Ortalli Aspetti e motivi di
cronachistica romagnola Studi
Romagnoli 24 (1973), pp. 384-85 e Repertorio della cronachistica
emiliano-romagnola, pp. 57-61.
[249] Battagli,
pp. 54-55.
[250] Battagli,
p. 9; cf. Zanella Machiavelli, pp. 125-26.
[251] Breve Chronicon Flandriae, pp. 14-26.
[252] Vedi ancora per un buon inquadramento A. Coville Gilles li Muisis, abb de
Saint-Martin de Tournai, chroniqueur et moraliste Histoire littraire de la Frane 37 (1937), pp.
250-324.
[253] Ibid., in particolare pp. 281, 283, 304.
[254] Gilles le
Muisit, p. 224: fama tamen fuit quod ubique, in tota Alamannia et in
regnis aliis aut combusti sunt, aut decapitati, aut aliis variis modis sunt
interfecti. Certum est quod in comitatibus Lotharingie et Bari combusti fuerunt
omnes qui ibidem fuerunt reperti. Nota opportunamente Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 215, che lalternanaza tra notizie certe e dicerie
corrente in Gilles. Vedi ancora A. Coville
Ecrits contemporains sur la peste de 1348 1350 Histoire littraire de la France, 37 (1937), p. 293; numerosissimi gli episodi del genere, comՏ noto; per una
rapida sintesi vedi Biraben Les
hommes et la peste, 1, pp. 57-65;
fu, in un bilancio conclusivo, in scala europea, le plus grand mouvement de
violence contre les juifs quait connu lEurope au Moyen Age (p. 64).
[255] Annales S. Albini Andegavensis, p. 40: Et in provincia Turonensi mitius se habuit
quam alibi communiter; vedi anche E. Farge
La peste noire en Anjou 1348-1362
Rev. Anjou 3/1 (1854), pp. 94-96.
[256] Gilles le
Muisit, p. 104.
[257] Cf. il passo di Heinrich
von Diessenhofen, p. 83, all'anno 1351: Et quia cleri devocio defecit,
laycorum fides excrescat; sul quale richiama lattenzione Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 140.
[258] Gilles le
Muisit, pp. 222-23, 226-48; cf. Coville
Documents su les Flagellants, pp.
390-94, 398-99; Biraben Les
hommes et la peste, 1, pp. 68-69. Non mancarono le accuse
di agire in quel modo propter commodum et temporale lucrum (Chronicon
comitum Flandrensium, p. 226); vedi
anche Coville Documents su les
Flagellants, p. 403.
[259] Cf. Biraben Les hommes
et la peste, 2, p. 64; Mollat I poveri nel Medioevo, p. 225.
[260] Graus Pest,
Geiler, Judenmorde, p. 138.
[261] Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 48.
[262] Cf. Mollat
I poveri nel Medioevo, p. 227.
[263] Gilles le
Muisit, pp. 257-58: de potentioribus et ditioribus pauci aut nulli
decesserunt et maxime in vicis forensibus et vicis parvis et strictis plus
moriebantur quam in vicis latis et locis amplis.
[264] Cf. Biraben Les
hommes et la peste, 2, p. 100.
[265] Gilles le
Muisit, pp. 255-57.
[266] Ch.-V.
Langlois La vie en France au moyen ge de la fin du XIIe sicle au milieu du XIVe sicle, Paris 1924-282, 2, p. 331; Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 135.
[267] Cf Giovanni di Winterthur,
pp. 238-39; Heinrich von Herford,
pp. 265, 268; in generale Graus Pest,
Geiler, Judenmorde, p. 144-45.
[268] Jean le Bel,
1, pp. 224-26; 2, p. 185.
[269] Cf. anche Coville
Documents su les Flagellants, p.
398.
[270] Froissart
Chroniques, ed. G. T. Diller, Genve 1972, pp. 894-96
[271] Guerchberg La
controverse, pp. 3-40; Biraben Les hommes et la peste, 1, p.
65.
[272] Das Buch der Natur, pp. 107-13.
[273] Possibile allusione, mi suggerisce Andrea Tabarroni,
ad Ockham.
[274] Krger Krise der Zeit, pp. 871-77.
[275] Annales Frisacenses. Continuatio, p. 67
[276] Borst Il
terremoto del 1348, p. 24.
[277] Mi discosto qui fortemente dal commento del Borst Il terremoto del 1348, p. 20: Ci che accadeva stavolta non era previsto
dalla Bibbia: la Chiesa di Dio era lesa. Lo scrivente annotava linconcepibile,
perch anche i lettori delle et successive sapessero che era accaduto e poteva
accadere di nuovo, che non mi sembra fondato, perch, pur partendo dalla
constatazione di un fodamento biblico nel passo, finisce proprio col negargli
validit didattica ed escatologica.
[278] Continuatio Novimontensis, pp. 673-76.
[279] Cf. quanto dice per Trento Giovanni da Parma, p. 51: multae personae insaniebant.
[280] Ibid., pp. 674-76.
[281] Die Klner Weltchronik, 1273/88-1376, ed. R. Sprandel,
MGH SS n. s. 15 (1991), pp. 88-93.
[282] Con una notazione cronologica singolare, p. 92:
circa annum Domini MCCCL. et duobus annis sequentibus, che leditore
suggerisce di intendere come un errore: i due anni precedenti, non seguenti.
[283] Cf. supra nota 110.
[284] P. 90: Que quidem perniciosa et execranda societas
velud zizania inter triticum in agrum ecclesie auctore dyabolo, humani generis
inimico, seminata ad instar male segetis subito pullulantis sub brevi temporis
inicio in tantam convaluit multitudinis ubertatem.
[285] P. 91: in totum evanuit quasi fumus; incensis
domibus et habitacionibus ipsorum et thesauris omnibus spoliatis.
[286] Cronicae S. Petri Erfordensis moderna.
Continuatio III, in Monumenta
Erphesfurtensia., pp. 378-82.
[287] Franciscus
Pragensis, pp. 449-52.
[288] Nota Borst
Il terremoto del 1348, pp. 31-32:
In realt il regno di Boemia non fu il solo a rispondere alla crisi del 1348
con la territorializzazione e la burocratizzazione della societ e della
scienza. A questo nuovo ordine doveva appartenere il futuro dellEuropa, ma nel
presente del XIV secolo esso non si afferm. Oltre i progetti divergenti dei
dotti e dei politici resisteva ancora unintrepretazione del mondo che li univa,
quella religiosa.
[289] Carpentier
Une ville, p. 222: malgr le
dsorganisation qui a paralys pendant quelques semaines la vie politique
dOrvieto en 1348, linfluence de la peste parat minime, longue chance,
sur les vnements eux-mmes. Elles est beaucoup plus dterminante sur
latmosphre psychologique dans laquelle ils se sont drouls; p. 224: Sur le
plan psychologique, son rle est mme capital: elle fait comprendre aux
Orvitans que lՎpidmie de 1348 na pas t un accident unique et exceptionnel,
mais que la menace est toujours prsente.
[290] Borst Il terremoto del 1348, pp. 17-20. Cf, per un parallelo, Figluolo Il terremoto del 1456; cf. 1, p. 68: Il terremoto un evento locale, casuale e naturale, da non caricare di troppo reconditi significati generali, e che, si sa, verr presto assorbito e dimenticato.