Italia, Francia e Germania: una storiografia a confronto

 

 

 

1. Premessa 1.1. Boccaccio 2. Il modulo 2.1. Le cause prossime 2.2. La fenomenologia 2.2.1. Provenienza 2.2.2. Modo di trasmissione 2.2.3. I sintomi 2.2.4. Ampiezza di diffusione 2.2.5. Caratteristiche della malattia 2.2.6. Durata 2.2.7. Effetti 2.2.7.1. Tasso di mortalit 2.2.7.2. Qualit delle perdite 2.2.7.3. Le vittime illustri 2.2.7.4. Impotenza dei medici 2.2.7.5. Sulleconomia-societ 2.2.7.6. Reazioni 2.2.7.6.1. Comportamenti 2.2.7.6.2. Provvedimenti presi 2.3.La colpa 3. Italia 3.1. Michele da Piazza 3.2. Cronaca senese 3.3. Matteo Villani 3.4. Marchionne 3.5. Marco Battagli 4. Francia 4.1. Breve Chronicon Flandriae 4.2. Gilles li Muisit 4.3. Jean le Bel 4.4. Froissart 5.Germania 5.1. Konrad von Megenberg 5.2. Annales Frisacenses 5.3. Continuatio Novimontensis 5.4. La cronaca di Colonia 5.5. La cronaca di Erfurt 5.6. Francesco da Praga 6. Conclusioni

 

 

 

1.    Premessa

Lanno 1348 si era aperto, nel ricordo dellautore del Chronicon Estense, come per tanti dellet immediatamente successiva, nel segno della peste: Per totum orbem maxima pestis mortalitatis fuit [1]. Del turbamento generale che ne segu si trova segno, perfino materiale, nelle carte che ci riportano le cronache coeve [2]. Per quel che riguarda latamente il regno di Germania Rolf Sprandel ha rilevato una vera e propria spaccatura storiografica, tante sono le cronache interrotte nei fatidici anni 1348-50 [3]. La grande peste, la peste nera: nella antica storiografia la misura, la pietra di paragone su cui saggiare le epidemie successive [4]; nella moderna il simbolo pi abusato della grande, epocale crisi del XIV secolo [5], culmine e coronamento di un decennio di calamit scrupolosamente, seppur con un certo disordine, registrate dai cronisti: cavallette, inondazioni, carestie, sbandamenti morali degli uomini come del consueto andamento dei prezzi, inasprimenti fiscali dovunque, furia di tutti gli elementi naturali ed umani, avvertimenti straordinari dal cielo e dalla terra. Nellanno terribile, infine, riassunto ed amplificazione del decennio, non solo terremoto e peste universali, ma infinita disturbia, con conseguenze traumatiche [6]. Molti credettero prossima quella fine del mondo descritta in Mt 24,7: et erunt pestilentiae et fames et terraemotus per loca, e che gi Giovanni Villani aveva visto vicina [7].

Su questo tempo eccezionale di epidemie e carestie puntano quasi esclusivamente lattenzione gli storici moderni della crisi, come se solo questi fossero stati gli interventi della natura capaci di scuotere i contemporanei e di modificarne le condizioni di vita, nota del tutto opportunamente Arno Borst [8]. Appropriatamente, perch, se non dubbio che la dimensione e la qualit del flagello si siano imposte con prepotenza allattenzione dei contemporanei, tanto da sollecitare molti a redigere apposite postille ed aggiunte a cronache gi concluse [9], daltra parte estremamente raro trovare opere dedicate esclusivamente alla peste. Konrad von Megenberg e Gabriele de Mussi consacrarono espressamente ed autonomamente alla peste un lavoro, il primo di carattere storico-filosofico-letterario, il secondo pi geografico-medico [10]; i due meriterebbero da soli, e singolarmente, una relazione. Ma normalmente la descrizione del morbo nelle opere di storia si integra in un discorso pi complesso, e generalmente non incentrato su di esso; al massimo si riserva uno spazio ben preciso, pi o meno ampio, una rubrica, un paragrafo, un capitolo, nellunico caso di Matteo Villani pi capitoli.

Daltra parte sicuro che lepidemia non attir su di s linteresse esclusivo dei contemporanei, basti pensare agli eloquenti silenzi delle prime fasi. Per quanto rapida, la diffusione della malattia non avvenne di colpo; le notizie giungevano a grande distanza: Francesco da Praga racconta come gli studenti boemi che tornavano da Bologna in patria riferivano degli effetti dellepidemia in Italia e Francia [11]. Potrebbe quindi risultare sorprendente che nella stragrande maggioranza delle cronache di citt non ancora toccate dal male non si trovi alcun cenno allepidemia che infuria lontano; non si tratta di uno stilema storiografico, perch conferma di questo disinteresse si constata anche nellattivit legislativa ed amministrativa. La Carpentier vede un quelque chose de tragique [12] in questo vivere normalmente, senza prendere alcun provvedimento. Ma in realt la spiegazione di questo assurdo, per lo storico moderno, comportamento da struzzo, risiede nel fatto che nessuno allora n conosceva n poteva immaginare lestrema facilit del contagio, ed in particolare la pericolosit estrema di quel flagello. Le cronache tutte, italiane ed europee, concordano sul fatto che quel tipo di malattia era fino ad allora totalmente ignoto.

Tuttavia rimane indubbiamente una sorta di rimozione pi o meno consapevole [13]. Certo colpisce che un simile atteggiamento si ritrovi in cronisti che scrivono dopo quegli anni terribili, quando le cose erano divenute tragicamente pi chiare. Eppure cos: il cronista orvietano non sente affatto la necessit di menzionare nei primi mesi del 1348 linfuriare della malattia in Sicilia, od a Genova od a Pisa. La lezione della peste non aveva ancora dato alcun frutto. Ma di nuovo non alcuna ragione di meraviglia; ancora troppo presto: anche i provvedimenti sanitari in merito devono fare molta strada. Nonostante quella tremenda lezione i pellegrini continuarono ad affluire, in vista dellanno giubilare 1350, in gruppi numerosi ad Orvieto, dove si rinunci quasi sempre a chiudere le porte di notte per facilitare il loro passaggio, e dove un gran numero dorvietani si un ai romei [14].

In effetti, a conferma di quanto riportato sopra circa lopinione di Arno Borst, non la peste da sola, ma il dittico peste-terremoto, o terremoto-peste, corrente [15]; frequentissimo quello carestia-peste [16]. Anzi proprio questo uno dei motivi cardine della presentazione del male. Numerosi sono i cronisti che risalgono alle difficili condizioni climatiche dei due anni precedenti: Giovanni Villani descrive le calamit provocate dalla grande carestia della primavera del 1347, di cui soffrono particolarmente i poveri e impotenti, tanto che malattie e morti si contano numerose: entro lestate si registrarono pi di 4000 vittime, il pi in povere genti [17]. Lenfasi significativa, visto che pare assodato che non si trattasse di nulla di eccezionale [18]. A Pistoia un cronista locale parla di carestia per tutta la cristianit [19], e, se proprio non nel mondo intero, conferme per quanto riguarda Italia, Provenza e Francia sono state reperite in abbondanza; pare se ne debba vedere la ragione in condizioni climatiche molto difficili, caratterizzate da grande abbondanza di precipitazioni [20]. Dopo linclemenza del tempo, ed a causa di quella, lo scarso raccolto del 1347 fu la causa di gravissimi problemi per diverse citt, Orvieto, Firenze e Bologna in particolare [21].

Ricorre anche il trittico alluvioni-carestia-peste, per non dire della pala complessa guerra-alluvione-carestia-fame-peste [22]. E volendo si potrebbe complicare ulteriormente, ma si correrebbe unicamente il rischio di frantumare largomento. Ma va detto chiaramente che stabilire un rapporto di dipendenza tra vicende climatiche, guerra e peste, fatto da imputare alla storiografia successiva [23], non alla cronistica coeva, che registra quei fatti senza attribuirvi meccaniche conseguenze. E quellinterpretazione storiografica ha avuto di recente un forte e meditato contraddittore sul piano generale, proprio e di metodo, nella persona di Carlo Maria Cipolla, comՏ noto [24].

Queste prime avvertenze per dire che necessario attribuire una importanza relativa allepidemia - poich cos risulta nellattenzione dei contemporanei, naturalmente, visto che di questo solo ci occupiamo -, guardare con attenzione alla gerarchia di importanza dei fatti riportati: per lanonimo domenicano che fece laggiunta agli annali del suo convento di Friesach, ad esempio, stato pi rilevante il terremoto della peste; al primo dedica una decina di righe, nelledizione dei Monumenta, al secondo, - che viene neppure immediatamente dopo, ma preceduto dalla menzione di tonitrua magna de celo - solamente la met dello spazio che ha riservato al sisma [25]. Lanonima Cronaca Senese dedica 35 righe ad illustrare la rubrica Della grande moria. 1348: ma solo una riga e mezza riguardano propriamente, e genericamente, lepidemia; il resto riservato alle ben pi avvincenti avventure del capitano Erbanera, valentissimo uomo e grande e di bella presenza [26].

Ancora unosservazione preliminare si impone: la grande mortalit, causata dal terremoto o dalla peste, si inserisce generalmente in una serie di eventi di pari dignit, tutti giudicati egualmente degni di menzione, si tratti di fatti politici o naturali. Non solo non cՏ - se non rarissimamente, come accennato - unautonoma trattazione della pandemia, ma soprattutto non possibile riscontrare mai - neppure in chi riserva ad essa uno spazio particolare - quella caratteristica catastrofica che cos frequente invece leggere attribuita alla peste in tanti contributi di studiosi di oggi. Se Jean de Venette parla di una nova aetas, allude ad un rinnovamento delle persone, non ad un cambiamento di tendenza; anzi i nuovi sono peggiori dei vecchi [27]; nonostante il tremendo segno divino le cose ben presto tornano come prima: un atteggiamento diffuso [28]. Che manchi la prospettiva di lunga durata nei cronisti contemporanei, che non sanno quello che sappiamo noi, osservazione banale; meno banale la constatazione che le tanto vituperate esagerazioni imputate dallo studioso moderno al cronista antico, riguardo ad esempio al tasso di mortalit, non devono poi aver pesato pi di tanto nella valutazione complessiva, per dir cos cronologico-geografico-contestuale, del fenomeno nei cronisti coevi. E non mi pare neppure si possa dire che le conseguenze psicologiche fossero veramente devastanti [29], visto che gli eccessi di reazione sono sempre rilevati a livello di aneddoto, mai in chiave generale, e che quindi si possono ragionevolmente supporre come frutto della mente e della psiche meno equilibrata, comunque al limite della norma. Per dire, insomma, che per gli osservatori del tempo contavano tanto le vicende dei principi, quanto quelle della natura, senza alcuna prevaricazione delle seconde sulle prime. Basti leggere a titolo esemplificativo questa introduzione allanno 1349 della Continuatio Novimontensis [30]:

A. D. 1349 reges et principes in finibus nostris, licet prius discordes, tamen cuncti amicabiliter confederati sunt. Item inundacio aquarum permaxima ubique exorta dampnum intulit copiosum. Pesti vero contagiosa predicta

 

Lunica grande eccezione rappresentata da Petrarca, che si rese conto, con sensibilit unica, dei cambiamenti in atto alla met del suo secolo [31]; ma anche Petrarca ci conferma che non certo la peste o il terremoto furono le ragioni della crisi, semmai ne furono un evidenziatore. Le reazioni degli uomini mostravano solo assuefazione, apatia, non avevano imparato nulla dalla storia, non si sentivano spronati a grandi cose. La mancanza di cultura, o lobnubilamento di essa, segnavano i tempi bui del presente [32].

Con tutto questo generalmente indubbio che il terribile male suscitasse una reazione universale e fortemente marcata. Ci fu chi, come Petrarca, svilupp personali e complesse meditazioni sulla caducit della vita umana, trovando una ragione finale in un ideale di vita semplice e tutta dedita al bene sommo della cultura, ripreso dallantichit che tanto amava [33], e chi, come il Boccaccio, colse loccasione per la costruzione di un capolavoro. Sono i personaggi emblematici di quellumanesimo che giusto con loro era nato e con loro conosceva la prima crisi. Secondo il Baron segnata dai fallimenti di Cola di Rienzo, delle grandi banche fiorentine e dalla peste [34]; Alessandro Barbero vi ha aggiunto anche la morte di Roberto dAngi [35].

Se si tratta di personaggi eccezionali, la norma volle che di quel male le cronache fossero, comՏ notorio, i testimoni principali, anche se non unici [36]. Una letteratura ormai imponente, cresciuta rapidamente a partire dalle primissime ricerche degli inizi del secolo scorso fino ai giorni nostri, ha assodato vie di approccio, metodi via via pi raffinati di lettura, possibilit di collegamento e di verifica mediante il ricorso ad altro tipo di fonti. Noi procederemo, se non del tutto estranei a questa tradizione di studi, tuttavia per una strada diversa. Tra le possibili prospettive di lettura sceglieremo quella che sulla peste ci indichi non i dati, che interessano ora al medico [37], ora al demografo [38], allo storico delleconomia ed a quello della mentalit [39], ma il senso che la peste ha nellopera di alcuni cronisti coevi. Non ci faremo, insomma, nessuna delle domande che lisabeth Carpentier elencava efficacemente nellintroduzione al suo studio del fenomeno ad Orvieto [40]. Non essendo un medico, un demografo, n uno storico delleconomia o della mentalit, mi porr anzi agli antipodi di chi considera la peste del 1348 un fenomeno che va visto esattamente collocato in un insieme politico, sociale ed economico, punto di partenza per lo studio delle condizioni di vita di allora invece che bersaglio - proprio la posizione della Carpentier [41] -; mirer invece a considerare largomento peste nello squisito campo storiografico, interessandomi della veridicit dei dati forniti dai cronisti solo ed in quanto funzionali alla restituzione del mondo storiografico - a riguardo della peste, naturalmente - della cronaca che correda con quei dati il suo ricordo della malattia. Non mi interessa qui mettere in parallelo la descrizione dei sintomi e del decorso della peste, su cui del resto cՏ una pressoch totale concordanza nelle fonti, tale per da non fugare i nostri dubbi [42], quanto rilevare il quadro in cui il fenomeno si colloca nella prospettiva dei singoli o di un gruppo di cronisti; poich non certo laspetto medico quello che pi ci pu dire sullimpatto che il morbo - e il ricordo pi o meno immediato di essa - ebbe sui contemporanei, mentre invece i segni che preannunciano ed accompagnano lepidemia, i provvedimenti presi, il comportamento generale ed individuale, le reazioni dirette ed indirette, e soprattutto il significato ultimo del male restituito dalle cronache, costituiscono il nostro obiettivo.

Abbiamo detto alcuni cronisti, poich non tutto naturalmente ci pervenuto - il caso, ad esempio, del capitolo relativo dellanonimo autore della vita di Cola di Rienzo, che andato perduto -, e daltra parte non neppure pensabile render conto di tutti coloro che ricordano la peste, pena annegare nel mare magnum, visto che il fenomeno colp a tal punto che non cՏ quasi chi non la ricordi, seppure fugacemente. E neppure pensabile che il ristretto arco di attivit di un singolo cronista possa in qualche modo rispondere a quelle domande di lungo periodo che tanto sono state coltivate in maniera privilegiata qualche decennio fa [43]. N, infine, ci si chieda di illustrare la fortuna del tema della peste, visto lo spazio a nostra disposizione.

 

1.1.        Boccaccio

E partiamo con lo sgombrare il campo da quello che a noi pare un equivoco. Tra le descrizioni della peste la pi impressionante, la pi letterariamente compiuta, in una parola la pi bella, e ben presto ripresa [44], si sa, quella che apre il Decameron di Giovanni Boccaccio, su cui, ovviamente, si esercitata, dal Petrarca ad oggi, la migliore critica. Ma varr la pena soffermarsi un poco non sul valore e la finalit letteraria di quella introduzione nelleconomia dellopera, che lasceremo giustamente agli italianisti, quanto piuttosto sui moduli adoperati dal grande narratore, con occhio particolarmente attento al quadro complessivamente fornito dai cronisti contemporanei, nellintento di cogliere quanto la costruzione letteraria debba agli stilemi pi propri di quel tipo di cultura.

Se infatti ormai indubbio che lintroduzione vada vista come estremamente funzionale, necessaria in quellunit ideale e fantastica del Decameron, che solo in questi ultimi tempi abbiamo ritrovato con gioioso stupore, come si esprimeva qualche anno addietro Vittore Branca [45], nessuno pu negare che - non suoni scandalo - quella descrizione una pura pagina di cronaca: si provi ad immaginarla proprio come composizione a s, e lo si constater agevolmente; ed ancora nessuno pu negare che il Boccaccio avesse sul tema dei modelli. Il Decameron sar la risposta alluniversale dissolvimento della vita civile nella Firenze divorata dallavidit e dallegoismo, nellonest dei giovani che si ritirano nella villa fiesolana [46], ma ci non toglie che alla domanda principe, il perch della pestilenza, il Boccaccio risponda, alla fin fine, del tutto convenzionalmente, che si trattava della manifestazione della collera divina di fronte alla iniquit umana: lira di Dio a punire le iniquit degli uomini con quella pistolenza, dando, fra laltro, il suo contributo - ed anche in questo caso niente affatto originale - ad una discussione, per dir cos, di moda allora [47]. Se indubitabile che si tratti di una impostazione particolarmente coerente allidea centrale dellopera e alle convinzioni poetiche che ne regolano lattuazione [48], altrettanto indubitabile che la medesima risposta avevano dato tanti fra i cronisti coevi. La peste fiorentina sar una occasione emblematica, scelta letteraria consapevole e meditata, ma, innegabilmente, anche drasticamente imposta dalla storia. Discorso analogo si pu fare a proposito dellinsistenza del Boccaccio sulla desolazione del paesaggio, in citt ed in campagna, e soprattutto sul manifestarsi di quegli atti disumani che tanto colpirono i contemporanei, non solo fiorentini, o toscani, non solo dellItalia, dalla Sicilia a Milano, ma dellintera Europa, dalla Spagna alla Boemia. Se sono questi spettacoli di disumanit, di rinnegamento di ogni viver civile che il Boccaccio osserva come estremi sintomi di depravazione, come segni fatali di un ritorno alla squallida condizione dellhomo homini lupus [49], sono pur sempre i medesimi segni che moltissimi in Europa colsero come organicamente legati al diffondersi del contagio. Se noi intendiamo la descrizione boccaccesca della peste come manifestazione artistica della consapevolezza dellautore delluniversale dissolvimento [50], su questa base dovremmo riconoscere la medesima consapevolezza, magari meno artisticamente compiuta, in moltissimi dei contemporanei, che usano le identiche espressioni.

Tra i modelli su cui si impegn, nella sua imitatio, il Boccaccio sono state variamente indicate le pagine sulla peste di Tucidide o di Lucrezio - che in realt sembra impossibile che il certaldese conoscesse direttamente -, di Isidoro di Siviglia, e poi di Virgilio, Ovidio, Livio, Seneca, Lucano [51]; ma quello che ha avuto maggior fortuna, perch autorevolmente additato per primo dal Branca, la descrizione di Paolo Diacono nella Historia Langobardorum II, 4. Francamente colpisce non tanto laccostamento, pienamente giustificato dalla sicura conoscenza che di quellopera aveva il Boccaccio, quanto il favore generale che lha contraddistinto: a me, confesso, risulta incomprensibile il confronto tra il brano del Decameron I, Introduzione 27 [52] che dice:

lun fratello laltro abbandonava e il zio il nepote, e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e, che maggior cosa e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di vi­sitare e di servire schi­favano

 

a Paolo Diacono nel luogo citato [53]:

Fugiebant filii, cadavera insepulta parentum relinquentes, parentes obliti pietatis viscera natos relinquebant aestuantes,

 

quando possiamo leggere nella cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura [54]:

ognuno era inpaurito che luno non volea aiu­tare laltro, el padre abandonava el figliuolo, el figliuolo abandonava el padre e la madre e fra­telli, e la moglie el ma­rito;

 

in Matteo Villani [55]:

le madri e padri abbandonavano i figliuoli, e i figliuoli le madri e padri, e luno fratello laltro e gli altri con­giunti.

 

in Marchionne [56]:

Lo figliuolo abbandonava il padre, lo marito la moglie, la moglie il ma­rito, luno fratello lal­tro, luna sirocchia lal­tra;

 

in Marco Battagli [57]:

pater po­stea infirmum filium evitabat, frater fratrem, uxor virum;

 

nella Chronica abreviata di Parma [58]:

pater et mater vitabat filium, et uxor maritum, et filius patrem et matrem;

 

nelle Storie Pistoresi [59]:

lo padre abbandonava li figliuoli, e figliuoli lo padre e la madre, e luno fratello laltro;

 

in Pietro Azario [60]:

vidi patrem de filio et filium e contra de patre, fratrem de frate, amicum de amico, vicinumque de vicino penitus non cu­rare;

 

in Giovanni da Parma [61]:

Christiani evitabant se invicem, tamquam lepus leonem, vel sanus leprosum, et dico tam de patre vel de matre contra filium, et e converso, vel de sorore contra fratrem, et e converso, vel de propinquo contra propinquum, quam de illis qui non noverant se;

 

nel Breve Chronicon Flandriae, ben lontano dallItalia [62]:

nec pater visitat filium, nec mater filiam, nec frater fratrem, nec filius patrem, nec amicus amicum, nec notus notum, nec quicunque quemcumque alteri coniunctus sit sanguine;

 

e perfino in una iscrizione veneziana [63]:

el pare no volea andar dal fio ne l fio dal pare;

 

e potremmo continuare molto a lungo. Dobbiamo vedere la ripetizione del modello offerto da Paolo Diacono anche in tutti quanti gli altri? Come credere a quella suggestione antica, quando luniformit della descrizione, e la ripetitivit fra un cronista e laltro non possono che far pensare ad un modello diffuso, al quale tutti ricorrono perch consacrato ormai dalla consuetudine, e perch in realt nessuno di questi cronisti se la sentiva di negare credibilit a quello che era divenuto subito un luogo comune, soprattutto nella convinzione che, se non si era stati testimoni diretti (anche la presenza di Boccaccio a Firenze nel 1348 dubbia), altrove la cosa si era sicuramente verificata, visto che lo ripetevano tutti. Quando ci sono da raccontare fatti pi singolari, lo si fa, come Marchionne, che moltiplica gli aneddoti.

N si tratta solo di questo misero passo, perch sarebbe estremamente agevole scomporre analogamente lintera introduzione del Boccaccio, frase per frase, parola per parola, dallinizio alla fine. Diamo un saggio, tra diversi possibili, partendo proprio dalle prime battute:


Boccaccio

 

Dico adunque che gi erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquaran­totto, quando nella egregia citt di Fiorenza pervenne la mortifera pestilen­za: la quale, per operazion de corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mor­tali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle dinumera­bile quantit de viventi avendo private, senza ristare dun luogo in uno altro conti­nuandosi, verso lOccidente miserabil­mente sera ampliata.


Cronache

 

negli anni di Cristo, dalla sua salutevole incarnazione (M. Villani) MCCCXLVIII fu nella citt di Firenze (Marchionne) pistilenziosa mortalita­de (Storie Pistoresi) la congiunzione di tre superiori pianeti (M. Villani) huma­na iniquitas iusta Dei sententia (M. Battagli) ad correctionem humani gene­ris (Cortusi) preteritis vero proximis annis (Klner Weltchronik) Cominciossi nelle parti dOriente (M. Villani) cum innumerabili mortalium cede (Liber regiminum Padue) nec ces­savit frequenti discursu diversas nunc has nunc illas pervagans regiones (Klner Weltchronik) E venendo aggiunse alle parti vicine (M. Villani) versus ociden­tem (M. Battagli).

 


E, insisto, si potrebbe continuare passo passo, fino alla fine. Perch non concludere allora, semplicemente, che il Boccaccio fonde sapientemente, da par suo, materiali diversi che discorsi e scritti dei contemporanei gli fornivano a dismisura [64], rinunciando a rintracciare un modello unico, soprattutto nellantichit, visto che il tempo presente era sovrabbondante nel fornire esempi, luoghi comuni gi elaborati, tesi a commuovere od inorridire, e altro alla bisogna; in una parola un genere ben definito?

 

2.    Il modulo

Un genere con una sua tipologia, forse esemplato per primo da Giovanni Villani [65], comunque impostosi presto, perfino in versi [66] con una struttura schematica precisa e sviluppo di alcuni motivi cardine; tipologia che varr la pena di delineare rapidamente, al fine di assodare il quadro generale, nel quale, successivamente, indicheremo alcune posizioni rilevate. Il modulo corrente affronta in successione il tema delle cause prossime, quindi della fenomenologia del male, da ultimo, eventualmente, della sua ragione profonda.

 

2.1.        Le cause prossime

Un grande fuoco dal cielo, registrato solo dubitativamente da Matteo Villani, per molti, un anonimo cronista svizzero, come per il Chronicon Estense, la causa vera della peste; tra le cause per altri [67].

Pi o meno lo stesso per la pioggia di serpenti avvenuta in Oriente, verificatasi dopo il fuoco di cui sopra per alcuni, prima per altri [68].

La congiunzione astrale di Saturno, Giove e Marte, considerata nefasta generalmente tra i dotti come tra i cronisti, ritenuta non determinante dai colti di medicina, tra gli altri Pierre de Damousy, che scrive a Reims poco prima dellarrivo della peste, e da Gentile da Foligno a Perugia, ma comunque da entrambi citata tra le cause del male [69]. La spiegazione di un evento con la posizione degli astri era comune, soprattutto in Italia [70]. Konrad von Megenberg la giudica una concausa, che pu favorire i sommovimenti del mondo, non certo la causa prima ed agente [71]. Determinante pare invece nella Chronica de Ducibus Bavariae [72]; in altri variamente, ma comunque un segno premonitore [73].

Pi occasionali sono i cenni ad altre cause prossime. Jean de Venette nota che la peste cominciata a Parigi, alla fine di agosto, contemporaneamente allapparizione di una cometa [74], come gi Giovanni Villani [75]; ma si trattava in quel caso di un atteggiamento secolare, che lintendeva come preannuncio, pi che causa. Pierre de Damousy a Reims accusa i venti caldi del Mezzogiorno che portano lumidit di debilitare i corpi e di predisporli al contagio [76], ed allinizio dagosto 1348, quando Parigi attende la peste nellangoscia, osserva che il vaiuolo, che compariva allora a Reims, considerato come un segno precursore della grande epidemia [77].

Alcuni indicano la corruzione dellaria [78]. Gabriele de Musssi, che descrive con tanti dettagli il ritorno da Caffa delle galere genovesi portatrici della peste, o Gentile di Foligno a Perugia, o Guy de Chauliac e Chalin de Vinario ad Avignone, credono agli astri ed allaria impestata, ma pi ancora al contagio per ammorbamento dellaria, come del resto anche Jean de Venette [79].

Anche i terremoti risultano tra le concause della peste, quando non la causa [80]; cos a Orvieto, poco dopo lepidemia, il 9 settembre 1349 un grave terremoto atterrisce tanto gli abitanti, come segno premonitore di un ritorno del male, che tutti si danno ad esercizi pii per scongiurarlo [81].

Infine cՏ anche chi onestamente ammette che non se ne conoscevano affatto le cause [82].

 

2.2.        La fenomenologia

Quando si tratta di descrivere propriamente il male di solito si comincia con lindicarne lorigine geografica, quindi i modi di trasmissione, i sintomi, lampiezza di diffusione, le caratteristiche peculiari, la durata, gli effetti; questi ultimi a loro volta illustrati accennando al tasso di mortalit, alla qualit delle perdite, alle vittime illustri, allimpotenza dei medici, alle conseguenze economiche; infine le reazioni, i comportamenti indotti ed i provvedimenti presi per affrontare lepidemia.

 

2.2.1.        Provenienza

Concordemente la provenienza del morbo indicata nellOriente, dove attiva per un periodo pi o meno lungo, prima di passare in Occidente. Il piacentino Gabriele de Mussi uno dei pi informati - e, pare, molto prossimo alla verit dei fatti [83] - sui momenti della trasmissione del contagio: furono i Genovesi a portarla dalle colonie italiane pi orientali, dai porti del Don ed intorno al Mar Nero, da Tana e Caffa, nei territori propri bizantini (a Costantinopoli lepidemia infuri alla met del 1347) [84]. Giovanni Villani sapeva che pi o meno nello stesso periodo ne era colpita Trebisonda [85]. Per il Chronicon Estense  la peste giunse dal lontanissimo Captay in Persia; due galee genovesi la portarono a Costantinopoli ed a Pera, quindi a Messina, in Sardegna, ed infine a Genova; poi lautore del Chronicon sapeva che aveva colpito Marsiglia e quindi la regione intorno a Parigi. La Chronica abreviata riferisce che da Genova la moria si diffusa rapidamente (post paucos dies) in Lombardia, Toscana, Marche, Puglia, ma che soprattutto era risultata particolarmente attiva nelle regioni oltremontane, in Provenza, Francia, Aragona, Spagna, Inghilterra, Germania, Boemia ed Ungheria [86]. La Chronica de Ducibus Bavariae, meno informata, genericamente riporta che la peste ha regnato per otto anni prima di raggiungere la Baviera, vale a dire dal 1341, in partibus primo transmarinis, deinde Gallicanis [87].

 

2.2.2.        Modo di trasmissione

Sono i mercanti a portarla in Occidente, prima in Grecia, poi in Italia, e quindi alle regioni contermini [88]. Lestrema facilit del contagio sottolineata universalmente [89].

 

2.2.3.        I sintomi

Di solito la comparsa dei primi segni della peste - i bubboni alle ghiandole linfatiche - si accompagna a febbri e dolori; il segno ultimo lespettorazione sanguigna [90]. La cronaca di Saint-Aubin di Angers dice dei bubboni come casi particolari: alcuni avevano degli ascessi o dei noduli allano o sotto le ascelle, e di quelli qualcuno scampava; altri avevano sui corpi delle macchie rosse o branastre, ed alcuni sputavano sangue: per costoro non era alcuna speranza [91].

La grande frequenza delle morti improvvise, o sopravvenenti qualche ora dopo i primi segni, uno dei sintomi pi caratteristici e gravi della peste. Ogni decesso un po rapido allora sospetto e, se ne avvengono altri nei dintorni del defunto, la paura si impadronisce di tutti i circostanti. Le morti subitanee sono numerosissime allinizio dellepidemia; quasi nessuno sopravvive al quarto giorno [92].

 

2.2.4.        Ampiezza di diffusione

Oltre la nota tecnica, non iperbolica,

Fuit generalis mortalitas maxima [93],

 

che indica come ormai la malattia sia diffusa ovunque, non pi solo in alcune zone circoscritte [94], cՏ chi distingue tra citt e campagna, tra classi elevate e basse, tra ricchi e poveri, tra giovani e vecchi [95].

 

2.2.5.        Caratteristiche della malattia

Peculiari della peste furono la repentinit ed ineluttabilit del male [96], con caratteristiche di eccezione [97], fino ad allora ignote [98]. Nelluniformit generale Jean de Venette uno dei pochi a notare conseguenze diverse in diversi luoghi [99]. Un tpos largamente diffuso lincapacit a descrivere la terribilit del morbo [100].

 

2.2.6.        Durata

Lepidemia dura normalmente dai tre ai sei mesi [101].

 

2.2.7.        Effetti

2.2.7.1.           Tasso di mortalit

Lentit percentuale delle morti varia tra il 33 e l80% [102]. Il Chronicon Estense riferisce quello che si era saputo in Valle Padana: a Costantinopoli le vittime della peste erano l89% dellintera popolazione, 530.000 erano stati i morti in Sicilia, in particolare a Messina; a Trapani nessuno si era salvato; in Sardegna era scomparso il 90% degli abitanti; a Genova le vittime erano 40.000; Marsiglia era un deserto; a Parigi in un solo giorno di marzo si erano sepolti 1.328 morti, e non era il conto totale; nella citt di Nobellese di 2.000 uomini darme non erano rimasti in vita che 200; unaltra citt, Avarexe, era deserta, cos come molte altre per la massima parte devastate [103]. In marzo lepidemia aveva colpito Napoli, e in due mesi si era portata via 84.000 persone. In aprile Venezia e Chioggia, causando 600 decessi al giorno; contemporaneamente dallaltra parte della penisola non diversamente Pisa soffriva per il medesimo morbo [104].

Inutile discutere ancora su questi numeri, generalmente inverosimili [105]: la violenza dellepidemia divenne ben presto leggendaria, cos che le cifre comunemente fornite dai cronisti hanno valore pi letterario che documentario [106]; non si pu che considerare il loro valore esclamativo, non essendoci consentito un controllo statistico accettabile [107], e non potendo noi estendere a tutti i cronisti una osservazione di Arsenio Frugoni circa un passo di Giovanni Villani, a proposito di una interpretazione della storia di Firenze [108]. Rimarchevole che la piccola cronaca di Saint-Aubin-dAngers, con una obiettivit rara per lepoca, e tanto pi meritoria in quanto il convento aveva perduto poco pi della met dei suoi abitanti, compreso labate, riconosca che la peste non infuri ugualmente in tutti i paesi, poich in certi luoghi sopravvisse un decimo del totale, in altri un sesto, in altri un terzo, in altri un quarto [109].

 

2.2.7.2.           Qualit delle perdite

Come per il numero delle vittime, anche la valutazione sulla qualit delle perdite varia notevolmente. CՏ concordia nel rilevare che molte famiglie si estinsero totalmente [110], ma poi chi insiste sul fatto che scomparvero i pi rappresentativi, tanto fra i nobili quanto tra i popolani [111], e chi al contrario, come Guglielmo Cortusi, che mirabile la peste non uccise n un re, n un principe, n un dominus civitatis [112]. Chi nota che prima erano colpiti i fanciulli, poi quelli di costituzione pi robusta [113], e chi allopposto che la mortalit era in personis validis et iuvenibus magis quam in senibus et debillibus [114]. Per il monaco della Continuatio Novimontensis monaci e monache furono tra le vittime pi numerose [115], ma anche per Giovanni da Parma fratres et sacerdotes in Tridento quasi omnes sunt mortui [116]; curiosamente Guy de Chauliac ad Avignone nel 1361 dice che la peste ha fatto poche vittime tra le donne, e non detto non facesse un confronto con quella del 1348 [117]; per Agnolo di Tura e gli Annales Mellicenses infuri pi nel contado che nelle citt [118]. Ad Orvieto la peste arriva ai primi di maggio, cominciando dai quartieri poveri e cresce rapidamente di gravit fino a luglio, quando raggiunge i quartieri ricchi e quando - testimonia il Discorso historico - in un giorno solo morirono 500 persone, grandi et piccoli, et maschi et femmine. Ancora il cronista del Discorso historico attribuisce la morte improvvisa in gran parte alla paura: Et era si grande la mortalit et lo sbigotimento delle genti, che morivano di subito [119]. La variet di valutazione grande, e se sar da ammettere in generale che gli strati socialmente pi deboli fossero maggiormente falcidiati dalla peste [120], non per affatto possibile, sulla base delle relazioni cronistiche, concludere unilateralmente col Mollat che La Peste Nera decim i poveri, ma non annient la povert, o che Furono decimati tutti i livelli det [121]: daltra parte i cronisti inglesi, Guy de Chauliac ad Avignone e Jean de Venette a Parigi, notano nel 1361 che bambini ed adolescenti sono i pi colpiti, mentre la peste del 1348 aveva falcidiato tutte le et [122].

Qualcuno, come Marchionne, nota che la malattia colpiva anche gli animali domestici [123].

 

2.2.7.3.           Le vittime illustri

Non frequentissima, la registrazione dei personaggi di rilievo che furono vittime della peste comunque uno dei motivi ricorrenti: un elenco di personalit ragguardevoli fornito da Agnolo di Tura [124]; di peste era morto a Firenze Giovanni Villani, dice Matteo; Giovanni dAndrea naturalmente ricordato a Bologna [125]; la morte dellabate dal Chronicon Sublacense [126].

 

2.2.7.4.           Impotenza dei medici

Lincapacit dei medici a porre un qualche rimedio si accompagna al loro terrore di fronte ai malati [127]; e ci furono anche medici improvvisati per avidit [128]. Guy de Chauliac, medico di papa Clemente VI ad Avignone, nota che lepidemia si risolse nella vergogna pi totale: Ed io, per evitare linfamia, non osavo allontanarmi, ma con continua paura mi curavo [129].

 

2.2.7.5.           Sulleconomia-societ

Le conseguenze sulle attivit artigianali e commerciali normali furono impressionanti, soprattutto in Italia [130]. A Firenze in particolare la vita economica sub un fierissimo colpo; ma i pi intraprendenti si riebbero presto: gi il 22 marzo 1349 il diario della famiglia Alberti registra uno stato buono della famiglia ed ancora migliori prospettive future [131]. Altrove per pare che non si possano registrare gravi conseguenze, eccetto che sul piano demografico [132]. Generalmente i cronisti sono concordi nel rilevare labnorme crescita dei salari successiva alla peste, ma non la stessa cosa si pu dire dei prezzi [133].

 

2.2.7.6.           Reazioni
2.2.7.6.1.   Comportamenti

La prima difesa, comՏ comprensibile, fu la fuga dalla citt in preda al contagio; dovunque, ad Orvieto come a Siena e Firenze, a Venezia come ad Avignone e Vienna [134].

A Firenze nel 1348, malgrado linterdizione degli assembramenti, eccezionali processioni vengono organizzate per implorare quella Vergine [135], la cui immagine si vede il 16 agosto 1348 a Tournai piangere di compassione per le sofferenze degli uomini [136]. A Vienna il medesimo anno, in un grande slancio di contrizione e di mortificazione, tutti i partecipanti, clero in testa, si tolgono le calzature e seguono a piedi nudi le processioni. Per converso, tuttavia, come a Orvieto, non per timore di favorire il contagio, sembra, ma per la disorganizzazione del clero in seguito alla violenza dellepidemia, anche processioni abituali, come quella di S. Giovanni il 24 giugno, sono rimandate di sei giorni, e quella dellAssunzione, il 14 agosto, non ebbe luogo [137].

I preti, alla pari dei medici, sembrano dimentichi dei loro doveri di assistenza, e comunque risultano insufficienti [138]. Marchionne dice che a Firenze si erano scandalosamente arricchiti facendo pagare salatissimi i loro servizi e visitando con debite precauzioni [139].

Jean de Venette, Michele da Piazza in Sicilia, Pierre de Damousy a Reims, Gilles li Muisit a Tournai notano tutti come il clero intero colpito dai suoi obblighi, ed il clero regolare pi ancora del secolare, perch i suoi membri non solo portano il soccorso materiale e spirituale a domicilio, ma aggiungono a questo rischio anche quello della vita in comunit [140].

Le sepolture si facevano a fatica [141]; cimiteri e fosse comuni fuori citt si moltiplicarono [142]. Nel 1349 a Tournay [143] si proibisce di seppellire dentro e nei pressi delle chiese ed i magistrati fanno costruire due nuovi cimiteri in citt, ma questa misura, considerata allepoca come necessaria per la salubrit degli agglomerati, urta con il desiderio dei fedeli di riposare in terra consacrata, o nella chiesa, per essere pi prossimi al Santo Sacramento o alle reliquie dei santi di cui cercano lintercessione, ed anche per evitare le profanazioni.

Ci fu anche la tentazione di abbandonare del tutto le citt colpite [144], e non mancarono gli sciacalli [145]:

Ovunque regnava lavvilimento, unatmosfera angosciosa [146]. Eppure Matteo Villani ricorda lindulgenza concessa da Clemente VI, ed i molti che muniti dei sacramenti, cristianamente rassegnati, si disponevano alla morte, e la Chronica de Ducibus Bavariae insiste nella descrizione delle morti serene dei molti che con i conforti religiosi si apprestavano allestremo passo, quasi gaudia celestis patrie pregustarent [147].

Il Langer [148] ha riassunto gli elementi di psicologia religiosa, le forme pubbliche di penitenza, la crescita delle opere di carit, le devozioni [149]; ma poi constata che questo apparente rinnovamento spirituale, dovuto allimpressione del castigo lasciata dalla peste e dal desiderio di quietare la collera divina, va di pari passo con una immoralit crescente e si accompagna talvolta ad un malcontento nei confronti della Chiesa ( il secolo di Wyclif e Huss) ed un automatismo dei mezzi di salvezza ( anche lepoca del commercio delle indulgenze). E contemporaneamente il ricorso allastrologia, alla magia, al satanismo. Tutto ci contribuisce alla creazione di uno stato danimo tipico della fine del Medio Evo. Se ne trova uneco nei temi prediletti dagli artisti del tempo: la Passione, il Giudizio finale, lInferno, la Danza macabra [150]. In effetti sono molti i segni del crollo della moralit pubblica e privata, ad esempio ad Orvieto [151]. Una legge generale sembra essere che la reazione di fronte al ripetersi dei disastri naturali normalmente o di angoscia disperata o di sfrenata vitalit [152].

Dopo il male i superstiti, dotati dei beni dei morti, dimentichi dellorrore trascorso, divennero pi litigiosi di prima. Leccesso caratterizza il dopo-peste: intrepide metam excedebant et sine lege quam plures vivebant [153].

Labbattimento degli spiriti causato dalla peste fu anche, in qualche caso, allorigine dellindebolimento della funzionalit politica, e ci fu chi, come Francesco di Montemarte, mise in relazione con la peste la pacificazione tra le parti ad Orvieto e la soggezione della citt a Perugia [154]. Un legame tra la peste e la riconciliazione tra i principi austriaci sembra di dover desumere anche nella Continuatio Novimontensis [155].

 

2.2.7.6.2.   Provvedimenti presi

In generale gli interventi delle autorit non sono n tempestivi n massicci, e di conseguenza di scarsa efficacia [156]. Gli impedimenti per coloro che venivano da zone infette sono tra le prime misure di difesa adottate dalle citt [157]; ma poi generalmente i forestieri, ed in particolare i mercanti, vengono respinti oltre le porte [158].

Non mancarono le rudimentali misure sanitarie per arginare lepidemia. Uno dei mezzi pi antichi per isolare i malati consiste nel chiuderli dentro le loro case: il metodo riesce, si dice, a Milano dove, nel 1348 si evita la peste barricando porte e finestre di tre case infette e chiudendovi gli abitanti insieme ai malati [159]. In Italia linfezione che i morti son creduti propagare fa prendere delle misure digiene pi varie. A Catania [160] nel 1347 si decide di bruciare i corpi dei rifugiati da Messina morti di peste, ed il patriarca per risparmiare ai cittadini la puzza dei roghi ordina che i corpi dei Messinesi siano bruciati in campagna [161]. Per il resto i consigli a carattere generalmente preventivo dei medici di Parigi e tutto il loro collegio a riparo della mortalit, riportati dalle Storie Pistoresi, risultano totalmente cervellotici, tanto che non siamo assolutamente in grado di riconoscere dove stia il discrimine fra buona volont e mistificazione [162]

A Pistoia, nellaprile 1348, solo le vedove hanno il permesso di portare il lutto che proibito ad ogni altro membro della famiglia dei defunti, proibizione di annunciare pubblicamente i funerali, di suonare le campane per i morti e le sepolture, di darsi a qualunque manifestazione esterna di dolore [163].

A partire dalla peste nera la frequenza degli orfani pone dei problemi alle autorit locali [164].

 

2.3.        La colpa

Tutti i cronisti attribuiscono generalmente alla collera divina la causa prima delle epidemie [165], ma questo era scontato. Era stato cos da sempre: di fronte allinesplicabile il ricorso al divino automatico. Il male viene dal peccato; la punizione, o lammonimento, da Dio [166], ed procedimento non limitato ai secoli bui. Se sono sempre da evitare i paralleli improponibili e spesso irritanti tra loggi ed il secolo XIV [167], come dimenticare che stato indicato qualche anno fa il dilagare dellAIDS come conseguenza del disordine dei costumi sessuali, quindi niente altro che come giusta punizione divina che colpisce i reprobi? Il punto era, nel 1348, identificare di chi in particolare, in maniera precisa e concreta, era la colpa di aver suscitato lira divina, e di conseguenza la peste [168]. Volta a volta in passato si era accusato un principe, un popolo, e via via le colpe erano state indicate nei vizi capitali, lavidit, la lussuria, la superbia, la crudelt; nei cronisti coevi alla peste niente di nuovo, dunque, tanto pi che la Bibbia, il modello per eccellenza di ogni narrazione, pi volte offriva esempi di tal genere [169]; si pu notare, solamente, che non viene registrata lopera della Fortuna, alla quale pure, come alla volont di Dio, si ricorreva con una certa frequenza [170].

Il nesso peste-colpa, aspetto particolare del pi generale tra calamit e colpa, si manifest nelle forme consuete: lo storico della povert nota che furono accusati i poveri, quello delleconomia ricorda soprattutto gli usurai, lo storico della mentalit i ricchi [171]; ma certo le vittime pi adatte erano gli Ebrei, i miscredenti, le prostitute [172], soprattutto gli Ebrei, spesso identificati pure come i responsabili delle povert altrui. Con rara lucidit i cronisti strasburghesi scrivono che la ragione della accuse e delle persecuzioni violente stava nel fatto che essi erano semplicemente ricchi [173].

La tentazione di identificare i colpevoli tra i viventi dovette cominciare molto presto, ma del tutto estranea allItalia. Le prime accuse di avvelenare le acque nei confronti di alcuni non meglio identificati homines miseri sono registrate ad Avignone; ne conseguono roghi continui [174]. Ma poi laccusa diviene nelle regioni centrali dEuropa specifica nei confronti degli Ebrei, e cambia fondamentalmente il tipo della imputazione: non tanto colpevoli perch fanno qualche cosa che facilita il contagio - del resto nessun cronista dellepoca dice una sola parola sulla possibilit effettiva della trasmissione del contagio mediante gli artifici che a quello scopo si attribuivano agli Ebrei [175]-, quanto perch sono fondamentalmente responsabili in quanto costituzionalmente rei. Il carattere scomposto di questo tipo di reazione risulta palmare dal fatto che laccusa viene rivolta agli Ebrei in blocco: alcuni di loro possono essere costretti a confessare di avvelenare lacqua, ma i colpevoli sono tutti [176], conseguenza dellidea che si tratti di un blocco monolitico; lo dimostra ampiamente il fatto che le notizie in proposito sono in Germania, nella terra di elezione dei tormenti inflitti agli Ebrei, estremamente generiche; il solo Heinrich von Diessenhofen d indicazioni precise sui pogrom antiebraici [177]. La punizione arriva al rogo ed alla distruzione delle case [178], e non raro che si raccolgano diverse vittime in un luogo per procedere ad una esecuzione in massa [179]: come si faceva con gli eretici. Le azioni contro gli Ebrei, a differenza di quanto avviene nella gran parte dEuropa - dove sono accusati di diffondere ad arte il contagio, e perseguitati con un impegno totale, fino alla distruzione piena [180] o parallalemente al diffondersi delle notizie sullarrivo del male, o contemporaneamente allinfuriare della pestilenza, (e del resto ben oltre i limiti cronologici della peste nera [181]) -, in Italia sono molto modeste, si verificano solamente dopo che lepidemia ha infierito, e non riguardano affatto laccusa di essere in qualsiasi maniera responsabili del male: ad Orvieto consistono nella riduzione ad un quarto della cifra che gli eredi dei debitori defunti per la malattia devono rimborsare ai prestatori ebrei, non sapendosi esattamente quanto gli scomparsi avevano gi corrisposto, e nellintento di evitare che si approfitti della situazione [182].

I Peccati

Ma la ragione profonda del male sta nel peccato: o meglio in un peccato particolare che si cerca volonterosamente di identificare. Per il cronista senese colpa degli stessi cristiani, che si uccidono a vicenda, magari alleandosi con i nemici infedeli [183]:

Queste maledette galee de Genovesi venivano e aveano aiutato a Saraceni e al Turco a pigliare la citt di Romania che era de Cristiani e amazaro molti Cristiani e molte pi crudelt e uccisioni fro quelli Genovesi a Cristiani che non fro i Turchi, e per questo si tenea che Dio avea mandato tanta mortalit a i detti Genovesi e a Cristiani e in Turchia, e mor in Saracina e tre quarti e cos de Cristiani.

 

Il Breve Chronicon Flandriae riporta lopinione diffusa ad Avignone [184]:

Quis finis vel quod principium, Deus scit; quidam tamen timent quod pro morte Andree regis, qui ita trucidatus fuit, Deus his malis mundum flagellat.

 

Per Guglielmo Cortusi la peste solo la pi tremenda delle punizioni divine, ma a scopo correttivo: ad correctionem humani generis [185]; la ragione sta nel perdurare di guerre dovunque [186]:

Hoc tempore Christianitas in quinque locis furebat in armis. Primo contra Turcos, iuxta Smirnas: et Rex Angliae contra Franciam: Rex Hungariae in Apuliam: Rex vero Boemiae, electus Imperator, contra Bavariam: Tribunus Romae oppressus a Patribus fugit in Apuliam.

 

In ogni caso al peccato bisogna porre rimedio. Diverse cronache riportano lepisodio di quel signore pagano che aveva manifestato lintenzione di farsi battezzare, ma che, dopo aver sentito che i cristiani erano ugualmente vessati dalla peste quanto i musulmani, aveva cambiato proposito [187]; doveva insegnare che la colpa della peste non era nel perdurare del paganesimo. Ci nonostante si rivers generalmente allesterno, sui non-cristiani, o sui cristiani troppo tiepidi, o sui peccatori pubblici, laccusa di essere allorigine del male.

Dapprima, per, ci fu la grande ventata dei flagellanti, risorta grandiosamente giusto nel 1348 [188]; che per, seppure nata, - pare - ancora una volta, come nel 1260, in Italia, primo paese occidentale colpito dalla peste, non conobbe nella penisola gli eccessi che tanto colpirono invece i cronisti tedeschi e francesi nelle loro regioni, al punto che Frantisek Graus ha indicato nel nesso peste-flagellanti-persecuzioni ebraiche la cifra pi appariscente della crisi europea della met del secolo [189].

Persecuzioni ebraiche e penitenti pubblici impressionarono grandemente i contemporanei, non necessariamente in questordine; in molti casi si riferiscono prima le manifestazioni dei penitenti, quindi le persecuzioni, come negli Annales Mellicenses [190]. E molti, ad esempio la Continuatio Zwetlensis Quarta e Froissart, diedero maggiore rilievo al fenomeno dei flagellanti, pi che alla peste che laveva causato [191].

 

* * *

 

Su questa base tipologicamente comune si evidenziano, per una maggiormente caratterizzata posizione, alcuni cronisti. Procediamo di qui in avanti seguendo litinerario geografico e, grosso modo, parallelamente cronologico, della peste in Europa. Non stupisca veder riservato maggiore spazio allItalia, che vide per prima il male e pi ne sofferse: pi ne parlarono i suoi cronisti.

 

3.    Italia

 

3.1.        Michele da Piazza

Il primo cronista di rilievo che incontriamo il siculo Michele da Piazza. Il quadro dellepidemia da lui fornito [192] particolarmente vivace. Poco incline alle ampie interpretazioni, Michele intende il tempo del flagello, alla pari di ogni altro evento da lui registrato, come realt viva di sua vita [193].

Lo scoppio della peste avviene in un quadro idilliaco:

Siculis vero de huiusmodi pace nimium congaudentibus, et sub pace existentibus tranquilla Deum collaudantibus de tam immenso dono, quod antiqui Reges Siculi hactenus obtinere minime potuerant,

 

appena velato - nimium congaudentibus - dalla deprecazione di un eccesso di fiducia nella felicit dello stato presente. Ma ecco che allinizio di ottobre del 1347 dodici galee genovesi attraccano al porto di Messina. Su di loro pesava la collera divina:

divinam fugientem ulcionem, quam Dominus noster pro eorum iniquitatibus desuper eis transmiserat

 

Michele non dice le ragioni dello sfavore divino, che comunque riguarda i forestieri, non glincolpevoli siciliani. Il male gi nei genovesi, ossibus infixum, e subito trasmesso, visto che bastava parlare loro, o toccare qualche oggetto loro appartenuto, per contrarre la malattia, al punto da non poterne scampare. I segni dellaffezione sono precisi ed inconfondibili: prostrazione totale e dolore per tutto il corpo, pustole sulle gambe o sulle braccia, quindi sputo di sangue che durava tre giorni, incessante, incurabile, fino alla morte. Resisisi conto del male portato dalle galee genovesi, i Messinesi li allontanano dal porto e dalla citt con la massima celerit. Le navi partirono, la malattia rimase.

Incapace, perch fondamentalmente poco o nulla interessato, a trovare una spiegazione dellinfuriare del morbo, il cronista isolano risolve il tema in una casistica minuziosa ed accurata, tutta tesa al contrario a restituirne il carattere totalizzante. Il resto, la vita politica o amministrativa, i protagonisti della vita pubblica, tutto scompare; rimangono i rapporti personali, o meglio, la disgregazione di essi. Subito si innesca un crescendo pericolosamente orientato al completo annullamento dei legami umani, che va perfino oltre la volont dei singoli: se il figlio si ammalava il padre ricusava di avvicinarsi a lui, e se osava farlo immediatamente contraeva il male e nel giro di tre giorni esalava lultimo respiro; e con lui morivano tutti i membri di quella famiglia, e gli animali domestici. Non solo i rapporti di naturale solidariet familiare sono cos profondamente alterati, perch allo stesso modo - oltre il volere personale, ripeto - entra in crisi anche la solidariet religiosa, anche quella sacramentale, e quella civile che si esprime nel riconoscimento pubblico delle volont ultime: molti ricorrevano ai sacerdoti per confessare i propri peccati, ai notai per fare testamento, e preti, giudici e notai non volevano entrare nelle loro case, e chi entrava non poteva evitare una morte rapida. I frati degli ordini mendicanti e gli altri regolari che erano assidui nelle confessioni e nellamministrazione dei sacramenti erano i pi colpiti. I cadaveri rimanevano abbandonati nelle case: nessuno, prete, figlio, padre, parente aveva il coraggio di entrare, ma si ricorreva a carrettieri pagati non poco per portare le salme alla sepoltura. Le case rimanevano aperte, con tutto quello che contenevano, comprese le ricchezze: se qualcuno avesse voluto entrare niente glielo avrebbe impedito. Limprovvisa pestilenza si svilupp al punto che prima non vi fu un numero sufficiente di persone in grado di fornire aiuto, ed in seguito non ve ne furono affatto.

Infine la citt devastata tanto da rischiare la fine. I cittadini decidono di abbandonarla, si vieta agli altri non di entrarvi, ma neppure di avvicinarsi ad essa. I Messinesi si rifugiano in campagna, in luoghi aerati ed in mezzo alle vigne ben oltre il limite dellabitato; un gran numero si dirige a Catania, fidando nellaiuto della vergine Agata; altri passano in Calabria, altri in diverse regioni della Sicilia.

Ed il crescendo aumenta di intensit e di orizzonte. Che serve la fuga, se il male era nelle loro ossa e viaggiava con loro? I fuggitivi morivano nei campi, nelle strade, sulle spiagge, nei boschi, dovunque. Chi arriv a Catania mor l dove era stato ospitato, e la mortalit portata dai Messinesi crebbe tanto che a richiesta dei cittadini catanesi il patriarca decret sotto pena di scomunica di non seppellire alcun messinese in citt, ma piuttosto fuori, in fosse molto profonde.

Dopo i congiunti che si evitavano vicendevolmente, i Catanesi che evitano i Messinesi. Cera chi per terrore non parlava neppure con essi, ma fuggiva alla loro vista. Se qualcuno rivolgeva loro la parola, lo apostrofavano: non mi parlari ca si Missinisi. Non trovavano case dove risiedere, e se non ci fossero stati alcuni messinesi abitanti a Catania con le loro famiglie ad ospitarli di nascosto, sarebbe loro totalmente mancato ogni aiuto. Dopo Messina, Catania; dopo Catania lisola intera. Si disperdono i contagiati, e giungono a Siracusa, Sciacca, Agrigento, soprattutto Trapani, che quasi perdette la totalit degli abitanti.

Disegnato il quadro generale Michele torna sugli individui martoriati, e descrive minutamente il decorso della malattia: non solo le pustole volgarmente chiamate antrachi, ma anche ghiandole crescevano in diverse parti del corpo, sul petto, alle gambe, alle braccia alla gola. Allinizio erano come nocciole, e venivano insieme ad un gran gelo, e prostraevano a tal punto che ci si poteva solo stendere, in preda ad una altissima febbre e ad una angoscia profonda. Poi crescevano come noci, come uova di gallina, di anatra, ed il dolore enorme e la corruzione degli umori interni costringevano a sputare sangue, e lo sputo, salendo dal polmone infetto alla gola, corrompeva il corpo intero, ed il corpo corrotto, non pi sostenuto dagli umori, esalava lo spirito. La malattia durava tre giorni; nel quarto almeno il corpo era liberato dalle sofferenze di questo mondo.

Limpotenza dei rimedi lascia una sola speranza: quella di raggiungere il bene ultimo. Considerando il breve ciclo del male, i Catanesi, come erano preda del mal di capo e del freddo intenso per il corpo, subito si confessavano, quindi facevano testamento. Ma giudici e notai stanchi si rifiutavano di andare per i testamenti, e se si recavano da qualche ammalato, ne stavano ben lontani; i sacerdoti non si sottraevano al loro dovere, ma n giudici e notai per i testamenti, n sacerdoti per i sacramenti, erano sufficienti alla bisogna. Perci il patriarca, volendo provvedere alle anime, concesse a qualunque prete la facolt di assolvere dai peccati: tutti quindi guadagnarono certamente il luogo della salvezza eterna.

Quanto forte fosse stato il pericolo del totale annichilimento delle grandi citt dellisola, e della sua vita civile, era stato evidente, ma per quanto terribile, per quanto segno tremendo della caducit del benessere, non si trattava della fine del mondo, n di un evento inesplicabile, in sede di bilancio finale. Il male era venuto da fuori, lo si era subto, non causato; se non si era stati in grado di combatterlo, si era comunque sopravvissuti. La peste in Sicilia era stata una prova grandiosa, ma in fondo assimilabile: niente pi che un brusco cambio di velocit, unaccelerazione inconsueta della parabola umana, una via rapida verso il destino ultimo delluomo. Il tratto intermedio si era compresso, ma lalfa e lomega rimanevano inalterate.

 

3.2.        Cronaca senese

Lautore della cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura [194], sa che a Natale la peste in Dalmazia e gi a Genova [195], portatavi da alcune galee genovesi provenienti dal Mediterraneo orientale dove avevano combattuto:

Le galee de Genovesi tornaro doltramare e da la citt di Romania a d ....di novenbre e tornaro con molta infermit e corutione daria la quale era oltremare, inpercoh in quel paese doltremare mor in questo tempo grande moltitudine di gente di morbo e pestilentia. Essendo gionte a Gienova le dette galee tenero per la Cicilia e lassorovi grande infermit e mortalit, che luno non potea socorare laltro: e cos gionti a Gienova di fatto vattacoro il morbo grandissimo e morivavi molta gente, e dur questo pi semane e continuo cresceva il detto morbo e per questo tutti quelli navili furono tutti cacciati di Genova, e cos si partiro quelle maledette galee

Cacciate da Genova le navi vanno a Pisa ad inaugurare il nuovo anno:

e vennero a Pisa a d....di gienaio, e come furono a Pisa nella piaza de pesci e a qualunque favellavano subitamente amalavano di morbo e subito cadevano morti, e cos chi favellava a quelli amalati o tochasse alcuna di le loro cose, cos di subito amalavano e morivano, e cos si sparse per tutta Pisa, per modo che vi fu tal d che ne moriva 400

 

Di qui, dice il cronista senese, lepidemia si sparse in tutto il mondo. Da Pisa con le maledette galee a Piombino; nel febbraio a Lucca, a marzo a Firenze, tra aprile e maggio a Siena, Perugia, Orvieto, ed oltre lAppennino a Bologna e Modena [196].

Ma nonostante questo avvio di respiro ampio, almeno sul piano regionale, lorizzonte del cronista ben presto si restringe recisamente allambito cittadino. La descrizione propria della peste, dopo un avvio convenzionale [197], sembra prendere la via del ricordo personale: E io Agnolo di Tura, detto il Grasso, sotterrai 5 miei figliuoli co le mie mani [198], tanto che il Larner rimanda a questa cronaca per esemplificare come si trattasse di un fenomeno dalle rilevanti conseguenze psicologiche [199]. Ma dopo questo breve cenno di carattere autobiografico, il cronista presenta invece una situazione generale, tipicamente cittadina; anzi tipicamente senese.

Non gli importa indagare le ragioni, terrene o divine che siano, del male, quanto piuttosto esclusivamente gli effetti che ebbe lepidemia nella vita della citt. Ed ecco, nellordine, la sensibilit dei governanti nel provvedere allassistenza degli indigenti, fino alla sepoltura, linsistenza sulla decimazione della popolazione [200], labbandono delle opere pubbliche [201] e delle cave dargento, oro e rame, lincapacit ad impedire lo strazio dei cadaveri da parte delle bestie selvatiche, lelenco dei notabili vittime del male. Infine, restata la pestilentia, il disordine della condotta dei sopravvissuti: ognuno che scanp atendevano a godere; frati, preti monache e secolari e donne tutti godevano, e non si curavano lo spendere e giocare, e a ognuno pareva essere richo, poich era scanpato e riguadagnato al mondo, e nissuno si sapea assettare a far niente [202]. Si noti, oltre il rinvio ad un passo parallelo di Matteo Villani, su cui ha richiamato lattenzione il Mollat [203] - e numerosi altri potrebbero essere ricordati -, che la sensazione di riacquisto di vitalit fosse per il cronista senese solo relativa - tutti si consideravano ricchi per il sempice fatto di essere sopravissuti -, mentre reale invece fu linterruzione di un periodo di floridezza che aveva visto nella costruzione del nuovo duomo la sua manifestazione pi appariscente. Il tempio moderno non si costru pi, e non perch i Senesi, superato il periodo angoscioso della peste, avessero perso la testa in un totale rilassamento morale:

E per cagione di detta moria si tralass e non si segu pi oltre per la poca gente che rimase in Siena, e anco per le malinconie e affanni che ebe chi rimase. E anco li maestri, che tolsero a fare detto lavorio, quasi tutti morirono. E similmente i cittadini che erano operai al detto lavoro moriro, il quale difitio si cominci nel 1338, come indietro detto [204].

 

Erano venute meno le forze morali e materiali che avevano spinto tempi addietro a quellopera grandiosa di celebrazione della opulenza della citt. Se in seguito il cronista sembra di nuovo allineare i fatti degni di menzione per la vita cittadina, come se nulla fosse cambiato, non pu esimersi dallo stilare un bilancio finale da cui emerge chiaramente, oltre il moralismo, che la societ senese nel breve volgere di un anno, profondamente mutata:

1349. Doppo la gran pestilentia de lanno passato, ogni persona viveva sicondo il suo albitrio; e ogni persona tendeva a godere di mangiare e bere, cacciare, uccellare e giocare; e tutti li denari erano venuti a le mani di gente nuova [205].

 

Dove non conta tanto la deprecazione degli eccessi, quanto piuttosto la constatazione di un emergere di nuovi ricchi e potenti. Veramente qui la peste appare giocare un ruolo importante nella storia dello sviluppo della vita civile in Siena, e la valutazione dello storico moderno, ben pi motivata, dialoga con quella dello storico antico [206].

 

3.3.        Matteo Villani

Matteo Villani inizia la sua continuazione della cronaca di Giovanni proprio dalla peste in cui il fratello maggiore era scomparso. Rivolgiamoci, accogliendo ancora una volta lesortazione di Arsenio Frugoni [207] a porre particolare attenzione ai prologhi, tanto fruttuosa - baster ricordare quanto sul piano tipologico servita a Bernard Guene [208] -, e, per quel che ci interessa qui, particolarmente al prologo al capitolo primo, che anche, e soprattutto, prologo allintera opera. In verit molto gi stato scritto circa i prologhi di Matteo [209], veri manifesti programmatici e riassunti icastici della sua concezione del mondo. Ora quel prologo lillustrazione pi piena di uno sfiduciato moralismo [210], constatazione del caos che regna sovrano dovunque, sia per lazione umana, sia per linfuriare delle forze della natura; ma, chiediamoci, anche consapevolezza lucida di una crisi del mondo presente, come vedeva proprio qui a Todi qualche anno fa Enrico Artifoni [211]? Se per Giovanni Aquilecchia il pessimismo di Matteo ha in questo punto la sua prima manifestazione di stampo biblico-cristiano [212], se per il Green quel pessimismo mostra di risolversi in una per dir cos dissoluzione storiografica [213], ci pare doveroso osservare che la presentazione dellopera si muove non allindietro, sul piano dellapocalisse, al pi in rassegnata attesa del giudizio ultimo, ma su quello pi propriamente positivo e propositivo tutto volto al futuro. Tanto pi che, se Aquilecchia nota come tema tra i pi interessanti le tirate antiecclesiastiche di Matteo [214], che sembrerebbero rendere materiche nello scritto della cronaca le tensioni del tempo, tra Firenze ed Avignone, Artifoni ha mostrato come fossero presenti nel secondo Villani sincera ed appassionata fede repubblicana e - soprattutto, aggiungiamo noi - una intransigenza guelfa [215] che, per quanto pi reazione emotiva che meditazione politica, sono in un qualche modo quella risposta alternativa al disordine del mondo che Aquilecchia pensava arduo poter rintracciare nella cronaca al di l dello sfiduciato senso del precario [216]. Per dire che se il prologo al primo libro come allinizio della nona sinfonia beethoveniana, il segno del caos, si dovrebbe constatare che il resto del lavoro non affatto lillustrazione del regno del caos; altrimenti non si capirebbe come subito dopo, per quanto sicuramente in omaggio ad un preciso schema retorico, si giustifichi quella fatica con la speranza - la parola appare esplicitamente - di giovare, in maniera tutta particolare a coloro che sono meno sperti, in modo che con fatica e studio da poter venire a operazioni virtudiose. Di pi: teniamo conto che il quadro sconsolato del mondo - quadro sconsolato dellesistenza - si prolunga e si amplifica nei successivi capitoli, dal primo al quinto, che costituiscono proprio i limiti entro cui si iscrive la peste del 1348.

Consideriamo la partenza, gi a suo modo ambiziosa: si delinea immediatamente limmane soffio della storia umana:

Trovasi nella santa Scrittura

 

Il male che colpisce il mondo ha la sua prima motivazione nel male commesso dagli uomini; cos si leggeva nel prologo allopera,

per la macchia del peccato la generazione umana tutta sottoposta alle temporali calamit e a molta miseria e a innumerabili mali

 

ed allo stesso modo si prosegue qui: cos era stato al tempo del diluvio, quando il peccato aveva corrotto lumanit intera:

avendo il peccato corrotto ogni via della umana carne [217].

 

In seguito, se non vi furono pi diluvi universali, in accordo con la promessa divina a No, suggellata dallarcobaleno [218], che per Matteo non ricorda affatto, si susseguirono diluvi particolari, mortalit, corruzioni e pistolenze, fami e molti altri mali che Iddio ha permesso venire sopra gli uomini per li loro peccati. Questa insistenza sui diluvi non pare affatto puramente topica, visto che i due anni precedenti erano proprio stati caratterizzati da unanomala abbondanza di piogge, come abbiamo ricordato sopra, e la stessa parola diluvio, in volgare ed in latino, si trova largamente adoperata in proposito nei testi coevi, di cronisti e non [219]. Quindi Matteo d un saggio di storia delle grandi epidemie, ovviamente per quel che sa. E sa - con qualche confusione - dellepidemia al tempo di Marco Aurelio Antonio [220] e Lucio Aurelio Commodo imperadori; poi di quella al tempo di Gallo Ostilio Augusto e Bolusseno suo figliuolo, occupatori dello imperio e gravi persecutori dei cristiani [221]; continu per i tre lustri successivi [222]. Ma poi pi nulla; la sua cultura storica troppo modesta per consentirgli di proseguire la rassegna, e subito viene al caso presente, che, naturalmente, non solo regge il paragone con le pestilenze antiche che ha ricordato, ma addirittura le sovrasta per lampiezza delle regioni colpite, universale giudicio, perfino superiore incomparabilmente, se guardato dallentit delle vittime, a quello del diluvio universale, che colp i pochi abitanti della terra di allora [223].

Ma tempo per il Villani di entrare in argomento. Linizio proprio a dir poco sconcertante: Matteo si propone di narrare lo sterminio della generazione umana, scandendone tempi e modi, fenomenologia e vastit, e subito si stupisce non della terribilit del male, ma piuttosto della molta misericordia usata dalla divina giustizia in quelloccasione, visto che lumanit sarebbe stata invece degna per la corruzione del peccato di final giudizio. Il peccato in questione non certo quello originale, ma anzi il dilagare presente del peccato, giunto a tanto da meritare lestinzione estrema. Anche se poi il Villani non ci dice affatto in che consistano quei peccati talmente diffusi da causare la collera divina. In realt proprio questa indeterminatezza a chiarire di che si sostanzi e fino a che punto giunga il tanto conclamato scetticismo villaniano. Se il cronista senese giudicava lepidemia giusto castigo divino per il malvagio comportamento dei genovesi, esteso poi per riverbero a tutta la cristianit [224], Matteo, che pure sa bene del modo preciso in cui il male giunto in Occidente, ne incolpa lintera razza umana: per il senese il tramite furono le maledette galee de Genovesi; per il fiorentino alcune galee dItaliani. Ugualmente in chiave cosmica, viene intesa la parabola complessiva del male. Lavvio solenne, Videsi negli anni di Cristo, dalla sua salutevole incarnazione, 1346, non puro dato cronologico, ma afflato provvidenziale in cui situare esattamente il fenomeno. Cos la precisazione astrologica, su cui evidentemente molti avevano attirato (poi) lattenzione, per additarne un segno premonitore, viene riportata per dovere di cronaca [225], ma con la precisazione esplicita che non certo l sta la ragione profonda del male: a questa conclusione conducono una constatazione a met tra lo scientifico ed il senso comune, e la convinzione religiosa:

la congiunzione di tre superiori pianeti nel segno dellAquario, della quale congiunzione si disse per gli astrolaghi che Saturno fu signore: onde pronosticarono al mondo grandi e gravi novitadi; ma simile congiunzione per li tempi passati molte altre volte stata e mostrata, la influenza per altri particulari accidenti non parve cagione di questa, ma piuttosto divino giudicio secondo la disposizione dellassoluta volont di Dio.

 

Matteo ripete qui quanto gi il fratello Giovanni aveva osservato a proposito della pestilenza del 1347 [226]; Boccaccio era stato apparentemente neutrale [227]:

mortifera pestilenza, la quale o per operazione de corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali

 

Ma la peste serviva al grande narratore per disegnare il suo contrario, lo scuro su cui tracciare i disegni chiari delle speranze e dei lieti conversari; per Matteo invece il momento ammonitore dellapocalisse finale, il flagello che colpisce tutti, gli uomini dogni condizione di catuna et e sesso, prima in Oriente dove ha origine, e poi in Occidente. Anche la vastit del quadro geografico,

Cominciossi inverso il Cattai e lIndia [228] superiore si venne di tempo in tempo e di gente in gente apprendendo: comprese la terza parte del mondo che si chiama Asia saggiunse alle nazioni del Mare Maggiore e alle ripe del Mare Tirreno, nella Soria e Turchia, e in verso lo Egitto e la riviera del Mar Rosso, e dalla parte settentrionale la Rossia e la Grecia, e lErminia e laltre conseguenti provincie,

 

anche questo accumulo, dal generale (lAsia) alle regioni pi particolari ed individuate, ma sempre con una riserva di mitico, lontano ed in fondo terrorizzante, situa larrivo del male in un immane soffio divino che avvolge lumanit. Di questa terribile grandiosit devono prendere coscienza i lettori, non i fiorentini, non gli Italiani, ma le nazioni che dopo noi seguiranno; questa la ragione precisa per cui scrive Matteo.

Le galee dItaliani venute dallOriente infettano la Sicilia, e quindi Pisa, e Genova. Quindi riprende vigore il grande respiro provvidenziale: conseguendo il tempo ordinato da Dio, parallelo apocalittico dellevangelico tempo della salvezza, la mortale pestilenza avvolge la Sicilia intera, e quindi lAfrica, il Tirreno e le sue isole e tutta Europa: lItalia, la Provenza, la Spagna fino allOceano, lIrlanda, lInghilterra, la Scozia, ed infine gli Alamanni e gli Ungheri, Frigia, Danesmarche, Gotti e Vandali e gli altri popoli settentrionali. Il panorama storico e geografico della peste si conclude cos, tumultuosamente dilatandosi, e tutto avvolgendo, fin nelle brume pi estreme del nord, come dalle leggendarie estremit orientali si era mosso.

Sulla atrocit dei comportamenti ingenerata dal terrore del male insiste anche il Villani, soprattutto nei confronti di chi pi avrebbe avuto bisogno di aiuto. Tutti i cronisti sottolineano con analoghe parole, sappiamo, la crudelt che era e modi dispiatati, come si esprime la cronaca senese [229], ad ogni livello, anche tra i parenti pi intimi [230], ma Matteo il solo a classificare come originariamente barbara quellinumanit crudele, che pure si ritrov in seguito anche fra i cristiani [231]. La sollecitudine reciproca poteva esser un rimedio, ma tutti evitavano i malati. Di contro allinsieme degli altri cronisti - notevole correzione ad un pessimismo rassegnato -, il solo Villani sostiene che chi si era gi disposto alla morte, volendo continuare a prestare soccorso a parenti ed amici infermi, pur contraendo il male non mor, e pot continuare la sua opera, e la cosa incoraggi altri a fare altrettanto, per cui molti, cos sollevati, poterono guarire [232].

Il tempo successivo alla peste pare il culmine del pessimismo villaniano. Il quarto capitolo, Come gli uomini furono peggiori che prima, esemplifica la norma che, scampato il pericolo, dopo i giorni del dolore, gli uomini trovandosi pochi e abbondanti per leredit e successioni dei beni terreni, dimenticando le cose passate come state non fossono, si dierono alla pi sconcia e disonesta vita che prima non aveano usata. Senza limiti ci si diede ai piaceri, cibi, vesti, lussuria, senza freno, anzi nei modi pi esasperati. Se Dante aveva poco dopo linizio del secolo contrapposto gli eccessi di comportamento della Firenze di allora alla misura della Firenze di Cacciaguida, se Riccobaldo negli stessi anni aveva fatto pi o meno lo stesso per la sua Ferrara [233], oltre mezzo secolo pi tardi Matteo Villani non pu gi pi ripercorrere quel modello: esecrazione dei tempi presenti, s, ma nessun ricordo di tempi pi morigerati! Da troppo tempo Firenze viveva in un clima di benessere tale da avere fatto del tutto dimenticare let dei sobri costumi degli antenati. E Matteo scioglie la sua amarezza senza speranza in dimensioni universali: non si tratta della sola Firenze infatti, e cos, e peggio, laltre citt e province del mondo. La chiusa del capitolo speculare allinizio del primo capitolo: l si partiva dalla Scrittura, dal diluvio; qui si ammonisce che secondo il profeta Isaia, non abbreviato il furore dIddio, n la sua mano stanca. Cos si conclude lo spazio dedicato alla peste. Il capitolo successivo, Come si stim dovizia, e segu carestia, serve egregiamente ad illustrare per Ruggiero Romano e John Day la crisi italiana della met del Trecento [234], per il Mollat le conseguenze sociali e morali della peste [235]; sorprende che questi qualificati commentatori citino il brano a sostegno di interpretazioni offerte con scarsa problematicit, quasi che le conseguenze dellepidemia non potessero essere naturalmente che quelle. Mentre invece da rilevare che il fiorentino e sensibile agli affari Matteo Villani, un esperto dallora, presenti quelle conseguenze come la negazione delle previsioni naturali. Un buon conoscitore delle leggi di mercato, come era Matteo, confessa che lui, e come lui tanti altri, non erano stati in grado di immaginare quello che sarebbe successo, anzi avevano supposto il contrario. Lo studioso di oggi sorride con compatimento di fronte ai lamenti moralistici di Matteo, mettendo in mostra la propria conoscenza delle leggi economiche, e dimenticando quello che oltre un secolo fa aveva notato Jakob Burckhardt: Un fiorentino soltanto poteva lasciare scritto come tutti si aspettassero che, per la scarsezza degli abitanti, tutti i prezzi delle cose ribassassero, e come invece e viveri e mercedi siano rincarati del doppio; come il popolo in sulle prime non volesse pi lavorare, ma darsi buon tempo; come nella citt non potessero pi aversi n servi, n fantesche se non a prezzi elevatissimi; come i contadini non volessero pi coltivare che i terreni migliori, lasciando incolti gli altri e come gli enormi legati lasciati durante la peste a favore dei poveri apparissero dopo inutili affatto, perch i poveri o erano morti o poveri pi non erano [236]. Perch condannare il moralismo, ricorrere al liberatorio passepartout della mentalit di un uomo del Medioevo, e non limitarsi alla constatazione che si trattava semplicemente di un fatto, registrato da altri, pi o meno con le stesse modalit, anche altrove, in Italia ed in Europa [237]? Se invece si trattava di un errore di valutazione dei contemporanei, in generale, non sar inutile ricordare che ancora lesperto moderno Robert Fossier ha dovuto avvertire che non sempre - anzi, quasi mai - i modelli moderni funzionano per i secoli finali del Medioevo [238]. Anche la peste era stato un fatto, e quel che era seguito, insomma, appariva tale da vanificare le leggi economiche nelle quali una persona particolarmente versata per il mondo economico, come appunto Matteo Villani, credeva; si delineavano nuovi comportamenti, nuove leggi, un nuovo tempo, da comprender su basi diverse; del nuovo tempo, la peste era stata, per Matteo, la cifra iniziale.

Ma torniamo a chiederci quale sia linsegnamento che i lettori devono trarre, quali siano il consiglio e l rimedio dellavversit che il Villani si proponeva di indicare programmaticamente. La risposta ora semplice e disarmante: niente pi che la constatazione che qualunque catastrofe, per quanto enorme, non dovuta al mal fare contingente; che non ragione alcuna di trovare giustificazione allinfuriare di una forza naturale - incontrollabile -, nella cattiva condotta di questo o di quello, singoli o collettivit. La ragione profonda nella stessa natura dellesistenza, tutta ed esclusivamente nelle mani di Dio. N angoscia inerte, n presunzione quindi; n scarico di responsabilit, n identificazione di colpevoli, perch tutti, e da Adamo, siamo colpevoli; la lezione della peste deve avere validit al livello delle coscienze, deve spronare a operazioni virtudiose, non per placare lira di un Dio irraggiungibile, ma per agevolare il tragitto terreno delluomo. Cos essendo intesa la vita, limpido significato acquista allora il prologo:

per la macchia del peccato la generazione umana tutta sottoposta alle temporali calamit e a molta miseria e a innumerabili mali i quali avvengono nel mondo per varie maniere e per diversi e strani movimenti e tempi, come sono inquietazioni di guerre, movimenti di battaglie, furore di popoli, mutamenti di reami, occupazioni di tiranni, pestilenzie, mortalit e fame, diluvi, incendi, naufragi e altre gravi cose delle quali gli uomini ne cui tempi avvengono, quasi da ignoranza soppresi, pi forte si maravigliano e meno comprendono il divino giudicio e poco conoscono il consiglio e l rimedio dellavversit, se per memoria di simiglianti casi avvenuti ne tempi passati non hanno alcuno ammaestramento; e in quelle che la chiara faccia della prosperit rapporta non sanno usare il debito temperamento, rischiudendo sotto lo scuro velo della ignoranza luscimento cadevole e il fine dubbioso delle mortali cose

 

Questa coscienza esistenziale, n angosciosa n eroica, sostanzia lo scopo per cui Matteo ha scritto la sua storia, il suo ammaestramento, in tempo di avversit come in tempo di prosperit; la consapevolezza di Matteo Villani veramente qui si trasferisce sul piano del cosmo [239] ed oltre, e d un senso alla peste, a Firenze, allItalia ed al mondo, in breve alla vita umana. Meditando la storia della peste del 1348 si potr in simili frangenti vivere consapevolmente: la stessa importante lezione che il nostro contemporaneo Arno Borst trae dallo studio del terremoto di quel medesimo anno [240]. Se le insicurezze sul mondo erano divenute in Giovanni Villani insicurezza della persona, come rilevava il Green [241], in Matteo la catastrofe della peste era possibilit di esercitare quel rigore di concatenazione delle riflessioni che gi stato notato sul piano letterario [242], e motivo per procedere oltre in un maggiore equilibrio dellanima.

 

3.4.        Marchionne

La mutazione dei tempi, avvertita alla vigilia della peste da Giovanni Villani, e dopo il male resasi evidente agli occhi del cronista senese e di Matteo Villani, diviene pi chiara in Marchionne fiorentino [243]. Tuttavia si potrebbe dire che la pagina della sua cronaca dedicata alla peste un intermezzo del mutamento in atto, tra un prima in cui lorganismo cittadino sembra funzionare a fatica, ed un dopo in cui la direzione amministrativa della citt si avvia a riacquistare una nuova ed efficace capacit di intervento. La rubrica sulla mortalit la quale fu nella citt di Firenze, dove morirono molte persone rappresenta una netta cesura del tessuto narrativo della cronaca, e si presenta con aspetti, per cos dire, misti, visto che accosta tributi diversi a quello che abbiamo detto il modulo cronachistico convenzionale, a notazioni vivaci e popolaresche che hanno il fresco sapore della realt, vissuta personalmente - Marchionne nel 1348 aveva dodici anni -, o comunque udita narrare da testimoni vicini cronologicamente e spazialmente, amici, conoscenti e familiari.

Lorizzonte ristretto: Marchionne ignora totalmente lepidemia al di fuori di Firenze, non dice come vi fosse portata o da chi; il male scoppia senza una riga di introduzione, improvviso, ingiustificato, non preceduto da segni premonitori, n come coronamento di eventi calamitosi o comportamenti colpevoli, un hpax della storia di Firenze.

Il quadro colorito, ma piuttosto disordinato [244], tutto intessuto sui particolari, spesso risolto in puri elenchi [245], ma anche con una tale abbondanza di aneddoti che, oltre allorrore, non possono che essere diretti ad intendere la vicenda con un certo distacco, fino a strappare un sorriso. Come quando racconta di quelli che al malato dicevano: Io vo per lo medico, ed una volta guadagnato luscio non si facevano pi vedere; o degli altri che, con la scusa di evitare al malato la fatica di chiamare durante la notte, gli ponevano accanto al letto ci che si pensava potesse essere daiuto, pillole, vino, acqua, e dopo che il disgraziato aveva preso sonno si allontanavano; o quando riferisce dei cadaveri ricoperti con un leggero strato di terra, e quindi con altri cadaveri, ed altra terra, come si fa con le lasagne ed il formaggio.

Ma la somma dei particolari non fa una unit. Gli elementi singoli rimangono a s stanti, una lista di fatti unici, efficaci nel complesso a rendere una atmosfera, ma soprattutto orientati, crediamo, a restituire la disintegrazione della citt nellatomismo del particolare e del negativo: Tutta la citt non avea a fare altro che a portare morti a seppellire [246]. Se non mancano gli interventi del pubblico - divieto di celebrazione dei funerali con suoni di campane, catafalchi ed annunci a voce; limitazione della partecipazione dei religiosi alle esequie; proibizione di importare in citt frutti considerati nocivi - si tratta di provvedimenti, escluso lultimo, giusto diretti a confinare nellambito del privato quelle manifestazioni di lutto che, troppo perniciose al morale perch cos numerose, non si giudicava opportuno ammettere come ordinarie. Quasi che impedirne il clamore potesse nasconderne la diffusione. Ci si trova per ancora insieme, o nelle processioni gridando: Misericordia, e facendo orazioni, o in brigata a mangiare per pigliare qualche conforto; ma anche i pranzi con gli amici sono unennesima occasione per constatare la mancanza dei convitati.

Solo la fine dellepidemia rimette in moto lapparato di governo, fino a quel momento solamente in grado di procedere alla conta dei decessi:

Nel detto anno, essendo ristata la mortalit, era in Firenze trasandato gli uomini e le donne nel vestire e fessi ordine sopra ci, e diessi bala a seguir gli ordini al giudice della grascia. Li sarti erano s forte smisurati Fu a loro posto ordine quello dovessero trre dogni cosa per s. Li fanti e fante erano s spiacevoli con grandissimi prezzi che convenne farvi grosse pene a raffrenarle. Li lavoratori delle terre del contado volieno tali patti Di che fu fatto ordini gravi sopra ci Missesi freno ancora nelle nozze [247]

 

Il controllo della situazione ristabilito; la peste ha segnato un periodo di totale arresto della capacit del comune a fronteggiare la situazione; ma ora tutto e passato. Il tempo si fermato da marzo a settembre 1348; la storia di Firenze riprende a scorrere.

 

3.5.        Marco Battagli

Per Marco Battagli da Rimini, autore di una cronaca dal valore discusso [248], la peste [249] va intesa come evento del tutto provvidenziale. La chiave tutta moralistica, ma grandiosa, di stampo biblico. Comincia anchegli nel ricordo del diluvio universale:

humana iniquitas et cuiuscumque generis peccata tantum creverant super terram, quod eorum fetor et clamor ad iustas aures pervenit altissimi. Tunc iusta Dei sententia, similis diluvio Noe, cum ignea mortis acute plaga super omnem faciem terre irruit cum furore et quasi inquit, sicut fecit tempore diluvii: - Omnem creaturam delebo et propter eorum facinora finis universe carnis perveniat ad effectum,

 

che riprende Gn.  6, 5-13:

Videns autem Deus quod multa malitia hominum esset in terra et cuncta cogitatio cordis intenta esset ad malum omni tempore Delebo, inquit, hominem, quem creavi, a facie terrae dixit ad Noe: Finis universae carnis venit coram me

 

Opportunamente dimentica il Battagli, come Matteo Villani, la promessa divina di non pi colpire il genere umano con un nuovo flagello universale, e passa a descrivere i segni del male che ha visto da vicino: testimonium perhibeo. Il ricordo della congiunzione astrale sotto cui si iniziata lepidemia, altrove oggetto di discussione, in lui declassata a nota puramente cronologica, mentre lorigine prossima della malattia vien fatta discendere, come in altri, da un grande fuoco. Solo che in Battagli quel fuoco offre il destro per continuare il parallelo con la storia sacra, questa volta verso il tempo ultimo. Come allinizio della storia umana la malvagit aveva causato il diluvio, cos oggi gli innumerevoli peccati hanno causato la peste; come il giudizio finale avverr nel segno del fuoco, cos la peste di oggi, sorta dal fuoco, esemplifica e preannuncia il dies irae:

Hoc enim tale periculum Dei sententiam possumus appellare et quasi videtur esse et fuisse iudicium futurum per ignem, quod in Scripturis sanctissimis invenitur, quoniam illud infirmitatis iudicium processisse ab igne videtur.

 

In questo modo il flagello posto al centro della parabola spirituale, e lo stesso Battagli, risparmiato miracolosamente - pro dei gratia ego evasi -, , nel dilagare della malvagit, segno del rinnovarsi della figura di No, segno del sopravvivere nellumanit tralignata, di pochissimi buoni. Ma a questo punto ogni possibilit di una rinnovata storia parallela a quella biblica cade bruscamente: non solo lira divina non ha colpito chi avrebbe dovuto colpire, ma le cose ora, dopo la peste, stanno peggio di prima:

Omnes autem formose domine et viri iusti omnes vite terminum assignaverunt et quasi iniqui et reprobi pro contrario remanserunt. Quod post mortalitatem in operibus patuit, quia in duplo peiores sumus, quoniam nullus de altero, si potest obesse, confidat, cur cupiditas et avaritia modo ad presens in omnibus est conserta: ergo quasi ab omni conversatione caveto.

 

Limpostazione iniziale del brano profondamente turbata da questa conclusione; ma evidentemente il Battagli ha barato: partito come un predicatore ha mostrato alla fine il suo vero volto di pessimista politico. In realt ci che guida il suo giudizio - anche a riguardo della peste - lantiguelfismo sconsolato e senza speranza di chi nel 1352 pu solo concludere:

Modo solum ecclesia cum tyrannis in Ytalia dominatur et Romanorum imperium et iustitia obscure sepulta sunt et tyrannorum iniquitas et superbia cum Luciferi sequacibus, sicut in celo, ita modo in terra deviat rectum iter [250].

 

Allora si comprende come lhumana iniquitas et cuiuscumque peccata, che hanno dato origine allintervento divino, sono quegli stessi mali, cupiditas et avaritia che si constatano regnare ancora, nonostante quellintervento; liniquitas et superbia dei tiranni e della chiesa, negazione del Romanorum imperium et iustitia - unendiade! -, che regge e governa sovrana, parallelo terreno dellazione luciferina nei cieli. La peste non ha cambiato nulla; la sola consolazione, di chi non ha speranza di vedere un mutamento, che alla fine, se Dio vuole, ci sar un giudizio.

 

4.    Francia

 

4.1.        Breve Chronicon Flandriae

Lanonimo chierico di Fiandra che scrive della peste [251] comincia con il riportare il contenuto di una lettera, spedita il 27 aprile 1348 da Avignone a Bruges, dal cantore e canonico di Saint-Donatien Louis Heiligen, o Sanctus, uno dei pi cari amici del Petrarca, cui dedic le familiari. Il resoconto lungo e particolareggiato. Oltre le dicerie sugli straordinari fatti dOriente che hanno preannunciato larrivo del male in Occidente - pioggia di animali repellenti e velenosi, tuoni, fulmini e grandine in misura eccezionale, fuoco dal cielo ed ammorbamento dellaria -, ritornano i vascelli maledetti di Genova, che in questo caso sono il veicolo esclusivo di propagazione della peste, perch uno di essi, respinto da Genova, va verso Marsiglia, ed unaltro verso la Spagna. I sintomi della moria sembrano indicare tre tipi diversi di malattie, di cui due sembrano attagliarsi a quanto sappiamo della peste polmonare e di quella bubbonica, mentre la terza sembra solo una variante della seconda. Si diffonde ancora il canonico sulla facilit del contagio, sulla entit dei decessi, sullampiezza, per quanto sa allora, dellepidemia, oltre il Rodano e fino a Tolosa. Dopo altri particolari su quanto si fece ad Avignone, d consigli per difendersi: mangiare e bere con misura, proteggersi dal freddo, evitare ogni eccesso, limitare al massimo i contatti umani, in conclusione chiudersi in casa ed aspettare che lepidemia si esaurisca: cos faceva anche il papa. Ma poi il Chronicon pare dimenticarsi della peste per dedicarsi ad altri fatti e fatterelli. Ma invece ritorna in due brevi paragrafi a rammentare che lepidemia avanza in Borgogna e Normandia. Quindi riprende ad occuparsi di tuttaltro: guerre, alleanze, miracoli, successioni. Fugacemente riferisce di molte migliaia di ebrei bruciati a Worms ed altre citt, sotto laccusa di aver avvelenato le acque - ma nessun cenno alla peste -, e passa per alcune pagine a descrivere i flagellanti; ma gran parte dello spazio loro dedicato occupato dalla copia di una lettera del papa che li condanna senza eccezione. Poi pi nulla, in proposito. La peste rimane dunque sullo sfondo, neppure angosciosa e incombente presenza che tutto condizioni, ma nulla pi che elemento di una cornice, alla pari di altri. Lo stesso legame dei flagellanti con il senso di colpa suscitato dallepidemia appena accennato: in realt quello che preoccupa la dimensione del fenomeno, le manifestazioni disordinate, il mancato inquadramento della devozione: quia sine auctoritate episcoporum vel pape faciebant. Non si dice neppure esplicitamente se il morbo giunto nelle Fiandre. In conclusione per il chierico autore del Chronicon si deve allineare quel male dopo e in mezzo ad altri fatti, pi o meno memorandi, visto che non ha tali caratteri di eccezionalit da esigere uno spazio compatto ed una trattazione analitica.

 

4.2.        Gilles li Muisit

Gilles li Muisit, abate di Saint-Martin-de-Tournai, ci ha lasciato una Nouvelle chronique che va dalla Pasqua del 1349 al marzo 1353 [252]. Uomo di cultura modesta, prevalentemente poetica e morale, tutto teso alle questioni pratiche, Gilles tutto sommato un tmoine secondaire de son temps [253]. Ma si tratta degli anni cruciali della peste, che lo obbligano, con gli avvenimenti rilevanti ad essa collegati, a prendere una posizione piuttosto netta.

Per la verit la peste lo occupa direttamente solo come conclusione di un periodo per lui piuttosto impegnativo. Comincia infatti col descrivere le persecuzioni contro gli ebrei nellaprile del 1349 a Colonia e nel Brabante [254], prosegue poi con lapparizione dei flagellanti nella regione ed in particolare a Tournai, ed infine con larrivo della peste ed il suo sviluppo.

Pare che il morbo non colpisse la regione in maniera grave quanto nelle regioni circostanti [255]; in ogni caso essa precedette di poco larrivo dei flagellanti allinizio dagosto, ma divenne grave solo in settembre.

Anche Gilles particolarmente colpito dal fenomeno dei penitenti, come tanti altri suoi contemporanei, ma ben pi degli altri spinge il suo interesse fino ad informarsi a fondo. Cos pu fornire abbondanti dettagli sul movimento che, dice, ha ricavato da conversazioni con i loro capi; lo impressiona in particolare leterogeneit del reclutamento e nel contempo la capacit di omogenizzazione:

Et cantantes et ordinati ibant cantando secundum suum ydioma, Flamingi in flamingo, illi de Brabantia in Theutonico, et Gallici in gallico.

Habebant cantilenam ordinatam secundum suum ydioma, quam cantilenam incipiebant cantores ordinati, ceteris una voce respondentibus Surgebant et cantando de beata Virgine, juxta suum ydioma.

 

La piet sincera e commovente f s che sulle prime i flagellanti possano giungere a Tournai e fare le proprio opere di devozione con il benestare delle autorit [256]. Ma la reazione non tarda: la religiosit popolare espropria il diritto-dovere di indirizzo e di guida proprio della dirigenza religiosa [257], che non pu permettere alcuna alienazione in proposito, pena la perdita del proprio ruolo, in sede locale come al sommo vertice. Ed ecco il capitolo di Tournai opporre le proprie processioni, predicazioni e penitenze a quelle dei flagellanti [258]. Ma cՏ di pi: la mobilitazione spirituale si fa sempre pi razionale e sistematica. Gi la liturgia era stata adattata alle circostanze dal papa Clemente VI, che aveva istituito un officio speciale per la peste. Gilles segue e si affianca: nella sua cronaca inserisce molte preghiere in francese, due delle quali indirizzate a S. Sebastiano, da recitare in tempo di peste [259]. Particolarmente insistita la descrizione dell'intervento delle autorit laiche in quella occasione, anche in tema di processioni: segno manifesto del positivo disciplinamento di tutte le attivit cittadine [260].

Allepidemia in s Gilles dedica una considerazione ovviamente particolare, ma ancora prevalentemente con locchio dellamministratore pubblico. Racconta s qualche fatto eccezionale, come quello del pellegrino che tornava da S. Giacomo di Compostela e che dopo aver cenato una sera in una osteria con loste, le sue due figlie ed un servo, il giorno seguente li trov morti di peste tutti e quattro [261]; ma la tragedia quotidiana, pi o meno uguale per tutti, non lo sollecita a nessuna descrizione puntuale. Perfino il rilievo che le vittime sono numerose tra i pi indigenti [262], e nei villaggi con vicoli stretti, pi che tra i maggiorenti e nelle citt caratterizzate da spazi maggiormente aperti [263], sembra destinato a trasmettere la convinzione che lordine, la razionalit civile, tipica di un luogo pubblicamente ben condotto, in qualche modo siano una garanzia contro il diffondersi del male dalle origini sconosciute. Racconta che allinizio i funerali si fanno con gran pompa, le campane suonano giorno e notte, ma che poi i magistrati cittadini si preoccupano delle conseguenze sul morale della popolazione, e prendono una serie di provvedimenti, che vanno dalla limitazione del suono delle campane alle sole messe domenicali, al divieto delle vesti nere, alla semplificazione delle sepolture, che devono essere simili per ricchi e poveri; importante losservazione finale: la popolazione unanime nel lodare queste misure che calmano gli spiriti, e quindi fanno indietreggiare il male [264]. La vigilanza e loperativit delle autorit, civili ed ecclesiastiche, non solo assolutamente necessaria per governare linsostenibile situazione creata dalla peste, come nel caso dei flagellanti, ma ha anche indubbia validit terapeutica preventiva [265].

La cronaca dellabate di Tournai sembra una vivace risposta, sul piano propositivo alle numerose pi o meno esplicite, rimostranze circa lo stato del clero [266], testimoniateci da molti contemporanei, e per la verit gi attestate prima della peste, ma che parvero acuirsi durante lepidemia, fino a spingersi allaccusa che proprio i chierici ne fossero in qualche misura responsabili [267].

 

4.3.        Jean le Bel

Per Jean le Bel, canonico di Saint-Lambert di Liegi, la peste in s non ha grande rilevanza [268]: la liquida in poche righe, utilizzando argomenti del tutto convenzionali. Ben pi importante ci che ne deriv: vista limpossibilit di trovare un qualche rimedio allepidemia si diffonde lidea che si tratti di un intervento soprannaturale, e molti si danno a penitenze e devozioni. Allora, in questo clima gi favorevole, monta la marea dei flagellanti partiti dalla Germania e giunti anche a Liegi. Vivamente impressionato Jean evoca con ampiezza di dettagli le marce ad ampio raggio dei penitenti, le processioni grandiose sulle quali campeggiano crocefissi, stendardi, palii dipinti, che naturale immaginare gonfi di vento su quelle teste curve che aloient par les rues II et II chantant haultement chanchons de Dieu et de Nostre Dame rimes et dictes, facendo loro serymonies, e toudis chantant leur chanchons [269]. Si tratta di un vasto quadro, ricco di colori e di movimento, che subito colpisce e commuove gli abitanti di Liegi accorsi immediatamente. E il fiume ingrossa e si scinde in mille rivoli; le vene si ampliano alle regioni vicine. Un immenso afflato di religiosit popolare molto, molto pi importante della peste. Ma il canonico di Liegi non pu concludere con ladesione al movimento. Si capisce che ha guardato con stupore e meraviglia al tumultuoso crescere dello spirito penitenziale e comunitario; ma poi in questo spirito comunitario anche la radice della contestazione, o comunque del contrasto con ci che estraneo a questo spirito: ceste grande affliction se converti en orgueil et en presumption. I penitenti, come tante volte si visto nel Medioevo, assolutizzano la via di salvezza che percorrono, sono in contrasto con le devozioni normali perch giudicano le loro plus dignes, fanno violenza a preti e chierici, per impossessarsi dei loro beni e benefici, dice il canonico cadendo bruscamente di tono.

A questo punto cessa di colpo linteresse di Jean per i penitenti, ed una osservazione finale introduce ad un nuovo argomento stimolante: in realt i flagellanti non fecero cessare la pestilenza, e questo fece s che si spargesse la voce che la moria fosse causata dai Giudei. Bisogna notare che mentre nel caso dei flagellanti lorigine del morbo era in un atto volontario di Dio, mosso a vendetta dellumanit peccatrice, gli Ebrei sono incolpati non di aver suscitato la collera divina, ma di aver dato principio materialmente al contagio, avvelenando pozzi e sorgenti. Si tratta di un mutamento di prospettiva notevole, ma sul quale Jean non insiste. Come non gli importa affatto esprimere un giudizio sulla cosa. Di nuovo affascinato dalla descrizione di un nuovo evento straordinario: la furia popolare, i roghi, ma soprattutto i martiri ebrei che forti delle loro profezie, della loro fede, si danno volontariamente alle fiamme, con i piccoli in braccio, trestout chantant. Di nuovo i canti, questa volta a ritmare le urla di una folla inferocita, lansimare delle corse, langoscia della caccia, e, per stupefacente converso, i gruppi di coloro che aloient morir tous dansans et chantans aussy joyeusement comme silz alassent aux noces. Chi ricorda leggendo quelle pagine di Jean le Bel che tutto ha avuto origine dalla peste? Chi pensa che la peste sta ancora infuriando? Tutto preso dalla rievocazione di quegli eventi stupefacenti il canonico di Liegi ha relegato lepidemia ad occasione, casuale sorgente di ben altri drammi.

 

4.4.        Froissart

Le poche pagine che Froissart dedica alla peste [270] hanno un parallelo in Jean le Bel, sua fonte largamente privilegiata, comՏ noto; eppure le differenze sono notevoli, segno esplicito di un ben diverso approccio al tema. Fin dalla rubrica del capitolo linteresse dellautore si mostra inequivocabilmente: La peste et les Flagellants, elementi di un inscindibile binomio. Anzi, proseguendo la lettura ci si rende immediatamente conto che il vero argomento del capitolo sono solo i secondi:

En lan de grace Nostre Signour mille .CCC.XLIX, alerent li penant

 

Froissart ne dice la provenienza, dalla Germania, spiega minuziosamente gli strumenti che adoperavano e come li impiegavano, i canti che accompagnavano gli atti penitenziali; riferisce particolari truculenti: alcune donne raccoglievano il loro sangue e lo usavano come rimedio miracoloso. Solo a questo punto sente la necessit di spiegare che lo scopo era quello di far cessare lepidemia. Ma sulla peste dice ben poco: le morti improvvise che raggiunsero circa un terzo della popolazione. Poi subito riprende a parlare dei flagellanti che andavano di citt in citt per schiere ben differenziate dal colore dei loro ruvidi copricapi, con il proposito di non dormire in uno stesso luogo per pi di una notte, ed il loro pellegrinaggio doveva durare 33 anni e mezzo, in ricordo degli anni di vita di Cristo. Insiste ancora sulla buona accoglienza che incontravano, sugli atteggiamenti umili che mostravano dovunque, sulle pacificazioni che favorirono. Senza mostrare alcun giudizio prosegue dicendo che non poterono entrare nel regno di Francia, poich papa e cardinali decisero che quel tipo di penitenza pubblica nestoit pas licite ne raisonnable, scomunicarono loro e chi li affiancava, e privarono dei benefici ecclesiastici i chierici che li sostenevano. Combattuti dal papa e dal re di Francia il movimento si ridusse al nulla. Terminata la vicenda dei flagellanti, con una frase di passaggio, Froissart lega largomento successivo: i pogrom antiebraici, non descritti comunque, solo accennati brevemente, ma piuttosto presentati come lavverarsi di una delle loro profezie. E con questo termina il capitolo. Per la peste sono rimaste poche righe, del tutto convenzionali; il cronista delle infinite battaglie anche nel morbo universale, intrinsecamente materia povera, ha trovato il mezzo per accentuare il movimento di grandi masse, per fissare gli occhi sul sangue che sprizza, sui massacri, sui roghi. Il lettore anche leggendo questo capitolo sar soddisfatto: i fatti che veramente contano anche qui sono compiutamente descritti.

 

5.    Germania

 

5.1.        Konrad von Megenberg

La figura pi dotata di indipendenza di giudizio, obiettivit e spirito razionale quella di Konrad von Megenberg. Contro le dicerie correnti, ad esempio, argomenta che gli ebrei a Vienna sono pi numerosi che in alcunaltra citt tedesca, che anche qui vi moiono in cos grande quantit da dover ampliare il loro cimitero: quindi assurdo pensare che fossero stati proprio loro a provocare il male [271].

A riguardo delle cause della peste esclude che si tratti del dispiegarsi nel mondo dellira divina, in base alla constatazione che nel periodo immeditamente precedente erano state falcidiate moltissime brave persone, mentre al contrario molti malvagi erano stati risparmiati. Se la provvidenza divina non centra, allorigine delle recenti catastrofi, del terremoto e della peste, devono essere ragioni naturali. Se si tratta di cause naturali bisogna identificarle, cos che sia possibile agli uomini adottare alcune misure preventive. Ed ecco la spiegazione ipotizzata da Konrad, sulla scia di Aristotele e di Alberto Magno: allorigine sia dei terremoti sia della peste doveva essere laccumulo di vapori sotterranei, che allimprovviso deflagravano [272].

Eppure, se queste sono le ragioni del naturalista, non deve mancare anche una qualche colpa dellumanit, che ha messo in moto quella esplosione per la volont suprema di Dio. E se cՏ una umanit colpevole non si tratter certo del popolo anonimo. Chi mancato al suo compito chi sta in alto, la classe dirigente, responsabile della conduzione del popolo, in pace come in guerra. Sono loro, i governanti, che vengono meno al loro dovere, che non si comportano pi, come in passato, mirando al bene comune. Sono loro ad aver richiamata su di s e sui loro sottoposti la collera e la punizione divina, recentemente manifestata col terremoto e con la peste. Ad ogni livello della dirigenza politica ed amministrativa nessuno si comporta come dovrebbe, e persegue beni materiali. Perfino gli uomini di scienza si presentano gonfi di sapere, con vuote parole [273], ma in realt non mirano affatto al bene supremo della verit, quanto aspirano ad essere graditi e lodati. Solo se i governanti, e chi li attorniava ed aiutava, si fossero prefisso il raggiungimento dei valori supremi della giustizia e della verit, il futuro sarebbe stato libero da simili pericoli [274].

 

5.2.        Annales Frisacenses

Per lAnonimo di Friesach [275] i disastri naturali vanno letti alla luce delle scritture, tanto il terremoto [276] quanto la peste: universaliter fere per totum mundum, egrediens a mari usque ad mare, che non pu non ricordare il versetto di un salmo messianico divulgatissimo, il 71,8: Et dominabitur a mari usque ad mare. Allusione al giudizio dellultimo giorno? Probabilmente, ma senza insistenza; meccanicamente, mi verrebbe fatto di dire, con linerzia mentale di chi ha gi tutto classificato, anche limprevisto ed il non ancora accaduto; in fondo la citazione serve a riaffermare la speranza che in quel tempo estremo il giudice divino salvos faciet filios pauperum, come recita il versetto 3 del medesimo salmo, e che quindi il giusto debba guardare con non eccessivo timore a questi preannunci del giorno ultimo [277].

 

5.3.        Continuatio Novimontensis

Nella Continuatio Novimontensis [278] lanno 1348 interamente occupato dal terremoto e dalla peste; ma mentre il primo richiede al cronista lo spazio miserando di tre frasi, la seconda lo impegna lungamente. Non si verific alcun altro evento, di qualsiasi natura, che fosse degno di ricordo per il monaco cronista. Il quadro generale dellepidemia non contiene grandi elementi di novit rispetto alle descrizioni di altri, ma colpisce per lampiezza, la gradualit e laccuratezza, la lucida coerenza che governa il seguito delle notazioni. Inizia con la provenienza, la causa immediata, i protagonisti e le modalit della trasmissione del contagio; prosegue con il terrore che colp le citt, i provvedimenti presi per difendersi e per evitare lo sciacallaggio, la desolazione generale, lentit delle morti. Quando poi il morbo raggiunge le terre circostanti, Carinzia e Stiria, le osservazioni si fanno pi puntuali, ricche di particolari e capaci di rievocare la fosca atmosfera di quei giorni, ita ut homines desperati incederent et quasi amentes [279]. Quindi si innesca un processo razionale e consequenziario: i colti si chiesero il perch di quel letalis annus, e non trovando spiegazioni n nel moto anomalo degli astri, n nella corruzione dellaria, giudicarono che si fosse manifestato puramente il volere divino. Ed allora, per commuovere quel Dio, ecco le penitenze pubbliche di schiere numerose di cittadini e di villici, ecco le processioni di devoti seminudi che visitavano le chiese, cantilenando nella lingua materna della passione di Cristo, e flagellandosi a sangue; e le donne proseguivano la sera, al riparo delle mura, gli atti di mortificazione degli uomini di giorno allaperto. La penitenza pubblica dur per poco pi di un mese, da S. Michele (8 maggio) alla Pasqua (20 aprile). Alla devozione popolare, sorta spontaneamente, si accompagnano i riti dei sacerdoti, armati di reliquie e di litanie, ed anche il pontefice romano, che istitu una speciale liturgia, cos ricca e particolareggiata che il cronista rinuncia a ricordarla analiticamente. Ma non si ottiene nulla con gli atti devoti, anzi le morti aumentano; i medici sono impotenti; non resta che abbandonarsi totalmente, omnibus postpositis, a quel Dio che non fa conoscere i suoi disegni. Passa quindi il nostro a parlare della sintomatologia della malattia: rigonfiamenti rossi variamente maculati allinguine o alle ascelle e, per quelli inevitabilmente condannati, espettorazioni di sangue. Chi visitava il malato o gli prestava un qualche aiuto veniva a sua volta colpito; spessissimo alla morte di uno seguiva quella di tutta la famiglia. Per la generale devastazione il bestiame vagava nei campi senza custodia, e perfino i ladri per il timore non osavano avvicinarsi, e perfino gli eredi evitavano come se fossero infetti i beni lasciati legittimamente per testamento. La malattia in prossimit del novilunio incrudeliva. Infine verso met novembre (per S. Martino) lepidemia cess, dopo essersi portata via molti monaci e molti coloni. Lanno successivo la peste era giunta a Vienna, e quindi a tutti i confini della Germania. Una nota infine inconsueta di psicologia : gli scienziati del tempo avevano consigliato, al fine di evitare langoscia di quei giorni, di favorire lieti incontri, per combattere la depressione, e si erano visti dovunque gioiosi conviti e feste di nozze, che avevano posto rimedio alla disperazione [280].

Il male terribile aveva imperversato senza che si potesse far nulla per impedirlo; ma gli uomini non si erano persi danimo, ed avevano reagito vivacemente. Se non cerano spiegazioni naturali credibili, si era tentato con la devozione popolare e con quella diretta dalle istituzioni ecclesiastiche; solo riusciti inutili questi tentativi si era posta ogni fiducia nelle mani divine; esito di per s non dissimile da quanto rilevato altrove, ma qui conclusione di un seguito di osservazioni che ci fa stimare labbandono finale pi scelta razionale che emotiva. Tanto pi che se quello che alluomo era impossibile era stato alla fine lasciato alla veggenza divina, non si rimase inerti per quello che sul piano del morale era invece largamente possibile fare; non dunque negativa angosciosa rinuncia allazione, ma positiva volont di sopravvivere.

 

5.4.        La cronaca di Colonia

La cronaca di Colonia [281] non contiene in assoluto alcun elemento di novit circa la peste; la descrizione dellorigine orientale, dellavvento in Occidente, della gravit del male e dei topici comportamenti inumani indotti, ed infine dei sintomi della malattia, largamente convenzionale e di riporto. Da rimarcare piuttosto la collocazione dello spazio dedicato allepidemia. Sembra infatti di dover inserire la peste entro un ciclo di avvenimenti funesti, che si origina e conclude con la guerra franco-inglese, e che conosce come capitoli intermedi il fenomeno dei flagellanti, i pogrom ebraici e la pestilenza.

Che si debbano stabilire relazioni di dipendenza tra un argomento e laltro non sembra di poter desumere; n lanonimo autore fornisce un minimo segno che autorizzi a pensarlo. Ma certo la successione adottata fa riflettere. Poich quello che governa non un criterio strettamente cronologico: quegli avvenimenti sono pi o meno contemporanei, e non la griglia rigidamente annalistica che inquadra la presentazione di quei fatti: prima si fa cenno ad avvenimenti bellici del luglio ed agosto 1346, poi dellagosto 1347, di nuovo dellottobre 1346; quindi, con un passaggio generico, per idem tempus, si passa ai flagellanti nel regno di Germania, di seguito, eisdem temporibus, ai tumulti antiebraici, e quindi, circa hec tempora, alla peste [282], prima di tornare alla guerra, con la morte di re Filippo di Francia nel 1350. Lordine sarebbe potuto essere diverso: i flagellanti potevano venir dopo la peste, cos come le persecuzioni degli Ebrei, o ancora diversamente, variamente combinando.

Ma se non motivo che autorizzi a far dipendere un fatto dallaltro, n per importanza, n per rapporti di causa ed effetto, n, come si visto, per ragioni di cronologia, non si pu concludere che gli argomenti, nella specola dellautore, si equivalgono. Sul fondo comune rappresentato dalla guerra tra Francia ed Inghilterra, il solo fatto di rilevanza europea, si sono manifestate le processioni dei penitenti, sono stati uccisi diversi ebrei, scoppiata la peste. Con tutto ci, se non cՏ interrelazione, i tre argomenti non sono senza possibilit di confronto, oltre quello di contiguit.

Intanto le dimensioni: i penitenti pubblici dallUngheria trascorrono per totam Germaniam; i tumulti contro gli Ebrei avvengono per universum regnum Germanie; la peste orbem afflixit generaliter universum, ed in Gallia e Germania vehementer. In secondo luogo la capillarit: flagellanti si videro ovunque, non erat civitas, non villa, non municipium dove non fossero presenti; la violenza contro gli Ebrei si manifest in omnibus civitatibus, opidis et municipiis; la mortalit fece s che intere famiglie fossero completamente estinte in diversis regionibus et regnis multe civitates et ville, in non nullis civitatibus et villis [283]. In terzo luogo si tratta di fatti del tutto negativi: quella dei flagellanti una periculosa nimis et detestabilis secta hominum laycorum, una pestilens supersticio; il giudizio negativo dei pogrom contro gli Ebrei implicito nel tono usato per descriverli, Iudei universi utriusque sexus, cuiuscumque etatis tam parvuli quam infantuli unius diei crudeli nece sine misericordia fuerunt trucidati, ed avvalorato dalla nota che vi contribuirono anche resti di quei flagellanti di cui tanto male si detto precedentemente, carboni ancora accesi tra la cenere, che offrirono crudelitatis sue officium vel pocius maleficium; del male rappresentato dalla gravis pestilencia et mortalitas hominum non alcun bisogno di dire. Ancora: si tratta di mali sorti improvvisamente, senza ragione, seppur in luoghi diversi; e tutti quanti caratterizzati da una sorta di contagio crescente che diffonde il male tra le grandi masse popolari [284], senza rimedio; e che infine, dopo aver devastato ovunque, scompaiono senza lasciare traccia [285].

Fatti dunque straordinari, incomprensibili, segni dellopera del maligno che governa tanto gli uomini quanto la natura, manifestazioni dellincepparsi della storia, pi o meno dello stesso segno negativo, da illustrare dunque e da intendere con gli stessi mezzi, della parola e del giudizio storico. Un intermezzo, una parentesi in tre tempi di diversa gradazione, in una cornice identica. Tre detestabili episodi degli anni 1348-50, da citare per i tanti lutti di cui sono stati allorigine, ma che non hanno avuto seguito.

 

5.5.        La cronaca di Erfurt

Per il terzo continuatore della cronaca di S. Pietro di Erfurt la peste giunge come ultimo fatto notevole del biennio 1349-50 [286]. La precedono avvenimenti diversi, di pi o meno grande rilievo, ma fra i quali spiccano i moti antiebraici e le manifestazioni dei flagellanti. N il primo n il secondo sono ricordati come conseguenza dellepidemia: si presentano del tutto autonomamente da quella, e sono accompagnati da tentativi di interpretazione improntati ad un realismo non frequente. Le uccisioni di ebrei avvengono ad Erfurt come precedentemente si sono verificate, ricorda la cronaca, in tante citt della Turingia, ed analogamente sono accompagnate dallaccusa di aver avvelenato lacqua. Ma poi le osservazioni del nostro cronista si fanno sorprendentemente singolari per la coerenza interna che li tiene. Non si sostiene, come fanno tante altre cronache, che l'inquinamento delle acque aveva lo scopo di diffondere il contagio della peste - che, ripeto, fino a questo punto non neppure nominata -, e se si riporta per dovere di cronaca la diceria secondo la quale il fine era quello di impedire ai cristiani di cibarsi di pesce durante la quaresima ed in generale di cuocere alcuna vivanda con lacqua, la ragione vera, exordium calamitatis eorum, consisteva nei molti debiti che barones cum militibus, cives cum rusticis avevano contratto con loro. Questo spiegava la sollevazione popolare, scoppiata invitis consulibus. Non si tratta certo di una impensabile comprensione umana, visto che la spiegazione introdotta da un Requiescant in inferno! che non lascia il minimo dubbio sull'ostilit dellautore, ma semplicemente di - a suo modo, sintende - obiettivit di giudizio.

Un uguale totale disincanto usa la cronaca nel riferire dei flagellanti. Anche in questo caso la vicenda di Erfurt non sostanzialmente diversa da quella di tanti luoghi dellintera Germania; ma di nuovo una singolarit: Erfurt la sola citt della Turingia in cui i magistrati cittadini, questa volta providi et discreti, hanno impedito alle schiere dei flagellanti di entrare in citt. Ben presto risulta evidente linconsistenza del movimento: manifeste apparuit, quod tota trufa fuerat.

Il resoconto della peste non pu dunque presentarsi che con caratteristiche prevedibili: origini della epidemia analogamente a quanto avvenuto in tutta la Turingia e la Germania, ma, ancora una volta, precipue in Erphordia; intervento dei magistrati cittadini, con la consulenza dei medici, per disciplinare le sepolture; entit dei decessi e durata. Nessuna accusa di colpa rivolta a nessuno. Si tratta di una totalmente asettica, e piuttosto concisa, relazione di un semplice evento, che si aggiunge a quelli che lhanno preceduto, senza pesare di pi, senza suscitare maggiore emozione, in linea con il modo di procedere della citt nellaffrontare qualsivoglia accadimento di interesse comune. La sola esclamazione finale, Requiescant in sancta pace!, il segno di una piet per gli scomparsi - per quanto di maniera - che si era negata agli ebrei uccisi.

 

5.6.        Francesco da Praga

Per Francesco da Praga [287] si deve distinguere: la posizione raggiunta dagli astri era stata la causa naturale determinante della peste; la ragione profonda invece risiedeva nelleccessivo amore per i beni terreni mostrato dagli uomini del tempo. Riteneva che la Boemia fosse stata risparmiata dal flagello perch allora governata da un re giusto, Carlo IV. Il ben ordinato e ben diretto regno di Boemia risaltava ancor di pi se messo a confronto non tanto con i paesi dei barbari, naturalmente, ma perfino con la situazione di Francia e dItalia, dove invece i mali tipici del 1348 erano stati tremendamente efficaci. Il terremoto aveva distrutto Ravenna e Villach, la peste a Venezia e Marsiglia aveva decimato la popolazione; in Boemia il sisma fu appena avvertito, e lepidemia, contrastata dallaria pura, non si era potuta espandere. Anche il caotico movimento dei flagellanti non aveva avuto quellimpatto negativo rivelatosi in Germania. Infine ritiene che dopo lammonimento divino del 1348 la situazione generale migliorata. La lezione della peste era stata chiara e semplice: il buon governo allontana il pericolo dello scatenarsi della ammonizione divina [288].

 

6.    Conclusioni

Se ora tentiamo di ricondurre ad unit quanto abbiamo ripercorso analiticamente - seppure per campioni, visto la spazio a disposizione -, diremmo che la grande pandemia del 1348 signific molto in Europa, per il numero delle vittime e la vastit, tanto da non consentire a nessun cronista, o quasi, di ignorarla; ma sul piano propriamente storiografico ebbe un senso molto meno epocale di quanto si sia creduto e si creda. Le cronache non furono la consolazione retorica della tragedia collettiva che fu la peste. Spesso la grande moria non fu che una occasione, per quanto imprescindibile, per esercitazioni di carattere letterario, pi o meno riuscite. Ma raramente le si attribu un senso storico. Anzi, generalmente venne considerato - per quanto terribile, carico di orrore, drammatico - un episodio, tutto considerato, nello svolgersi delle vicende umane, ben poco significativo.

Se si era trattato di un monito divino, nessuno o quasi aveva colto lavvertimento, e si era tornati rapidamente alla situazione precedente, forse peggio di prima. Se era stato un preannunzio degli ultimi giorni, in definitiva il giudizio finale rimaneva ancora di l da venire. Se era stato il frutto di una mancata vigilanza da parte dei governanti, quegli stessi governanti erano rimasti, ben poco migliori, quando non pi incattivi e incapaci. Chi si era atteso la punizione dei malvagi, ed il premio dei buoni, era rimasto totalmente deluso. La peste era stato un eccesso, come eccessive erano state le reazioni dei flagellanti ed i pogrom antiebraici: la vita civile esige invece quellequilibrio, quella norma, quellordine che proprio lopposto. Se le cronache non possono, per definizione, riferire che quello che emerge dal grigiore della vita quotidiana, il fatto straordinario della peste nella cronaca doveva rimanere straordinario. Per i cronisti i mutamenti economici, sociali e politici - con lunica eccezione di quelli demografici - in atto sono stati poco accelerati dalla malattia, e comunque non ne sono stati sicuramente causati. Per un certo periodo la peste, o meglio il terrore della peste, costituirono una ipoteca psicologica [289], ma in definitiva essa venne considerata un accidente del tutto fortuito, casuale, senza spiegazione scientifica comera, e di impossibile interpretazione religiosa.

Non si previde neppure la possibilit di un ritorno futuro, e quindi non ci si attrezz per lavvenire. Di fronte allirrazionale non ci sono che due possibilit: rimuovere o convivere. I cronisti che furono a ridosso della peste nera cicatrizzarono la ferita e proseguirono oltre; era passato, storia assimilata. Ma non mentirono a se stessi, non fecero il possibile per dimenticare, come invece di frequente si constata accadere oggi, di fronte a quel male del tutto imprevedibile, al di fuori della statistica, che rimane ancora per noi il terremoto [290]. Di fatto videro la peste con gli occhi che avevano, mettendo pi o meno in evidenza le loro debolezze, convinzioni, pregiudizi, idee politiche, morali, modo di ragionare.

Se vogliamo in qualche modo sintetizzare, diremo che in ambiente italiano lattenzione variegata per gli aspetti umani della tragedia prevalente, insieme alla tendenza a giudicare dellincidenza dellepidemia in chiave di funzionalit amministrativa e di etica politica generale, insieme ad una pi o meno accentuata vena esistenziale; nel regno di Francia pi pronunciato linteresse per i grandi movimenti di massa ai quali il timore della peste ha dato origine; in ambiente germanico invece si fa pi scoperta la sensibilit per le interpretazioni pi razionali, controllabili, logiche, che permettano alluomo una qualche possibilit di scelta di comportamento, contrapposta alle terribili ventate emozionali dei movimenti scomposti delle popolazioni.

estremamente arduo ricondurre a poche note esteriori la variet degli approcci al tema; non era possibile dare risposte univoche ad un male rimasto sostanzialmente ignoto, tranne che nella pericolosit. Di fronte alla peste nera il cronista del 1348, privo di modelli anteriori, senza indicazioni di maestri, ecclesiastici o laici, era nudo; nel perenne pericolo di naufragio nei luoghi comuni, si mosse naturalmente con le armi di cultura, carattere ed intelletto di cui era fornito; e cera, allora come oggi, chi era ben armato, chi mediocremente, chi miseramente; chi titubante, chi modesto, chi letterato, chi mercante, chi religioso, chi laico, chi rassegnato, chi ottimista Se nostro compito recuperare le linee di fondo comuni, nel caso del dramma senza confini della peste nera non lecito prescindere in alcun modo dalle reazioni individuali. Una sola cosa certa e, ci pare, incontrovertibile: passata lepidemia, recuperate sanit e funzionalit civile, le cronache trasmisero ai contemporanei - ed ai posteri - unimmagine del male con toni variegati, ma sostanzialmente equilibrati. Il problema metafisico del dolore e della morte di massa aveva avuto soluzioni diverse, pi o meno razionali e credibili; ma non era stata certamente eluso.

 

Gabriele Zanella



[1] Chronicon Estense cum additamentis usque ad annum 1478, edd. G. Bertoni - E. P. Vicini, Rerum Italicarum Scriptores (di qui in avanti: RIS) n. e. 15/3 (1908-37)(di qui in avanti: Chronicon Estense), p. 159, forse ripetendo Patrizio Ravennate Cronica, in A. Calandrini - G. Fusconi Forl e i suoi vescovi I. Appunti e documentazione per una storia della Chiesa di Forl I. Dalle origini al secolo XIV Forl, Centro studi e ricerche sulla antica provincia ecclesiastica ravennate 1985 (Studia ravennatensia 2), p. 1174: Mortalitas magna per totum fere mundum, segnata, per, in capo al 1347.

[2] Andreae Danduli ducis Venetiarum Chronica per extensum descripta a. 46-1280, ed. E Pastorello, RIS n. e. 12/1 (1938-1958), Introduzione, p. XV: Anche il manoscritto originale della Cronaca estesa del Dandolo serba traccia manifesta del flagello dellepidemia. La interruzione improvvisa del testo del libro nono, il mutamento della carta, dellinchiostro, dello scriba e del criterio di numerazione dei capitoli, la ripresa a distanza del primo amanuense, le numerose correzioni stilistiche e le giunte fatte alla copia del sostituto, si riferiscono evidentemente ad un tempo darresto, che, fra il 1344 e il 1352, anno in cui la Cronaca rimase definitivamente sospesa, non pu convenire se non con il semestre della pestilenza del 1347; cf. Georgii et Iohannis Stellae Annales Genuenses, ed. G. Petti Balbi, RIS n. e. 17/2 (1975), p. VI: Per il periodo tra il 1347 e il 1364 assai scarse sono le notizie negli Annali, tanto che possiamo quasi parlare di una lacuna, avvertita pure dal nostro storico, il quale pi volte lamenta di non aver trovato n di aver avuto testimonianza di fatti accaduti in quegli anni.

[3] R. Sprandel Geschichsschreiber in Deutschland 1347-1517, in Mentalitten im Mittelalter. Methodische und inhaltische Probleme, ed. F. Graus, Sigmaringen 1987 (Vortrge und Forschungen 35), pp. 288-89.

[4] Ad esempio per Conforto da Costozza, a proposito della peste del 1387, per cui vedi G. Arnaldi Realt e coscienza cittadine nella testimonianza degli storici e cronisti vicentini dei secoli XIII e XIV, in Storia di Vicenza II Let medievale a cura di G. Cracco, Vicenza 1988, p. 305 nota 44.

[5] R. Romano - A. Tenenti Alle origini del mondo moderno Milano 1967, pp. 9-16 (Storia Universale Feltrinelli 12); F. Graus Vom Schwarzen Tod zur Reformation. Der krisenhafte Charakter des europischen Sptmittelalters, in Revolte und Revolution in Europa, ed. P. Blickle, Mnchen 1975 (Historische Zeitschrift, Beiheft 4), pp. 10-30.

[6] A. Borst Il terremoto del 1348, prefaz. di R. Delle Donne, Salerno 1988, p. 28: I sopravvissuti si flagellavano per penitenza fino a far sprizzare il sangue, o si ubriacavano alla buona vendemmia del 1349 fino a picchiarsi lun laltro, che parafrasa e cita la Continuatio Novimontensis, ed. W. Wattenbach, Monumenta Germaniae historica (di qui in avanti: MGH) Scriptores (di qui in avanti: SS) 9 (1851 (=1983)), pp. 671-76, in particolare p. 676: Optima vina ubique provenerunt, et de ipso utentibus indiscrete, omnes quasi amenciam contraxerunt, ita ut absque causa se verberarent atque male tractarent, dove per pare di dover intendere che la violenza degli ebbri si rivolgesse contro di s, piuttosto che vicendevolmente.

[7] Giovanni Villani Nuova Cronaca, III (Libri XII-XIII), ed. G. Porta, Parma, Fondazione Pietro Bembo - Ugo Guanda 1991 (di qui in avanti: G. Villani), XIII, cxxiii, p. 566: E nota, lettore, che lle sopraddette rovine e pericoli di tremuoti sono grandi segni e giudici di Dio, e non sanza gran cagione e permessione divina, e di quelli miracoli e segni che Ges Cristo vangelizzando predisse a suoi discepoli che dovieno apparire alla fine del secolo. Su questidea del Villani vedi M. Haeusler Das Ende der Geschichte in der mittelalterlichen Weltchronistik Archiv fr Kulturgeschichte 13 (1980) Beihefte, p. 143. Vedi anche ad esempio Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso detta la Cronaca Maggiore, edd. A. Lisini - F. Iacometti, RIS n. e. 15/6 (1939)(di qui in avanti: Agnolo), p. 555: ognuno credea che fusse finemondo; Die Oberrheinische Chronik, ed. H. Maschek, in Deutsche Chroniken, Leipzig 1936 (Deutsche Literatur. Sammlung literarischer Kunst- und Kulturdenkmler in Entwicklungsreihen, Realistik des Sptmittelalters 5), p. 64; Die Chronik des Johanns von Winterthur, edd. F. Baethgen - C. Brun, MGH SS n. s. 3 (19552) (di qui in avanti: Giovanni di Winterthur), p. 276; e via via fino al Sercambi: Le croniche di Giovanni Sercambi, I, ed. S. Bongi, Lucca 1892 (Fonti dellIstituto Storico Italiano (di qui in avanti: FSI) 19)(di qui in avanti Sercambi), p. 96: E per ciascuno fu stimato essere la fine del mondo, e ben oltre, nel ricordo dei posteri.

[8] Borst Il terremoto del 1348, p. 20. Che la peste non sia affatto la ragione principe della crisi armai abbondantemente provato ed accettato; cf. A. Frugoni G. Villani, Cronica, XII, 94, Bullettino dellIstituto Storico Italiano e Archivio Muratoriano 77 (1965), p. 248: invece era s in corso, anche senza accompagnarsi alla improbabile regressione demografica, una profonda crisi politica ed economica con rimando (non solo fiorentina) a E. Perroy, lorigine dune conomie contracte. Les crises du XIVe sicle Annales E. S. C. 1 (1949), pp. 167-87; cf. ancora A. Higounet-Nadal Prigueux aux XIVe e XVe sicles. tude de dmographie historique Bordeaux 1978, pp. 146-47, con rimando, oltre che al Perroy, anche a R. Cazelles La peste de 1348-1349 en Langue dOl. Epidmie proltarienne et enfantine, Bull. Phil. et Hist. du Comit des travaux historiques 1965, pp. 293-305. Vedi infine G. Cherubini La crisi del Trecento. Bilancio e prospettive di ricerca Studi storici 15 (1974), pp. 660-70.

[9] Ad es. Annales Frisacenses. Continuatio, ed. L. Weiland, MGH SS 24 (1879 (=1975)), p. 67.

[10] S. Krger Krise der Zeit als Ursache der Pest? Der Traktat De mortalitate in Alamannia des Konrad von Megenberg, in Festschrift fr Hermann Heimpel, 2, Gttingen 1972, pp. 839-83. Il resoconto cronistico di Gabriele de Mussi, Historia de morbo sive mortalitate quae fuit anno Domini MCCCXLVIII, fu edito per primo da H. Haeser in Archiv fr die gesammte Medizin, II., Dokumente zur Geschichte des schwarzen Todes, ed. A. W. Henschel, Berlin 1842, pp. 26-59, e poi pi volte; da ultimo (ma in realt trascrivendo e trascegliendo dalla edizione Haeser, in Geschichte der epidemischen Krankheiten, Jena 1865, Anhang VIII., pp. 17-23) in A. G. Tononi La peste dellanno 1348, Giornale Ligustico 11 (1884), pp. 144-52; vedi anche V. J. Derbes De Mussis and the Great Plague of 1348, a forgotten episod of bacteriological warfare Journal of American Medical Association 196,1 (1966), pp. 59-62; nulla in proposito in Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola (secc. IX-XV), introd. di A. Vasina, Roma 1991 (Nuovi studi storici 11).

[11] Franciscus Pragensis Cronica Boemorum regum, ed. J. Emler, Fontes Rerum Bohemicarum 4 (1884) (di qui in avanti: Franciscus Pragensis), pp. 449-50.

[12] E. Carpentier Une ville devant la peste. Orvieto et la Peste Noire de 1348 Paris 1962 (Ecole pratique des hautes tudes - VIe section. Centre des recherches historiques. Dmographie et socits VII), p. 100; cf. anche pp. 121-36.

[13] Higounet-Nadal Prigueux aux XIVe e XVe sicles, p. 146: la mentalit de lՎpoque refusait de parler de la peste.

[14] Discorso historico con molti accidenti occorsi in Orvieto et in altre parti principiando dal 1342 sino al 1368 o Ephemerides Urbevetane, ed. L. Fumi, RIS n. e. 15/5,1 (1902-20)(di qui in avanti: Discorso historico), p. 35; Carpentier Une ville, 193-94; J.-N. Biraben Les hommes et la peste en France et dans les pays europens et mditerranens, voll. 2, Paris - La Haye 1975-76 (Civilisations et Socits 35-36), 2, p. 69, ma la peste gi finita da un pezzo.

[15] A puro titolo esemplificativo, trascegliendo da un materiale abbondantissimo, Julianus Canonicus Civitatensis Chronica, ed. G. Tambara, RIS n. e. 24/14 (1906), p. 57: Anno Domini MCCCXLVIII, die xxv januarii, circa horam vespertinam, fuit terremotus magnus, qualis non fertur in aliquibus scripturis. Eodem quoque anno iam incepta pestilentia; Cronica de Ducibus Bavariae, ed. G. Leidinger, in Chronicae Bavaricae saeculi XIV, MGH Scriptores rerum germanicarum (di qui in avanti: SRG) in us. schol. 19 (1918), p. 171: Anno Domini MCCCXLVIII in conversione sancti Pauli factus est hora vespertina terremotus magnus, qui in diversis mundi partibus diversas evertit civitates. Eodem anno, videlicet MCCCXLVIII, sevire cepit in Bavaria et Bohemia et Austria illa magna pestilencia; ancora pi indicativo, per lasettico accostamento, lintegro paragrafo che lautore degli Annales Mellicenses, ed. W. Wattenbach, MGH SS 9 (1851 (=1983)) p. 513, dedica allanno 1348: In festo conversionis sancti Pauli, hora quasi vespertina, terremotus factus est magnus, et in Karinthia Villacum et plures civitates et castra cum hominibus perierunt. Item eodem anno tanta pestilencia invaluit in Ytalia et in Provincia, quod vix duodecimus homo remansit; incendia etiam plurima fuerunt.

[16] Per le Storie Pistoresi, ed. S. A. Barbi, RIS n. e. 11/5 (1907-27)(di qui in avanti: Storie Pistoresi), p. 235, gli anni 1347 e 1348 sono accumunati da fame e di pistilenziosa mortalitade per tutto lo mondo. Vedi anche F. Graus Pest, Geiler, Judenmorde. Das 14. Jahrhundert als Krisenzeit, Gttingen 1987 (Verffentlichungen des Max-Plank-Instituts fr Geschichte 86), pp. 15-16 nota 11. Il legame tra carestia e peste si trova anche esplicitamente in alcuni trattati medici di poco successivi: K. Sudhoff Pestschriften aus den ersten 150 Jahren nach de Epidemie des schwarzen Todes 1348, Archiv fr Geschichte der Medizin 17 (1925), p. 55.

[17] XII, lxxxiii-lxxxiv.

[18] V. Rutenburg Popolo e movimenti popolari nellItalia del 300 e 400, introd. di R. Manselli, Bologna 1974, p. 71.

[19] Storie Pistoresi, p. 224.

[20] A. Corradi Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1860, I, Bologna 1865 (= 1973), pp. 477-78; Carpentier Une ville, pp. 81-82; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 135.

[21] Corradi Annali, p. 479; Carpentier Une ville, pp. 82-83.

[22] Non si tratta neppure di fenomeno limitato alla met del Trecento: cf. B. Figluolo Il terremoto del 1456, Altavilla Silentina 1988-89 (Storia e scienze della terra 1), 1, pp. 3-17: La spirale maltempo-carestia-pestilenza.

[23] E non una trovata recente: gi Leonardo Bruni legava strettamente carestia e peste; lha indicato per primo M. Meiss Pittura a Firenze e Siena dopo la morte nera. Arte, religione e societ alla met del Trecento, Torino 1982, p. 138.

[24] Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nellItalia del Rinascimento, Bologna 1985.

[25] Annales Frisacenses. Continuatio, p. 67; Borst Il terremoto del 1348, p. 23.

[26] Cronaca Senese dei fatti riguardanti la citt e il suo territorio di autore anonimo del secolo XIV, edd. A. Lisini - F. Iacometti, RIS n. e. 15/6 (1939)(di qui in avanti: Cronaca Senese), pp. 148-49.

[27]Chronique latine de Guillaume de Nangis de 1113 1300 avec les continuations de cette chronique de 1300 1368, ed. H. Graud, Paris 1853, 2 (di qui in avanti: Jean de Venette), p. 215.

[28] Graus Pest, Geiler, Judenmorde, pp. 30-31.

[29] Borst Il terremoto del 1348, p. 28: Nella mente dei testimoni oculari si imprimeva per sempre ci che i moderni specialisti cos difficilmente comprendono: le catastrofi non si lasciano accuratamente ripartire in fisiche, epidemiche, tecnologiche, politiche, sociali. Esse devastano la vita delluomo nel suo complesso.

[30] Continuatio Novimontensis, p. 676.

[31] Borst Il terremoto del 1348, pp. 33-35; C. Vasoli Umanesimo ed escatologia, in Lattesa della fine dei tempi nel Medioevo, a cura di O. Capitani e J. Miethke, Bologna 1990 (Annali dellIstituto storico italo-germanico, Quaderno 28), p. 252.

[32] F. Petrarca Le senili, ed. G. Martellotti, Torino 1976, pp. 92-98.

[33] U. Dotti Vita di Petrarca Roma-Bari 1987, pp. 194-210, in particolare p. 210: possibile risposta al male del mondo, lideale del savio che vive contento di pochi amici, della comunit dinteressi con loro e della comune serenit di propositi e di pensieri.

[34] H. Baron La crisi del primo Rinascimento italiano. Umanesimo  civile e libert repubblicana in unet di classicismo e tirannide Firenze 1960 (o 1970?), p. 115. Gi nel 1860 J. Burckhardt (adopero la trad. it., La civilt del Rinascimento in Italia Firenze, Sansoni 1968), inseriva il suo breve paragrafo sulla peste (pp. 76-77) nel capitolo Ritardo del Rinascimento. Cf. il legame accolto, a segnare il 1347, lanno pi nero per leconomia della penisola e anche per molta parte dEuropa, da Capitani nella Introduzione a M. Mollat I poveri nel Medioevo introd. di O. Capitani, Bari 1981, pp. XXIX-XXX, tra laccumulo di congiunture sfavorevoli: carestie, turbe meteorologiche e, naturalmente, la peste nera, le congiunture sfavorevoli economiche e la vicenda di Cola.

[35] A. Barbero Il mito angioino nella cultura italiana e provenzale fra Duecento e Trecento Torino 1983 (Biblioteca storica subalpina 201), p. 162.

[36] Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 72.

[37] Per cui rimando a W. H. McNeill, La peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dallantichit allet contemporanea, Torino 1982; J. Ruffie - J. C. Sournia Le epidemie nella storia, Roma 1985, ed ora al lavoro di I. Naso in questo stesso volume.

[38] Th. Rahe Demographische und geistig-soziale Auswirkungen der Pest von 1348-1350 Geschichte in Wissenschaft und Unterricht 35 (1984), pp. 125-44. Significativo comunque che L. Del Panta Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX) Torino 1980, pp. 28-31 non consideri neppure fugacemente le cronache tra le Fonti per lo studio delle crisi di mortalit; nel paragrafo immediatamente successivo, Lo studio delle crisi con dati parziali o incompleti, alle pp. 31-33, si fa cenno a mo di esempio, ad un cronista, ma proprio per concludere che le fonti annalistiche e cronachistiche possono avere una qualche validit su questo piano specifico solamente se trovano conferma statistica; osservazione del tutto analoga fa Capitani nella sua Introduzione al Mollat I poveri nel Medioevo, p. XXXIII, a proposito di Matteo Villani. Una completa svalutazione delle cifre fornite dai cronisti a proposito dei morti nella peste del 1348 in Del Panta Le epidemie nella storia, a p. 114. Posizione analoga assunta da R. Comba La demografia nel Medioevo, in La Storia. I. Il Medioevo. 1. I quadri generali Torino, UTET 1988, p. 8. A. M. Nada Patrone Alimentazione e malattie nel Medioevo, ibid., p. 38, sottolinea invece la straordinaria indifferenza alle grandi crisi del loro tempo da parte dei cronisti ed annalisti (ad eccezione, per il basso medioevo, di Boccaccio, Chaucer e William Langland) e di quasi tutti gli uomini di cultura che, seppur memorizzano un evento epidemico, lo descrivono in modo molto fatalistico. Questo atteggiamento pu far supporre una sorta di rassegnata abitudine alla tragedia, di dura consuetudine con la morte, dovute forse alle limitate possibilit e speranze di sopravvivenza delluomo medievale. Per converso gli unici tipi di fonti utilizzabili per tracciare una mappa delle malattie nel medioevo sono le fonti narrative, agiografiche ed iconografiche (p. 42). E. Carpentier Autour de la Peste Noire: famines et pidmies dans lhistoire du XIVe sicle Annales E. S. C. 17 (1962), pp. 1062-92, propone in maniera quasi esclusiva la via da lei percorsa: quella delle ricerche locali. Vedi ora il lavoro di R. Comba in questo stesso volume.

[39] Per cui vedi per indicazioni di largo respiro, che interessano anche i cronisti, lintero volume Mentalitten im Mittelalter, ma in particolare F. Graus Mentalitt - Versuch einer Begriffsbestimmung und Methoden der Unterschung, pp. 9-48, e R. E. Lerner The Black Death and Western European Eschatological Mentalities The American Historical Review 86 (1981), pp. 533-52.

[40] Carpentier Une ville, p. 7: il sagit le plus souvent de raconter lhistoire de la peste dans une ville ou dans un pays. Quand a-t-elle commenc? Combien de temps a-t-elle dur? Quand a-t-elle fini? A-t-elle eu des rsurgences? Quelle descriptions, quels tmoignage possde-t-on sur elle? Quelles sont ses victimes clbres? Parfois, la recherche prend plus dampleur: do est venue la peste? Par quel chemin?.

[41] Carpentier Une ville, p. 9, e dopo di lei di W. M. Bowsky The impact of the Black Death upon Sienese Government and Society Speculum 39 (1964), pp. 1-34, e di R. W. Emery The Black Death of 1348 in Perpignan ibid. 42 (1967), pp. 611-23. In generale vedi N. Bulst Der Schwarze Tod. Demographische, wirtschafts- und kulturgeschichtliche Aspekte der Pestkatastrophe von 1347-1352. Bilanz der neueren Forschung Saeculum 30 (1979) pp. 45-67.

[42] D. Herlihy Pistoia nel Medioevo e nel Rinascimento Firenze 1972, pp. 125-41 fornisce una bella rassegna delle incertezze e dei problemi irrisolti posti dalla descrizione dei sintomi della peste.

[43] Cf. Carpentier Une ville, p. 164: quelle est exactement la place de la Peste noire dans ces deux sicles de dclin du Moyen Age, de dcadence de lՎconomie europenne, de crises du XIVe sicle?; vedi anche L. Febvre La peste noire de 1348 Annales E. S. C. 4 (1949) pp. 102-03; F. Keyser Die Pest in Deutschland und ihre Erforschung, in Actes du Colloque international de Dmographie historique, Lige, 1963: Problmes de mortalit. Mthode, sources et bibliographie en dmographie historique Lige 1965, pp. 369-77.

[44] Giovanni di Pagolo Morelli Ricordi, ed. V. Branca, Firenze 1956, pp. 287-92.

[45] V. Branca Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron Firenze 19928, p. 33.

[46] Ibid., p. 39.

[47] Ibid., p. 34 e nota 2.

[48] Ibid., pp. 34-35, ma vedi anche losservazione successiva (p. 35): Levocazione della peste non solo poggia su una tradizione tanto serrata e autorevole nella retorica medievale da costituire quasi una ekphrasis canonica.

[49] Ibid., p. 37.

[50] F. Cardini Il Decameron: un Genesi laico? Le dieci giornate della rifondazione cavalleresca del mondo, in Cardini De finibus Tuscie. Il Medioevo in Toscana Firenze 1989, p. 185: Il Boccaccio fa nascere loccasione del Decameron proprio dal destrutturarsi drammatico di tutta una societ e in modo particolare di tutto un ceto dirigente; p. 186: E, con la peste, quella rovina sembrava un fatto consumato ormai irrimediabilmente. Non era solo la rovina dun grande centro, con la sua potenza politica e i suoi traffici. Era, soprattutto la rovina dun Way of life, che si esprimeva attraverso il rilassamento dei freni morali, il disinteresse per lo stesso lavoro e le stesse ricchezze, infine la rottura dei legami di parentela, al punto che lun fratello laltro abbandonava e il zio il nepote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e, che maggior cosa e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.

[51] G. Getto La peste del Decameron e il problema della fonte lucreziana, in Getto Immagini e problemi di letteratura italiana Milano 1966, pp. 49-68.

[52] Adopero G. Boccaccio Decameron, a cura di V. Branca, Torino 19926.

[53] Adopero Paolo Diacono Historia Langobardorum, edd. L. Bethmann - G. Waitz, MGH Scriptores Rerum Langobardicarum et Italicarum (1878), che comunque qui non differisce dalled. Crivellucci, di cui si serve il Branca.

[54] Agnolo, p. 552.

[55] Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe, Trieste 1857 (di qui in avanti: M. Villani), I, 2.

[56] Marchionne di Coppo Stefani Cronaca fiorentina, ed. N. Rodolico, RIS n. e. 30/1 (1903-55)(di qui in avanti: Marchionne), p. 230.

[57] Marco Battagli da Rimini Marcha, ed. A. F. Massra, RIS n. e. 16/3 (1912-13)(di qui in avanti: Battagli), p. 54.

[58] Chronica abreviata fr. Johannis de Cornazano, in Chronica parmensia a sec. XI. ad exitum sec. XIV, ed. L. Barbieri, Parma 1858 (di qui in avanti: Chronica abreviata), p. 386. Su di essa vedi Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola, pp. 259-61.

[59] Storie Pistoresi, p. 235.

[60] P. Azario Liber gestorum in Lombardia, ed. F. Cognasso, RIS n. e. 16/4 (1925-39), p. 1.

[61] Cronaca inedita di Giovanni da Parma canonico di Trento, in A. Pezzana Storia della citt di Parma, I, Appendice, Parma, 1837 (=Bologna, Forni 1971) (di qui in avanti: Giovanni da Parma), p. 51.

[62] Breve Chronicon Flandriae, ed. J. J. De Smet, Corpus Chronicorum Flandriae 3 (1856) (di qui in avanti: Breve Chronicon Flandriae), p.16.

[63] P. G. Molmenti La storia di Venezia nella vita privata. Dalle origini alla caduta della Repubblica, 1, Trieste1973, pp. 415-16.

[64] Getto La peste del Decameron, p. 65: La peste costituiva insomma un vero e proprio topos, un tema letterario a elementi obbligati, unekphrasis canonica; p. 66: Con lesperienza personale della peste, o comunque con le notizie che di essa o di particolari di essa potevano fornirgli i suoi contemporanei, il Boccaccio non doveva certo sentire la necessit di ricorrere ai classici per nutrire di nuovi dati il suo racconto. Dei classici egli aveva bisogno, soprattutto, per risolvere un problema di calcolata arte retorica; p. 68: unoccasione, anche, per svolgere un alto esercizio di arte retorica.

[65] G. Villani, XII, lxxxiv, pp. 486-88: Ma infinita mortalit, e che pi dur, fu in Turchia, e in quelli paesi doltremare, e fra Tarteri. E avvenne tra detti Tarteri grande giudicio di Dio e maraviglia quasi incredibile, e ffu pure vera e chiara e certa, che tra l Turigi e l Cattai nel paese di Parca, e oggi di Casano signore di Tarteri in India, si cominci uno fuoco uscito di sotterra, overo che scendesse da cielo, che consum uomini e bestie, case, alberi, e lle pietre e lla terra, e vennesi stendendo pi di xv giornate atorno con tanto molesto, che chi non si fugg fu consumato, ogni criatura e abituro, istendendosi al continuo. E gli uomini e femine che scamparono del fuoco, di pistolenza morivano. E alla Tana, e Tribisonda, e per tutti que paesi non rimase per la detta pestilenza de cinque luno, e molte terre vi sabandonaro tra per pestilenzia, e tremuoti grandissimi, e folgori. E per lettere di nostri cittadini degni di fede cherano in que paesi, ci ebbe come a Sibastia, piovvono grandissima quantit di vermini grandi uno sommesso con viii gambe, tutti neri e coduti, e vivi e morti, che apuzzarono tutta la contrada, e spaventevoli a vedere; e cui pugnevano, atossicavano come veleno. E in Soldania, in una terra chiamata Alidia, non rimasono se non femmine, e quelle per rabbia manicaro luna laltra. E pi maravigliosa cosa e quasi incredibile contaro avvenne in Arcaccia, uomini e femine e ogni animale vivo diventarono a modo di statue morte a modo di marmorito, e i signori dintorno al paese pe detti segni si propuosono di convertire alla fede cristiana; ma sentendo il ponente e paese di Cristiani tribolati simile di pistolenze, si rimasono nella loro perfidia. E a porto Talucco, inn una terra chha nome Lucco invermin il mare bene x miglia fra mare, uscendone e andando fra terra fino alla detta terra, per la quale amirazione assai se ne convertirono alla fede di Cristo. E stesesi la detta pistolenza infino in Turchia e Grecia, avendo prima ricerco tutto Levante i Misopotamia, Siria, Caldea, Suria, Cipro, il Creti i Rodi, e tutte lisole dellArcipelago di Grecia, e poi si stese in Cicilia, e Sardigna, Corsica, ed Elba, e per simile modo tutte le marine e riviere di nostri mari; e otto galee di Genovesi cherano ite nel mare Maggiore, morendo la maggior parte, non ne tornarono che quattro galee piene dinfermi, morendo al continuo; e quelli che giunsono a Genova, tutti quasi morirono, e corruppono s laria dove arivavano, che chiunque si riparava co lloro poco apresso morivano. Ed era una maniera dinfermit, che non giacia luomo iii d, aparendo nellanguinaia o sotto le ditella certi enfiati chiamati gavoccioli, e tali ghianducce, e tali gli chiamavano bozze, e sputando sangue. E al prete che confessava lo nfermo, o guardava, spesso sapiccava la detta pistilenza per modo chogni infermo era abandonato di confessione, sagramento, medicine e guardie. Per la quale sconsolazione il papa fece dicreto, perdonando colpa e pena a preti che confessassono o dessono sagramento alli infermi, e lli vicitasse e guardasse. E dur questa pestilenza fino a , e rimasono disolate di genti molte province e cittdini []. E tali son fatti i giudici di Dio per pulire i peccati de viventi.

[66] Buccio di Ranallo Cronaca Aquilana, ed. V. De Bartholomaeis, Roma 1907 (FSI 41), pp. 180-86.

[67] M. Villani, I, 2: Avemmo da mercatanti genovesi, uomini degni di fede, che avevano avute novelle di que paesi, che alquanto tempo innanzi a questa pestilenzia, nelle parti dellAsia superiore usc della terra ovvero cadde dal cielo un fuoco grandissimo, il quale stendendosi verso il ponente, arse e consum grandissimo paese senza alcuno riparo. E alquanti dissono che del puzzo di questo fuoco si genr la materia corruttibile della generale pestilenzia: ma questo non possiamo accertare; Die Oberrheinische Chronik, pp. 64-65; Chronicon Estense, p.160: Eodem millesimo et diebus, pluit ignis maximus de celo in partibus Imperii, quod est inter Cathayum et Persidam, et cecidit in forma nivis et combursit montes, terras et alia loca, homines et feminas, et deducebat fumum maximum, quem qui adspiciebat, moriebatur in spatio medii diei; et similiter si aliquis vel aliqua respiciebat illos, qui fumum viderant, etiam moriebatur. Accidit tunc, quod decem galie transibant partes illas, quarum due de Januensibus, scilicet homines respicientes illos qui viderant dictum fumum, mori ceperunt etiam; tamen conduxerunt eas Constantinopolim et Peram. Tunc cives dictarum civitatum loquentes cum illis existentibus super galias, statim moriebantur; Continuatio Novimontensis, p. 674 (codex Novimontensis): Non longe ab illa regione accidit, quod terribilis ignis de celo fulminavit, et ea que reperit consumpsit; lapides vero virtute illius ignis ita ardebant ac si in arida ligna fuissent mutati. Fumus inde procedens erat valde contagiosus, ita ut mercatores a longe ipsum intuentes statim inficerentur; nonnulli ex eis eciam vitam ibidem finierunt. Qui autem evaserunt, pestilenciam secum deportaverunt.

[68] M. Villani I, 2: Appresso sapemmo da uno venerabile frate minore di Firenze vescovo di del Regno, uomo degno di fede, che sera trovato in quelle parti dovՏ la citt di Lamech ne tempi della mortalit, che tre d e tre notti piovvono in quello paese bisce con sangue che appuzzarono e corruppono tutte le contrade: e in quella tempesta fu abbattuto parte del tempio di Maometto e alquanto della sua sepoltura; Continuatio Novimontensis, p. 674 (codex Novimontensis): Insuper in partibus ubi zinziber nascitur letalis pluvia descendit, mixta cum serpentibus et diversis vermibus pestiferis; et cunctos quos tetigit continuo extinxit. Il Chronicon Estense, p. 160, riporta la notizia, ma non la mette in relazione con la peste successiva: Eodem millesimo, in partibus Captay pluit in maxima copia vermium et serpentium qui devoraverunt maximam quantitatem gentium et quoscumque homines, homines vel feminas, tangebat aqua, subito moriebantur.

[69] A. Coville Ecrits contemporains sur la peste de 1348 1350 Histoire littraire de la France 37 (1937), pp. 340-51; Biraben Les hommes et la peste, 2, pp. 9-10.

[70] N. Rubinstein The Beginnings of Political Thought in Florence, A Study in Medieval Historiography Journal of the Warburg and Courtauld Institute 5 (1942), pp. 198-227.

[71] Das Buch der Natur von Konrad von Megenberg. Die erste Naturgeschichte in deutscher Sprache, ed. F. Pfeiffer, Stuttgart 1861.

[72] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Anno Domini MCCCXLI prima die mensis Marcii ingressus est Saturnus primum punctum capricorni, et tunc iniciabatur pestilencia illa magna, quam totus expertus est mundus.

[73] Chronique et Annales de Gilles le Muisit, abb de Saint-Martin de Tournai (1272-1352), ed. M. H. Lematre, Paris 1905 (di qui in avanti: Gilles le Muisit), pp. 238-39; Jean de Venette, pp. 179-80; Chronique de Jean Le Bel, edd. J. Viard - E. Dprez, 1-2, Paris 1904-05 (di qui in avanti: Jean Le Bel), 1, p. 225; Chronicon comitum Flandrensium, ed. J. J. De Smet, in Corpus Chronicorum Flandriae 1 (1837), p 227; Breve Chronicon Flandriae, p. 18.

[74] Jean de Venette, pp. 210-11; vedi anche P. Cochon Chronique normande, ed. Ch. de Robillard de Beaurepaire, Socit de lhistoire de Normandie 1870, pp. 71-72; Biraben Les hommes et la peste, II, pp. 12-13.

[75] G. Villani, XIII, xcviii, p. 510: Nel detto anno, del mese d'agosto, aparve in cielo la stella commeta [] e ingener grande mortalit ne' paesi che il detto pianeto e segno signoreggiano; e bene il dimostr inn Oriente e nelle marine d'intorno, come dicemmo adietro.

[76] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 20.

[77] Ibid., p. 39.

[78] Ad es. Jean de Venette, p. 212; Die Chronik des Hugo von Reutlingen Forschungen zur Deutsche Geschichte 21 (1881), pp. 49-50; Sercambi, p. 96: Et era s corrocta laire, che in qualunqua luogo huomo andava, la morte il giungea; altri rimandi in Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 20.

[79] Vedine la rassegna in Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 25; Jean de Venette, pp. 212-13, che per vi aggiunge anche linquinamento delle acque da parte dei giudei.

[80] Liber regiminum Padue, ed. A. Bonardi, RIS n. e. 8/1 (1903-07), p. 368: in annis MCCCXLVIII die XXV ianuarii hora XXIII fuit ingens terraemotus qui duravit per dimidium horae, post quem pestis inaudita mare transivit, et evolavit de Venetiis in omnes occidentis provincias, et denique in universum orbem.

[81] Carpentier Une ville, p. 197; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 16.

[82] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Unde autem eadem pestilencia causaretur vel quomodo ei succurrendum esset, nullus potuit medicus invenire.

[83] Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 53.

[84] Non si pensi che il de Mussi riferisca di cose viste personalmente, perch stato mostrato dal Tononi, p. 142, che tra 1346 e 1356 egli era attivo nella sua professione di notaio con continuit a Piacenza.

[85] Vedi supra nota 65; cf. Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 53.

[86] Chronica abreviata, pp. 385-86.

[87] Chronicon Estense, p. 160; Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168.

[88] Breve Chronicon Flandriae, p. 14; Continuatio Novimontensis, p. 674.

[89] Agnolo, p. 555: questo morbo sattachava collalito e co la vista pareva; Liber regiminum Padue, p. 368: in solo visu, vel anhelitu omnes interrimebat; cf. Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 22.

[90] Ad es. Marchionne p. 230: Lo segno era questo, che, o tra la coscia e l corpo al modo (nodo?) danguinaia, o sotto lo ditello apparia un grossetto, e la febbre a un tratto, e quando sputava, sputava sangue mescolato colla saliva, e quegli che sputava sangue niuno ne campava; Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Invasit autem homines et in lectos prostravit aliquando per nimum calorem, aliquando per frigus, aliquando per capitis dolorem, inter que glandes erumpebant in corporibus eorum et crescebant aliquibus sub humeris, aliquibus in ingwine, aliquibus in coxis, quarum tamen multe evanescentes aut saniem emittentes mortem hominibus non intulerunt; cf. Carpentier Une ville, p. 114; Molmenti La storia di Venezia, pp. 415-16; Biraben Les hommes et la peste, 2, pp. 43, 46.

[91] Annales S. Albini Andegavensis, ed. L. Halphen, Cocllection de textes pour servir lՎtude et lenseignement de lhistoire 37 (1903) (di qui in avanti: Annales S. Albini Andegavensis), pp. 39-41; Biraben Les hommes et la peste, 2, pp. 43-44, 46.

[92] Marchionne p. 230: fu di tale terrore e di tanta tempesta, che nella casa dove sappigliava chiunque serva niuno malato, tutti quelli che lo serviano, moriano di quel medesimo male, e quasi niuno passava lo quarto giorno; Boccaccio Decameron Introduzione 13: quasi tutti infra l terzo giorno dalla apparizione de sopra detti segni, chi pi tosto e chi meno e i pi senza alcuna febbre o altro accidente, morivano, cf. Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 48.

[93] Annales Urbisveteris, ed. L. Fumi, RIS n. e. 15/5,1 (1902-20), p.197.

[94] Come chiarisce bene la rubrica del Battagli, p. 54: De mortalitate universali per totum orbem; espressione ricorrente.

[95] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Quam magna autem seu seva fuerit in popularibus civitatibus atque villis, si scribatur, incredibile estimatur.

[96] Agnolo, p. 555: E morivano quasi di subito e favellando cadevano morti e non valea n medicina n altro riparo; e quanti ripari si facea parea che pi presto morissero; Discorso historico, pp. 25-26: et la mattina erano sani et laltra matina morti; Carpentier Une ville, p. 113; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 55.

[97] Gilles le Muisit, p. 238; Jean de Venette, p. 179-80; Chronicon comitum Flandrensium, p. 227; Die Chronik Heinrichs Taube von Selbach mit den von ihm verfaten Biographien Eichsttter Bischfe, ed. H. Bresslau, MGH SS n. s. 1 (1922), pp. 75-76.

[98] Carpentier Une ville, p. 162; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 55, nota a riprova che, sulla scorta degli studi di K. Sudhoff, di contro alla totale assenza di trattati medici sulla peste prima del 1348, con una unica eccezione nel 1340, sono stati pubblicati circa trecento trattati in merito risalenti al periodo tra 1348 e 1500; Nada Patrone Alimentazione e malattie nel Medioevo, p. 39: le opere mediche sulle epidemie si infittiscono proprio a partire dal fatidico 1348.

[99] Jean de Venette, p 214.

[100] Ad es. Sagacio e Pietro de Gazata Chronicon Regiense, RIS 18 (1731), col. 66: De hoc morbo non possem scribere horribilitates, et crudelitates, et obscuritates, quae fuerunt.

[101] Sei mesi sono la norma per Giovanni da Parma, p. 52. A Pisa (Agnolo, p. 553) dur questa mora 5 mesi; a Siena per uno (Cronaca Senese, p. 148): bast tre mesi, giugnio, luglio e agosto; ma per Agnolo, p. 555: La mortalit cominci in Siena di magio E cos dur in fino a settembre; ad Orvieto (Discorso historico, pp. 25-26) dur questa mortalit finamente a calenne di septembre, dai primi di maggio; a Firenze per M. Villani da aprile a settembre, per Marchionne (p. 230) da marzo a settembre; per le Storie Pistoresi, p. 235 dur l nfert pi di IIII mesi continui; a Bologna da marzo a settembre; a Venezia da febbraio ad agosto per alcuni (Pastorello Introduzione, p. XIV), ma per altri il canonico semestre: Molmenti La storia di Venezia, pp. 415-16 ; per il Battagli, p. 55, dovunque da febbraio ad Ognissanti, primo di novembre; ad Avignone dur sette mesi secondo la testimonianza di Guy de Chauliac (Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 45), ma il culmine si ebbe tra gennaio ed aprile (Breve Chronicon Flandriae, p. 14); a Vienna dalla Pentecoste del 1349 (31 maggio) a S. Michele (29 settembre) (Continuatio Novimontensis, p. 676).

[102] A Padova e distretto secondo il Liber regiminum Padue, p. 368: tertia pars defecit; a Pisa per Agnolo, p. 553, stimasi che ne morisse de 5 e 4, ed a Piombino morivi e 3 quarti de le persone, ma per Pisa cf. A. Feroci La peste bubonica in Pisa nel Medio Evo e nel 1630 Pisa 1893, p. 13: secondo lanonimo qui pubblicato la mortalit colp il 70% della popolazione; Agnolo, p. 555: in tutto si trova che ne la citt e borghi di Siena morisse 80m persone, ch in questo tenpo facea Siena e li borghi pi di 30m omini, e rimase Siena a meno di X mila omini; il 75% nelle Venezie, risultava allautore della Continuatio Novimontensis, p. 674, e lo stesso a Siena per la Cronaca Senese, p. 148; Agnolo, p. 553: A Milano mor poca gente, inperoch mor 3 fameglie; ad Orvieto per il Discorso historico, pp. 25-26, contasi, che delle dieci parti ne morissero le nove parti; per gli Annales Urbisveteris, p. 197, creditur quod medietas hominum obierit; a Firenze per M. Villani de cinque i tre e pi, il 60%, soprattutto tra gli strati inferiori, con la nota, tipica di Matteo, che sempre vede in chiave cosmica, nel generale per tutto il mondo manc la generazione umana per simigliante numero; 96.000 i morti per Marchionne, 100.000 per Boccaccio; A. B. Falsini Firenze dopo il 1348 Archivio Storico Italiano 129 (1971), p. 436, ritiene che ci si possa avvicinare alla verit ammettendo presenti in Firenze, prima della peste, poco pi di 90.000 abitanti e, subito dopo la peste, poco meno di 50.000 abitanti. A Venezia le vittime erano state prossime a 100.000 per il Battagli, pp. 54-55, ed il Liber regiminum Padue, p. 368; ad Avignone per le Storie Pistoresi, p. 235, pi di 120.000, per Giovanni di Winterthur, p. 275, 16.000 in un mese; a Pisa (Storie Pistoresi, p. 236) pi di 25.000, ed a Parigi 1.573 morti il solo 13 marzo. Per gli Annales Mellicenses, p. 513, la percentuale dei morti era del 72%: vix duodecimus homo remansit ; per Giovanni da Parma, p. 51, a Trento l83% (5 su 6); per Giovanni da Praga tra Venezia e Marsiglia il 66%, e cos mediamente in Germania per la Continuatio Novimontensis, p. 676. Vedi anche, dopo Bulst Der Schwarze Tod, pp. 49 ss., P. Dubuis LՎpidemie de peste de 1349 Saint-Maurice-dAgaune Lausanne 1980 (tudes de lettres - Facult des lettres de lUniversit IV-3), pp. 3-20.

[103] Chronicon Estense, pp. 160-61; riprendono pari pari il Chronicon la Polyhistoria, RIS 24 (1738), coll. 806-07, e lintero Corpus Chronicorum Bononiensium, ed. A. Sorbelli, RIS n. e. 18/1 (1906-40), pp. 583-87; per Bologna A. I. Pini Campagne bolognesi. Le radici agrarie di una metropoli medievale Firenze 1993, pp. 138-39: si pu senzaltro concludere che la peste port via gli abitanti della citt in una proporzione che oscilla tra 1/3 e i 2/5. Non era dunque molto lontano dal vero il cronista bolognese contemporaneo Pietro da Villola quando scriveva che per la peste fu estimato che di cinque era morti li tre e pi.

[104] Chronicon Estense, p. 162. Sulla peste a Venezia vedi ancora Pastorello, Introduzione, p. XIV, che cita anche Gian Jacopo Caroldo Historia di Venetia, ms. Marc. It. VII 128a, c. 200r, ed il Chronicon Monasterii S. Salvatoris Venetiarum Francisci de Gratia (1141-1380), ed. A. M. Duse, Venezia 1766, pp. 69-70, ed infine la testimonianza tarda raccolta in Marin Sanudo Vitae Ducum Venetorum, RIS 22 (1733) coll. 614-16.

[105] A. Sapori Lattendibilit di alcune testimonianze cronistiche delleconomia medievale, in Studi di storia economica medievale 1, Firenze 1955, pp. 25-33.

[106] Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 156.

[107] Nemmeno la conclusione, a suo modo cauta, di Mollat I poveri nel Medioevo, p. 221: il calo demografico raggiunse forse un terzo della popolazione europea.

[108] Frugoni G. Villani, Cronica, XII, 94, p. 245 Tutte queste cifre, al di l della precisazione numerica, rappresentano anche una interpretazione, direi, della storia fiorentina. Bowsky The impact of the Black Death, pp. 4-5 giudica le cifre fornite dai cronisti senesi come, se non esattissime, generalmente affidabili.

[109] Annales S. Albini Andegavensis, pp. 39-41; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 155.

[110] Discorso historico, pp. 25-26: molte famiglie et chasate rimasero sderedate; Marchionne p. 230: quando sappigliava in alcuna casa, spesso avvenia che non vi rimanea persona che non morisse; Giovanni da Parma, p. 51; cf. Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 30.

[111] Annales Urbisveteris, p. 197: principales nobiles et populares obierunt. Per Domenico da Gravina Chronicon de rebus in Apulia gestis, ed. A. Sorbelli, RIS n. e. 12/3 (1903-09), p. 49, quasi modicus superfuit populus nel regno di Sicilia.

[112] G. Cortusi Historiae, RIS 12 (1728)(di qui in avanti: Cortusi), col. 926. Non risponde affatto a verit che secondo la cronaca di Rimini (e ci si riferir al Battagli) la malattia ha colpito prima i poveri, poi i ricchi, ma nessun grande signore, come si trova in G. C. Coulton The Black Death London 1929, p. 62, ripreso da Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 31.

[113] Cronica de Ducibus Bavariae, p. 168: Ubicunque vero sevitura erat, ibi primo in pueros, deinde in forciores seviebat; Giovanni da Parma, pp. 51-52, nota che la peste colp in regioni diverse in diverse stagioni, qui nei tempi caldi, l nei freddi, senza norma, e pi i giovani dei vecchi, e pi le fanciulle (soprattutto se carine), e pi le donne degli uomini.

[114] Alberto de Bezanis Cronica pontificum et imperatorum, ed. O. Holder-Egger, MGH SRG in us. schol. 3 (1908), p. 102, ed aggiunge: in locis sanis quam in viciosis et in fumis; che cosa significhi in fumis inesplicabile, ma indicher comunque luoghi malsani.

[115] Continuatio Novimontensis, p. 676. Il che si accorda in parte con quanto riferito da Heinrich von Herford (Liber de rebus et temporibus memorabilibus sive Chronicon Henrici de Hervordia, ed. A. Potthast, Gottingae 1859), p. 284, che nobilibus et militaribus et clericis secularibus plus pepercit.

[116] P. 51.

[117] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 29.

[118] Agnolo, p. 555: nel contado mor molta pi gente, che molte terre e ville sabandonaro che non vi rimase persona; Annales Mellicenses, p. 513: in Karinthia, Austria et Babaria mortalitas in tantum seviebat, quod multe ville et in civitatibus quibusdam domus quamplures sunt destructe, ita quod inhabitator in eis nullus est inventus.

[119] Discorso historico, pp. 25-26; Carpentier Une ville, pp. 112, 120-21; Biraben Les hommes et la peste, 2, pp. 28, 31, 37.

[120] J.-N. Biraben Les pauvres et la peste, in tudes sur lhistoire de la pauvret, ed. M. Mollat, Paris 1974 (Publications de la Sorbonne, tudes 8,1-2), 2, pp. 505-18.

[121] Mollat I poveri nel Medioevo, p. 221. Alcune perplessit in proposito mostra ragionevolmente Capitani nellIntroduzione, pp. XXX-XXXIII. Ancora pi drastica, e meno accettabile, laffermazione esemplificativa alle pp. 221-22: Linsistenza dei cronisti nel mostrare, come gli artisti delle danze macabre, uneguale vulnerabilit del ricco e del povero, corretta dalle testimonianze del triste primato della povert. La malattia colp dapprima i quartieri poveri, per esempio a Rimini, a Orvieto a Narbonne si pu parlare cos di epidemia proletaria.

[122] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 28.

[123] Marchionne, p. 230; cf. Carpentier Une ville, p. 113; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 25.

[124] Agnolo, p. 556.

[125] Corpus chronicorum Bononiensium, pp. 583-87.

[126] Chronicon Sublacense, ed. R. Morghen, RIS n. e. 24/6 (1927), p. 44.

[127] Agnolo, p. 553: e non si trovava medici che volessero curare ; M. Villani I, 2: Di questa pestifera infermit i medici in catuna parte del mondo, per filosofia naturale o per fisica o per arte dastrologia, non ebbono argomento n vera cura; Marchionne, p. 230: e non valeva n medico, n medicina, o che non fossero ancora conosciute quelle malattie, o che li medici non avessero sopra quelle mai studiato, non parea che rimedio vi fosse; Boccaccio Decameron, Introduzione 13: A cura delle quali infermit n consiglio di medico n virt di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o che natura del malore nol patisse o che la ignoranza de medicanti [] non conoscesse da che si movesse e per consequente debito argomento non vi prendesse; Breve Chronicon Flandriae, p. 16: nec medicus visitat infirmum, si tamen ei dantur quicquid infirmus in hac vita possideret.

[128] M. Villani, I, 2: Alquanti per guadagnare andarono visitando e dando loro argomenti, li quali per la loro morte mostrarono larte esser fitta e non vera: e assai per coscienza lasciarono a ristituire i danari che di ci aveano presi indebitamente; Boccaccio Decameron, Introduzione 13: o che la ignoranza de medicanti (de quali, oltre al numero degli scienziati, cos di femine come duomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo.

[129] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 127.

[130] Discorso historico, pp. 25-26: Et le botteghe delli artefici tutte stavano chiuse; Breve Chronicon Flandriae, p. 18: ad Avignone, ogni lavoro sospeso, vacationes indicte sunt usque festum Michaelis.

[131] V. Rutenburg Popolo e movimenti popolari nellItalia del 300 e 400, introd. di R. Manselli, Bologna 1974, p. 109.

[132]  Di contro a Y. Renouard La Peste Noire de 1348-1350 Revue de Paris 57 (1950), pp. 107-19, oggi in Renouard Etudes dhistoire mdivale Paris 1968, I, pp. 143-55, che vedeva subito dopo la peste grandi mutamenti sociali e soprattutto approfondirsi del divario tra poveri e ricchi, G. Prat Albi et la Peste Noire Annales du Midi 64 (1952), pp. 15-25, conclude che nella regione da lui studiata si ebbe un notevole calo della popolazione, ma scarsi mutamenti politico-sociali; ad analoghe conclusioni giunto P. Wolff Trois tudes de dmographie mdivale en France mridionale, in Studi in onore di Armando Sapori, I, Milano 1957, pp. 493-503. Sulla  disgregazione della societ causata dalla peste insiste W. L. Langer The Black Death Scientific American 210 (1964), pp. 114-21.

[133] Vedi ora il lavoro di P. Pirillo in questo stesso volume.

[134] Marchionne, p. 230: le genti spaventate abbandonavano la casa, e fuggivano in unaltra; e chi nella citt, e chi si fuggia in villa; cf. Carpentier Une ville, pp. 134, 149-50; i veneziani fuggono a Chioggia, Ferrara, Padova, Treviso, Ceneda, Torcello, Murano e altrove (Pastorello Introduzione p. XIV); qui la situazione particolarmente grave, tanto che si dovette ingiungere - passata la tempesta - agli ufficiali pubblici fuggiti in massa di riassumere il loro posto, parallelamente al divieto di lasciare la citt per tutti i veneziani; cf. ancora Giovanni di Winterthur, p. 275-76; Continuatio Novimontensis, p. 676, con la nota triste: sed quia prius erant infecti, propterea non poterant evadere quin ex eis quam plures morerentur. Anche questo non fenomeno esclusivo della peste nera: cf. Figliuolo Il terremoto del 1456, 1, p. 11.

[135] Carpentier Une ville, p. 155, con rimando a Marchionne, p. 232. Anche questo fenomeno ricorrente in seguito: cf. Figliuolo Il terremoto del 1456, 1, pp. 112-13; sul carattere antropologico di queste manifestazioni si intrattenuto J. Delumeau La paura in Occidente (secoli XIV-XVIII), Torino 1979, pp. 209-11.

[136] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 77. Proprio a partire dalla peste nera si moltiplicheranno i ricorsi alla misericordia della Madre di Dio: cf. Pestbltter des XV. Jahrhunderts, ed. P. Heitz, Strassburg 1901; P. Pedrizet La Vierge de Misricorde. Etude dun thme iconographique, Paris 1908; Figliuolo Il terremoto del 1456, 1, p. 176; J.-P. Delumeau Rassicurare e proteggere, Milano 1992, che dedica ampio spazio, per quel che ci riguarda, alle processioni ed al culto di Maria misericordiosa; vedi in particolare p. 284: Fra le ondate delle pestilenze che si abbatterono sullEuropa a cominciare dal 1348 e la diffusione del culto della Vergine col mantello cՏ un rapporto di causa ed effetto che nessuno mette in dubbio.

[137] Carpentier Une ville, pp. 155-56; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 66.

[138] Agnolo, p. 553: e a pena e pochi preti davano la confessione e sagramenti; Marchionne, p. 230: Medici non si trovavano; Battagli, p. 54: Presbiteri et medici etiam fugiebant infirmos et mortuos pro timore; Storie Pistoresi, p. 235: e che non si trovava chi volesse servire nullo malato n portare morto a sepoltura n frate n prete che andare vi volesse ; cf. Carpentier Une ville, p. 155.

[139] Marchionne, p. 230: quelli che si trovavano, voleano smisurato prezzo in mano innanzi che intrassero nella casa, ed entratovi, tocavono il polso col viso volto adrieto, e da lungi volevono vedere lurina con cose odorifere al naso; p. 231: Li preti e i frati andavano ai ricchi e in tanta moltitudine, ed erano s pagati di tanto prezzo che tutti arricchieno; cf. Carpentier Une ville, p. 155.

[140] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 32.

[141] Agnolo, p. 553: e non si trovava chi li sopellisse se no el padre portava el figliuolo, el marito portava la moglie a la fossa senza preti o croce, e molti rimaneano, ch non vera chi li portasse a la fossa. E Dio promise (sic) per, che nissuno rimanesse in sul letto, n in casa morto, che non fusse portato a la fossa da qualcuno dicendo: aiutiamo costoro, ch saremo aiutati noi, e portialli a la fossa, ch saremo portati noi; e cos come per morti molti si metteano e molti ne moriva e molti canpavano e molti facevano per denaro e molti per lamor di Dio; p. 555: e non si trovava chi soppellisse n per denaro n per amicizia, e quelli de la casa propria li portava meglio che potea a la fossa senza prete, n uffitio alcuno, n si sonava canpana.

[142] Agnolo, p. 555; Battagli, p. 54; Continuatio Novimontensis, p. 676.

[143] Secondo quanto riferisce Gilles li Muisit, cui rimandano Coville Ecrits contemporains, p. 382, e Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 168.

[144] Agnolo, p. 553: Pisa si fu per abandonare [Piombino] per tanto si fu per abandonare.

[145] Pastorello Introduzione p. XV, che cita la cronaca di S. Salvatore: Et in ista peste surexerunt latrones infiniti, furantes et depredantes domos.

[146] Agnolo, p. 555: quasi a ognuno pareva che di dolore a vedere si diventavano stupefatti; Discorso historico, pp. 25-26: et quelle che rimasero, rimasero inferme et sbigottite, et con gran terrore dipartisene delle case che rimasero delle genti loro morte.

[147] M. Villani, I, 3.

[148] W. L. Langer The next assignment The American Historical Review 63 (1958), pp. 283-304.

[149] Nota Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 83 che a Firenze nel 1348 i Villani - Giovanni, il nonno, che ne muore, poi il padre [ma il fratello minore! G. Z.], Matteo, infine il figlio, Filippo - descrivono larrivo della peste ed osservano come, durante lepidemia, gli uomini si gettino con ardore nelle devozioni, ma come le chiese non sembrano loro che luoghi di preghiera, e non dei rifugi protetti dalle epidemie. Sulle devozioni anche Mollat I poveri nel Medioevo, p. 225.

[150] Adopero qui il rapido sunto che del lavoro di Langer ha fatto la Carpentier Une ville, p. 164.

[151] Carpentier Une ville, pp. 195-96.

[152] Anonymus Leobiensis Deutsche Fortsetzung, ed. H. Pez, Scriptores Rerum Austriacarum 1 (1721), col. 968; Borst Il terremoto del 1348, p. 28.

[153]Continuatio Novimontensis, p. 676.

[154] La Cronaca del Conte Francesco di Montemarte (1231-1399), ed. L. Fumi, RIS n. e. 15/5,1 (1902-20), p. 224; sui fraintendimenti del cronista Carpentier Une ville, pp. 104-05.

[155] Continuatio Novimontensis, p. 676.

[156] Vedi ora anche il lavoro di G. M. Varanini in questo stesso volume.

[157] Agnolo, p. 553: E quelli che fugiano di Pisa erano divietati e non poteano entrare in terra alcuna; provvedimenti analoghi vennero presi a Firenze, a Pistoia, a Venezia, cf. F. Carabellese La peste del 1348 e le condizioni della sanit pubblica in Toscana Rocca San Casciano 1897, A. Chiappelli Gli ordinamenti sanitari del comune di Pistoia contro la pestilenza del 1348 Archivio Storico Italiano s. 4 20 (1887), pp. 3-24; A. Zanelli Di alcune Leggi suntuarie pistoiesi dal XIV al XVI ibid. s. 5 16 (1895), pp. 206-24; M. Brunetti Venezia durante la peste del 1348 Ateneo Veneto 22 (1909), 1, pp. 289-311; 2, pp. 5-42, edito anche come estratto a parte, Venezia 1909; Carpentier Une ville, pp. 132-34. Nel secolo successivo lItalia sar, come in tanti altri campi, a questo riguardo allavanguardia: cf. Cipolla Contro un nemico invisibile, pp. 14-20.

[158] Continuatio Novimontensis, p. 674.

[159] Agnolo, p. 553: le case loro furo murate luscia e le finestre, ch nissuno ventrasse; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 169.

[160] Coulton The Black Death, p. 26; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 168.

[161] Senza giungere allincenerazione gli Ordinamenta sanitatis dellaprile 1348 a Pistoia ordinano che non si ritirino i morti dalle case che in una bara, regolamentano la profondit delle fosse e proibiscono di introdurre cadaveri in citt. Si sparsa lidea che la putrefazione dei corpi insepolti pu generare la peste, e misure per allontanare i cimiteri si diffondono lentamente. Linteresse delle autorit amministrative per la peste il fatto capitale, il punto di partenza essenziale di ogni regolamentazione amministrativa ulteriore nel campo delligiene pubblica. Prima dellapparizione della peste, solo in Italia, sembra, che esistano regolamenti sanitari in qualche grande citt: a Firenze gli Statuti sanitari, pubblicati dal 1321 al 1324, si preoccupano di assicurare labbondanza del vettovagliamento, sorvegliare la qualit delle carni e altre derrate alimentari per la salute degli abitanti. Gi prima della peste in Italia alla fine del XIII o allinizio del XIV secolo alcune comunit assoldano dei medici con lincarico di assistere i poveri: Orvieto dispone cos di due medici pagati dalla citt, e bisogna vedervi i primi passi, al di fuori delle opere di carit della Chiesa, di una assistenza sanitaria civile. Ma la peste nera sconvolge questa organizzazione encora timidamente abbozzata. Fino ad allora mal remunerati (venticinque lire per anno), i medici scomparsi non sono rimpiazzati che a peso doro. Sempre ad Orvieto il 24 ottobre 1348, si assolda maestro Matteo fu Angelo dopo averlo lungamente sollecitato e gli si offrono cento lire allanno. Il 4 giugno 1350, di nuovo si cerca di reclutare due medici ma anche offrendo cinquanta fiorini allanno, vale a dire duecento lire, nessuno si presenta e ci si deve contentare di incaricare uno studente che non ha ancora terminato gli studi (Carpentier Une ville, pp. 131, 147 e 192; Biraben Les hommes et la peste, 2, pp. 102, 125-26). Agli inizi della peste nera molte citt italiane adottano simili provvedimenti: Pistoia nellaprile 1348 pubblica gli Ordinamenta sanitatis tempore mortalitatis, le cui misure sono rafforzate allinizio di giugno del 1348. Venezia, Milano, Parma ed anche Gloucester in Inghilterra, vietano lingresso ai viaggiatori ed agli stranieri provenienti da luoghi infetti. In seguito alcune citt sentono il bisogno di una organizzazione amministrativa particolare in tempo depidemia (G. Sticker Abhandlungen aus der Seuchengeschichte und Seuchenlehre, I. Die Pest, 1. Die Geschichte der Pest, ; 2. Die Pest als Seuche und als Plage, Giessen 1908-1910, 1, pp. 51-52; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 102). A Venezia  il 20 marzo 1348 il doge Dandolo fa nominare tre provveditori di sanit, una sorta di consiglio sanitario ristretto, incaricato di proporre tutte le misure da prendere a proposito della peste (V. Bazala Della peste e dei modi di preservarsene nella Repubblica di Ragusa (Dubrovnik), in XIV Congresso internazionale di storia della medicina, Roma, 13-20 settembre 1954, Dubrovnik-Zagreb 1954, p. 16; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 138), ed a Firenze l11 aprile seguente i priori scelgono otto saggi che formano una sorta di comitato di salute pubblica investito di poteri quasi dittatoriali; ma questa istituzione non riesce a svolgere alcuna funzione al di fuori delle forme amministrative tradizionali e ad imporsi (Carpentier Une ville, p. 131; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 138).

[162] Storie Pistoresi, pp. 236-38.

[163] Carpentier Une ville, pp. 132-33. Ad Orvieto ugualmente, fin dal 1347, prima dellarrivo della peste, le manifestazioni esterne di dolore sono proibite, ed a Venezia una misura identica presa verso la fine dellepidemia (ibid., pp. 94, 95, 121, 132, 133; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 100).

[164] La Carpentier rileva questa preoccupazione ad Orvieto quando, il 18 dicembre 1348, si compila una lista degli orfani e si esamina la regolarit della loro tutela, o, se non stabilita per testamento o per legge, che vi si provveda ricorrendo al parente pi prossimo. Allo stesso modo, il 6 ottobre 1349, si decide di reprimere gli abusi commessi dai tutori sui beni degli orfani (Carpentier Une ville, pp. 146, 190-91; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 149). Vedi anche Bowsky The impact of the Black Death, p. 17, con rimando ad Agnolo, p. 557.

[165] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 8; in generale - anche troppo - vedi J. Delumeau Il peccato e la paura. Lidea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, Bologna 1987.

[166] B. Guene Storia e cultura storica nelloccidente medievale Bologna 1991, pp. 255-61. Alla pari della peste anche il terremoto un segno della punizione divina e richiede espiazione: A. Riera Melis Fuentes y metodologa para el estudio de los ssmos en Catalua, in Estudio dedicados a la memoria del Prof. Dr. Emilio Saz, I, Barcelona 1987 (= Anuario de estudios medievales 17 (1987)), pp. 308-39.

[167] Vedi lacuta riflessione di Borst Il terremoto del 1348, pp. 52-58, che conclude che storia ancora limprevedibile e linsuperato.

[168] Coulton The Black Death, p. 11; Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 8.

[169] Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 26.

[170] L. Green Chronicle into History. An Essay on the Interpretation of History in Florentine Fourteenth-Century Chronicles Cambridge 1972, passim. Sul dovere umano di giostrare tra Fortuna e Virtus si esprimeva, comՏ noto, Petrarca.

[171] Mollat I poveri nel Medioevo, p. 226: furono accusati i poveri In mancanza di poveri, la vendetta popolare se la prese soprattutto con gli Ebrei in Catalogna e nella valle del Reno.

[172] A proposito delle reazioni al terremoto nota Borst Il terremoto del 1348, p. 27: La civilt contadina del XIV secolo era sufficientemente illuminata per credere gli uomini capaci di tutto, e sufficientemente aggressiva per rispondere agli eventi funesti con la persecuzione. I mercanti fiorentini ne facevano cauto accenno, il popolino nellarea sismica non aveva peli sulla lingua: colpevoli erano coloro che facevano prestiti in danaro, che bestemmiavano Dio, che frodavano gli uomini e avvelenavano le fontane; colpevoli erano ad esempio gli ebrei. In alcune citt ai margini dellarea sismica, tra lAustria e la Svevia, essi furono bruciati poich avevano diffuso tra i cristiani la grande pestilenza; vedi ad es. Continuatio Zwetlensis quarta, p. 685: Incusati autem Iudei, quod fontes et aquas eciam fluentes quibusdam pulveribus toxicassent, unde in superioribus partibus undique autem iugulati, et in Chremsa adusti sunt una cum domibus eorum; Heinrich von Diessenhofen Historia ecclesiastica, ed. A. Huber, Fontes rerum Germanicarum 4 (1868) (di qui in avanti: Heinrich von Diessenhofen), p. 68, e molti altri; vedi per questo Graus Pest, Geiler, Judenmorde, pp. 168-214, 299-334.

[173] Fritsch Closener dice che il veleno che li uccise era costituito dalle loro ricchezze; Knigshoven, a riprova, per converso, che se fossero stati poveri li si sarebbe ritenuti innocenti (S. Guerchberg La controverse sur les prtendues semeurs de la Peste Noire, daprs les traits de peste de lՎpoque  Revue des Etudes juives n. s. 8 (1948), pp. 3-40, che cita a sua volta M. Dubled Aspects conomiques de la vie de Strasbourg aux 13e et 14e sicles: baux et rentes Archives de lEglise dAlsace n. s. 6 (1955), pp. 23-56; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 65). Mollat I poveri nel Medioevo, p. 226: Per il loro tramite, lobiettivo erano i prestatori, gli usurai, i ricchi.

[174] Breve Chronicon Flandriae, pp. 17-18.

[175] Guerchberg La controverse, pp. 3-40; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 65.

[176] Come risulta chiaramente negli Annales Mellicenses, p. 513: 1349 Item Iudei in Swevia et Babaria cremati fuerant, quia convicti quidam profitebantur, se mortalitatem predictam ante christianos pulvere toxicativo generasse.

[177] Graus Pest, Geiler, Judenmorde, 159; fra laltro conosce anche che simili persecuzioni sono avvenute in Francia (ibid., p. 68).

[178] Ad es. Heinrich von Diessenhofen, pp. 68-69: Anno predicto [1300] XL octavo mense novembris incepit persecutio Judeorum. Et primo in Alamannia in castro Solodorensi [Solothurn] cremati fuerunt omnes Judei, eos fontes ac rivos intoxicasse...; vedi ancora per numerosissimi altri casi Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 161.

[179] Heinrich von Diessenhofen, p. 70: XIII vero kal. octobris [1349] cremati sunt Judei, qui in castro Kyburg reservati fuerunt numero 330, collecti de Wintertur et Diessenhoven ac aliis oppidis ducis Austrie, qui ipsos defendebat....

[180] Come facilmente desumibile da molti dati cronistici, fra cui quelli offerti dallOberrheinische Chronik (pp. 64-65), da Gilles li Muisit (p. 224), Heinrich von Diessenhofen (pp. 68-70); vedi per tutto questo Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 165.

[181] Graus Pest, Geiler, Judenmorde, pp. 156-58: i pogrom degli anni 1348-50 furono i pi impressionanti per vastit dellintero Medioevo, ma non furono isolati: una tabella rileva una successione quasi continua tra il 1298 ed il 1421, mentre unaltra mette in rilievo il ripetersi delle persecuzioni in molte citt.

[182] Carpentier Une ville, p. 206; Biraben Les hommes et la peste, I, p. 64.

[183] Agnolo, p. 553.

[184]  Breve Chronicon Flandriae, p. 17.

[185] Cortusi, col. 926.

[186] Ibid., col. 927; Lidia Capo nella menzione di Cola (G. Arnaldi - L. Capo I cronisti di Venezia e della Marca Trevigiana nel secolo XIV, in Storia della cultura veneta. Il Trecento Vicenza 1976, pp. 317-18 n. 184 ) vede meno espresso, ma probabilmente forte nel cronista, un atteggiamento di critica alla Chiesa, inetta a soddisfare le aspirazioni di una cristianit bisognosa di pace e di coerenza morale.

[187] Ad es. Chronicon Estense, p. 160; Die Oberrheinische Chronik, p. 64. Genericamente G. Villani, supra nota n. 65.

[188] Annales Ensdorfenses, ed. G. H. Pertz, MGH SS 10 (1852), p. 7: 1349. Hoc anno facta est pestilencia magna in toto mundo. Eodem anno surrexerunt homines dicentes se penitere peccata sua, euntes cum vexillis et cum flagellis percucientes se, et perambulabant omnes regiones.

[189] A. Coville Documents su les Flagellants Histoire littraire de la Frane 37 (1937), pp. 390-411; Biraben Les hommes et la peste, 1, pp. 65-71; F. Graus Pest, Geiler, Judenmorde. Critiche al lavoro del Graus sono per venute da J. D. Morerod, Zeitschrift fr schweizerische Kirchengeschichte 85 (1991), pp. 289-91, che in particolare rileva come non si esaurisca cos la ricerca della colpa della peste; per conto suo segnala i massacri dei lebbrosi in Savoia. Anche Ph. Ziegler The Black Death Phoneix Mill - Sroud - Gloucestershire 1991, titola il capitolo che dedica alla Germania: the Flagellants and the Persecution of the Jews. Heinrich von Herford, p. 283, intende il fenomeno come eminentemente tedesco.

[190] Annales Mellicenses, p. 513: Et hac de causa ritus quidam penitencie fuit exortus, ut tam divites quam pauperes, antiqui cum iuvenibus et parvulis, de sursum usque ad femora nudati, deorsum vero panno quodam cincti se flagellis acriter verberabant, et cantum quendam decantantes, ecclesias, in quibus penitenciam hanc exercebant, processionaliter intrabant

[191] Continuatio Zwetlensis quarta, ed. W. Wattenbach, MGH SS 9 (1851 (=1983)), p. 685: Anno 1349 circa circumcisionem Domini usque in pascham viri 40, 60 vel 100 coadunati per ecclesias discurrentes cum flagellis se denudantes usque ad cingulum publicas egerunt penitencias, cantando de passione Domini, quatenus pestilencia que tunc in quibusdam locis prevaluerat cessaret. Per la Cronicae S. Petri Erfordiensis moderna Continuatio II, in Monumenta Erphesfurtensia Saec. XII. XIII. XIV, ed. O. Holder-Egger, MGH SS in us. schol. 42 (1899), p. 392, i tria mala antea vero inaudita sono nellordine le uccisioni di ebrei, i flagellanti e la peste.

[192] Michele da Piazza Historia Sicula, ed. A. Gregorio, Bibliotheca scriptorum Aragonensium 1 (1791), pp. 562-66.

[193] O. Capitani Motivi e momenti di storiografia medioevale italiana: secc. V-XIV, in Nuove questioni di Storia medioevale Milano 1964, p. 791.

[194] Vedi da ultimo i dubbi in proposito di Bowsky The impact of the Black Death, pp. 4-5.

[195] Carpentier Une ville, p. 99; Biraben Les hommes et la peste, 1, 54.

[196] Agnolo, pp. 552-55; cf. Corradi Annali, p. 490; Carpentier Une ville, pp. 99-100.

[197] Agnolo, p. 555, rr. 7-18.

[198] Ibid., rr. 19-21.

[199] J. Larner LItalia nellet di Dante, Petrarca e Boccaccio Bologna 1982, p. 443: Per coloro che la dovettero subire quella fu una profonda tragedia umana durante la quale ogni signola persona di anno in anno si vide chiamata a dar prova del proprio coraggio e della propria capacit di resistenza.

[200] Bowsky The impact of the Black Death, p. 17 corregge la punteggiatura, ed il senso, delled. Lisini: 52.000 persone, di cui 36.000 vecchi, 28.000 nei borghi, in totale 80.000 vittime; i superstiti sono 30.000.

[201] Cf. il documento del 17 novembre 1348, riportato ibid., p. 23 e nota 139: in lapso fatalitatis tempore negligebatur comuniter ab omnibus custodia pecoris et brutorum, cum vix propinquorum infirmorum et deficientium cotidie habebatur custodia et cura.

[202] Agnolo, pp. 555-56.

[203] Mollat I poveri nel Medioevo, p. 227: Ognuno viveva secondo il suo capriccio dopo la grande pestilenza dellanno passato.

[204] Agnolo, p. 557.

[205] Ibid., p. 560.

[206] Bowsky The impact of the Black Death, p. 27 rileva un aumento dei disordini, e rimanda ad Agnolo, p. 556; a p. 29 trova qualche conferma documentaria sui nuovi ricchi, di cui Agnolo, p. 560; lo stesso a p. 30 per i magazzini e le case, di cui Agnolo, p. 557; conclude a p. 34 che la peste non fu la causa della caduta del governo dei Nove, ma favor i mutamenti demografici, sociali ed economici che rafforzarono lopposizione alloligarchia dominante.

[207] A. Frugoni La biblioteca di Giovanni III duca di Napoli (dal Prologus dellarciprete Leone al Romanzo di Alessandro) Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dellUniversit di Roma 9 (1969), p. 161; cf. M. Miglio Et rerum facta est pulcherrima Roma: attualit della tradizione e proposte di innovazione, in Aspetti culturali della societ italiana nel periodo del papato avignonese Todi 1981 (Convegni 19), pp. 348-51.

[208] Guene Storia e cultura storica.

[209] In particolare Baron La crisi del primo Rinascimento italiano, p. 189, e da ultimo, con una correzione del parere del Baron, E. Artifoni La consapevolezza di un nuovo assetto  [non aspetto, come si legge a p. 77] politico-sociale nella cronistica italiana det avignones: alcuni esempi fiorentini, in Aspetti culturali della societ italiana , pp. 82-92.

[210] G. Aquilecchia nella sua Introduzione a Giovanni Villani Cronica. Con le continuazioni di Matteo e Filippo, scelta, introduzione e note di G. A., Torino 1979, p. XX.

[211] Artifoni La consapevolezza di un nuovo assetto , p. 82.

[212] Aquilecchia Introduzione, p. 291 nota 2.

[213] Green Chronicle into History, pp. 44-85.

[214] Aquilecchia Introduzione, pp. XX-XXII.

[215] Artifoni La consapevolezza di un nuovo assetto , pp. 83-88.

[216] Aquilecchia Introduzione, p. XXI.

[217] Calco di Gn 6, 12: Cumque vidisset Deus terram esse corruptam (omnis quippe caro corruperat viam suam super terram).

[218] Gn 9, 11: Statuam pactum meum vobiscum, et nequaquam ultra interficietur omnis caro aquis diluvii, neque erit deinceps diluvium dissipans terram.

[219] Cf. Discorso historico, p. 11; Carpentier Une ville, p. 82.

[220] Aquilecchia Introduzione, p. 293, rettifica: Antonino, e nota che il nome Antonio non figura nella ed. giuntina del 1581, ed il Chronicon di Girolamo, da cui probabilmente trae Matteo, - come del resto anche Orosio e lHistoria Romana  di Paolo Diacono-Eutropio - ha proprio Antonino. Ma noto io che la lezione Antonio molto comune nei cronisti del tempo; vedi ad es. Ricobaldi Ferrariensis Compendium Romanae Historiae, ed. A. T. Hankey, Roma 1984 (FSI 108), IX, 54, p. 593; ma qui certo (non: sembra, come dice Aquilecchia) che Matteo si riferisce a Marco Antonino Vero ed a Lucio Aurelio Commodo Severo, e lepidemia di cui si parla era descritta sommariamente, pi che in Girolamo, cui rimanda Aquilecchia, nellAdversus paganos di Orosio (VII, 15, 5-6); cf. Ricobaldi Ferrariensis Compendium , IX, 46, p. 588. Certo non da Orosio, per, viene lindicazione la quale cominci in Babilonia dEgitto, che potrebbe esser frutto di confusione, mentre la frase successiva -e comprese molte provincie del mondo - pare proprio un calco dellorosiano plurimis infusa provinciis.

[221] Ancora da Orosio VII, 21, 5, pi che da Girolamo: Matteo per non mette in diretta relazione il diffondersi del male con la persecuzione dei cristiani, come fa invece Orosio: Exeritur ultio violati nominis Christiani.

[222] Ancora da Orosio VII, 22, 1-2.

[223] A suo modo pi modesto lautore del Liber regiminum Padue, p. 368, faceva il confronto con le piaghe dEgitto ed altre minori: Hac clade multae fuerunt destitutae civitates; in castris non audiebantur nisi voces querulae, dolores et ploratus, adeo quod clades, quae fuit tempore Pharaonis, David et Ezechiae, poterat respectu huius pro nihilo reputari.

[224] Vedi supra testo corrispondente alla nota 183.

[225] Gi J. BurckhardtLa civilt del Rinascimento in Italia Firenze 1968, p. 478, aveva notato che: I cronisti fiorentini si mostrano fieramente avversi, anche se sono costretti a menzionare quel delirio [scil. il ricorso allastrologia], perch sinnesta nelle tradizioni patrie. Giovanni Villani ripet pi duna volta: nessuna costellazione pu sottoporre alla necessit il libero volere delluomo, n il consiglio di Dio; Matteo Villani biasima lastrologia come un vizio che i Fiorentini avrebbero ereditato dai loro antenati gentili, i Romani.

[226] G. Villani, XII, lxxxiv, pp. 485-86: Ma nnoi dovemo credere e avere per certo, che Idio promette le dette pestilenze e llaltre a popoli, e citt e paesi per pulizione de peccati, e non solamente per corsi di stelle, ma talora, siccome signore delluniverso e del corso del celesto, come gli piace; e quando vuole, fa accordare il corso delle stelle al suo giudicio.

[227] Decameron Introduzione 8. Branca Boccaccio medievale, p. 34 richiama anche Introduzione 25: Alcuni erano di pi crudel sentimento, come che per avventura pi fosse sicuro, dicendo niuna altra medicina essere contro alle pistilenze migliore n cos buona come il fuggir loro davanti: e da questo argomento mossi, non curando dalcuna cosa se non di s, assai e uomini e donne abbandonarono la propria citt, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono laltrui o almeno il lor contado, quasi lira di Dio a punire le iniquit degli uomini con quella pistolenza non dove fossero procedesse, ma solamente a coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor citt si trovassero, commossa intendesse, o quasi avvisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta, per concludere che il Boccaccio per una spiegazione provvidenziale. A noi pare che si debba distinguere tra le cause prossime, tra cui pu rientrare la congiunzione astrale, e la causa ultima, che risale sempre alla volont divina; della prima si dice in Introduzione 8; della seconda in Introduzione 25; in ogni caso il primo passo non pu essere dimenticato. Notiamo qui di, passaggio - a proposito di Introduzione 25 - che il rimedio suggerito dal buon senso di lasciare la citt per luoghi pi salubri marchiato anche dal Villani come vano tentativo, biasimato da discreti, di sottrarsi alla mano di Dio.

[228] Sulla provenienza dallIndia concordano altre testimonianze di area francese; cf. Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 50.

[229] Agnolo, p. 555.

[230] Vedi supra testo corrispondente alle note 52-63.

[231] Tra glinfedeli cominci questa inumanit crudele, che le madri e padri abbandonavano i fligliuoli, e i figluoli le madri e padri, e luno fratello laltro e gli altri congiunti: cosa crudele e maravigliosa e molto strana alla umana natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali, seguendo le nazioni barbare, questa crudelt si trov.

[232] Del tutto opposto il giudizio del Breve Chronicon Flandriae, p. 16: Et ideo innumerabilis multitudo hominum mortua est carnali affectione devota, ac etiam pietate et caritate nota, que si non visitasset ad tempus, forte evasisset.

[233] Vedi da ultimo G. Zanella Machiavelli prima di Machiavelli Ferrara 1985, pp. 96-102.

[234] R. Romano Tra due crisi: lItalia del Rinascimento Torino 1971, pp. 21-22; J. Day Crisi e congiunture nei secoli XIV-XV, in La Storia, I, p. 250; pi sotto (pp. 250-51) mette in parallelo i lamenti di Matteo Villani sugli effetti scandalosi della peste nera a Firenze con analoghe posizioni assunte dal poeta John Gower e da William Langland.

[235] Mollat I poveri nel Medioevo, p. 226; ma cf. Capitani, che nellIntroduzione, p. XXXIII, richiama la necessit di spiegare il passo nellottica culturale del cronista. Nota che la peste segna, nelleconomia stessa del volume del Mollat, un momento basilare, catastrofico (Capitani, p. XXX), assunto ad inaugurare lultima parte, la quarta, del libro; cos lo studioso francese riprende ed aggiorna Matteo Villani.

[236] Burckhardt La civilt del Rinascimento in Italia, pp. 76-77.

[237] Ad es., e con la medesima meraviglia, da Jean de Venette, pp. 215-16: Et quod iterum mirabile fuit: nam cum omnis abundantia omnium bonorum esset, cuncta tamen cariora in duplo fuerunt, tam de rebus utensilibus quam de victualibus, ac etiam de mercimoniis et mercenariis, et agricolis et servis; exceptis aliquibus hereditatibus et domibus quae superfluae remanserant his diebus; cf. Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 16.

[238] R. Fossier Crisi di crescita in Europa (1250-1430), in Storia del Medioevo, a cura di R. Fossier, III. Il tempo delle crisi 1250-1520, Torino 1987, pp. 79-80: Lo schema di una crisi agraria classica ben noto: un raccolto mediocre (che ipoteca il successivo) comporta un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari; tale aumento intacca le disponibilit finanziarie degli acquirenti, rurali o urbani, che sono costretti a ridurre altri acquisti, provocando il ristagno e la paralisi dellartigianato o del commercio; a tale livello, di conseguenza - ma anche in campagna -, i salari, in mancanza di lavoro, rimangono bassi e limitano le possibilit di acquisto del lavoratore. Ma lo schema in questione, tipico del periodo moderno, non funziona per i secoli XIV e XV. Ho detto in precedenza che i salari non diminuivano o addirittura aumentavano a causa del forte decremento demografico La forbice dei prezzi e dei salari, almeno in campagna, non assume dunque laspetto di una curva-prezzi in ascesa e di una curva-salari decrescente, ma esattamente il contrario. Ovunque sia stato possibile delinearla, la tendenza indiscutibile. Sembra una esegesi del passo di Matteo.

[239] Artifoni La consapevolezza di un nuovo assetto, pp. 83, 87-88.

[240] Borst Il terremoto del 1348, p. 19: Con laiuto della storia noi potremmo vivere consapevolmente, come gi fanno altri. In Cina e in Giappone moderni geofisici e storici hanno compilato adeguate cronache dei terremoti del loro paese Conoscenze scientifiche ed esperienze di ogni giorno cooperano nel lontano Oriente a preparare la popolazione non ad uno shock isolato, ma ad una minaccia continua; p. 53: Bisognerebbe rispondere alla sfida in modo simile al tardo Medioevo, con la comune premura di molti, con grande respiro e sguardo volto a tutti gli uomini; p. 58: Ci che tremava sotto i loro piedi era la vita, che muove anche i nostri cuori.

[241] Green Chronicle into History, p. 37; vedi anche G. Aquilecchia Villani Giovanni Enciclopedia Dantesca 5 (1976), pp. 1013-16.

[242] G. Aquilecchia Aspetti e motivi della prosa trecentesca minore, in Aquilecchia Schede di italianistica Torino 1976, p. 14, rileva le novit stilistiche in M. Villani, che si segnala per un rispetto notevole per i nessi logici e temporali; vedi anche Aquilecchia Villani Matteo, Enciclopedia Dantesca 5 (1976), pp. 1016-17; in definitiva lesatto contrario di quanto vedeva R. Palmarocchi I Villani (Giovanni, Matteo e Filippo Villani). Secolo XIV Torino 1937, pp. 90-91: Il pi grave difetto della Cronica di Matteo la mancanza di una organica fusione tra ragionamento e racconto. Le sue osservazioni filosofiche sono per lo pi esposte nei Proemii ai singoli libri; seguono i fatti, ordinati quasi sempre cronologicamente e, nonostante qualche tentativo mal riuscito di coglierne le linee generali, scelti senza troppo badare al loro valore storico.

[243] Capitani Motivi e momenti di storiografia, pp. 778-79.

[244] N. Rodolico Introduzione a Marchionne, p. XCIX: A lui mancava quella preparazione artistica, per la quale conservando le naturali doti di popolano scrittore evitasse i difetti.

[245] Marchionne, p. 230: E non bastava solo gli uomini e le femmine, ma ancora gli animali sensitivi, cani e gatte, polli, buoi, asini e pecore moriano; pp. 231-32: Tutte le frutta nocive vietarono a entrare nella citt, come susine acerbe, mandorle in erba, fave fresche, fichi ed ogni frutta non utile e non sana; p. 232: Di questa mortalit arricchirono speziali, medici, pollaiuoli, beccamorti, trecche di malva, ortiche, marcorelle ed altre erbe.

[246] Marchionne, p. 230.

[247] Ibid., p. 232; corsivi miei.

[248] I propositi dichiarati e lo schema generale facevano dire al Massra che si tratta di un opera storiograficamente irrilevante, mentre Gherardo Ortalli nota che poi sono gli stessi fatti a mutare sia la struttura programmatica sia il valore della cronaca; cf. A. F. Massra nella prefazione alla sua ed. della Marca a p. XXXII; G. Ortalli Aspetti e motivi di cronachistica romagnola Studi Romagnoli 24 (1973), pp. 384-85 e Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola, pp. 57-61.

[249] Battagli, pp. 54-55.

[250] Battagli, p. 9; cf. Zanella Machiavelli, pp. 125-26.

[251] Breve Chronicon Flandriae, pp. 14-26.

[252] Vedi ancora per un buon inquadramento A. Coville Gilles li Muisis, abb de Saint-Martin de Tournai, chroniqueur et moraliste Histoire littraire de la Frane 37 (1937), pp. 250-324.

[253] Ibid., in particolare pp. 281, 283, 304.

[254] Gilles le Muisit, p. 224: fama tamen fuit quod ubique, in tota Alamannia et in regnis aliis aut combusti sunt, aut decapitati, aut aliis variis modis sunt interfecti. Certum est quod in comitatibus Lotharingie et Bari combusti fuerunt omnes qui ibidem fuerunt reperti. Nota opportunamente Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 215, che lalternanaza tra notizie certe e dicerie corrente in Gilles. Vedi ancora A. Coville Ecrits contemporains sur la peste de 1348 1350 Histoire littraire de la France, 37 (1937), p. 293; numerosissimi gli episodi del genere, comՏ noto; per una rapida sintesi vedi Biraben Les hommes et la peste, 1, pp. 57-65; fu, in un bilancio conclusivo, in scala europea, le plus grand mouvement de violence contre les juifs quait connu lEurope au Moyen Age (p. 64).

[255] Annales S. Albini Andegavensis, p. 40: Et in provincia Turonensi mitius se habuit quam alibi communiter; vedi anche E. Farge La peste noire en Anjou 1348-1362 Rev. Anjou 3/1 (1854), pp. 94-96.

[256] Gilles le Muisit, p. 104.

[257] Cf. il passo di Heinrich von Diessenhofen, p. 83, all'anno 1351: Et quia cleri devocio defecit, laycorum fides excrescat; sul quale richiama lattenzione Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 140.

[258] Gilles le Muisit, pp. 222-23, 226-48; cf. Coville Documents su les Flagellants, pp. 390-94, 398-99; Biraben Les hommes et la peste, 1, pp. 68-69. Non mancarono le accuse di agire in quel modo propter commodum et temporale lucrum (Chronicon comitum Flandrensium, p. 226); vedi anche Coville Documents su les Flagellants, p. 403.

[259] Cf. Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 64; Mollat I poveri nel Medioevo, p. 225.

[260] Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 138.

[261] Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 48.

[262] Cf. Mollat I poveri nel Medioevo, p. 227.

[263] Gilles le Muisit, pp. 257-58: de potentioribus et ditioribus pauci aut nulli decesserunt et maxime in vicis forensibus et vicis parvis et strictis plus moriebantur quam in vicis latis et locis amplis.

[264] Cf. Biraben Les hommes et la peste, 2, p. 100.

[265] Gilles le Muisit, pp. 255-57.

[266] Ch.-V. Langlois La vie en France au moyen ge de la fin du XIIe sicle au milieu du XIVe sicle, Paris 1924-282, 2, p. 331; Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 135.

[267] Cf Giovanni di Winterthur, pp. 238-39; Heinrich von Herford, pp. 265, 268; in generale Graus Pest, Geiler, Judenmorde, p. 144-45.

[268] Jean le Bel, 1, pp. 224-26; 2, p. 185.

[269] Cf. anche Coville Documents su les Flagellants, p. 398.

[270] Froissart Chroniques, ed. G. T. Diller, Genve 1972, pp. 894-96

[271] Guerchberg La controverse, pp. 3-40; Biraben Les hommes et la peste, 1, p. 65.

[272] Das Buch der Natur, pp. 107-13.

[273] Possibile allusione, mi suggerisce Andrea Tabarroni, ad Ockham.

[274] Krger Krise der Zeit, pp. 871-77.

[275] Annales Frisacenses. Continuatio, p. 67

[276] Borst Il terremoto del 1348, p. 24.

[277] Mi discosto qui fortemente dal commento del Borst Il terremoto del 1348, p. 20: Ci che accadeva stavolta non era previsto dalla Bibbia: la Chiesa di Dio era lesa. Lo scrivente annotava linconcepibile, perch anche i lettori delle et successive sapessero che era accaduto e poteva accadere di nuovo, che non mi sembra fondato, perch, pur partendo dalla constatazione di un fodamento biblico nel passo, finisce proprio col negargli validit didattica ed escatologica.

[278] Continuatio Novimontensis, pp. 673-76.

[279] Cf. quanto dice per Trento Giovanni da Parma, p. 51: multae personae insaniebant.

[280] Ibid., pp. 674-76.

[281] Die Klner Weltchronik, 1273/88-1376, ed. R. Sprandel, MGH SS n. s. 15 (1991), pp. 88-93.

[282] Con una notazione cronologica singolare, p. 92: circa annum Domini MCCCL. et duobus annis sequentibus, che leditore suggerisce di intendere come un errore: i due anni precedenti, non seguenti.

[283] Cf. supra nota 110.

[284] P. 90: Que quidem perniciosa et execranda societas velud zizania inter triticum in agrum ecclesie auctore dyabolo, humani generis inimico, seminata ad instar male segetis subito pullulantis sub brevi temporis inicio in tantam convaluit multitudinis ubertatem.

[285] P. 91: in totum evanuit quasi fumus; incensis domibus et habitacionibus ipsorum et thesauris omnibus spoliatis.

[286] Cronicae S. Petri Erfordensis moderna. Continuatio III, in Monumenta Erphesfurtensia., pp. 378-82.

[287] Franciscus Pragensis, pp. 449-52.

[288] Nota Borst Il terremoto del 1348, pp. 31-32: In realt il regno di Boemia non fu il solo a rispondere alla crisi del 1348 con la territorializzazione e la burocratizzazione della societ e della scienza. A questo nuovo ordine doveva appartenere il futuro dellEuropa, ma nel presente del XIV secolo esso non si afferm. Oltre i progetti divergenti dei dotti e dei politici resisteva ancora unintrepretazione del mondo che li univa, quella religiosa.

[289] Carpentier Une ville, p. 222: malgr le dsorganisation qui a paralys pendant quelques semaines la vie politique dOrvieto en 1348, linfluence de la peste parat minime, longue chance, sur les vnements eux-mmes. Elles est beaucoup plus dterminante sur latmosphre psychologique dans laquelle ils se sont drouls; p. 224: Sur le plan psychologique, son rle est mme capital: elle fait comprendre aux Orvitans que lՎpidmie de 1348 na pas t un accident unique et exceptionnel, mais que la menace est toujours prsente.

[290] Borst Il terremoto del 1348, pp. 17-20. Cf, per un parallelo, Figluolo Il terremoto del 1456; cf. 1, p. 68: Il terremoto un evento locale, casuale e naturale, da non caricare di troppo reconditi significati generali, e che, si sa, verr presto assorbito e dimenticato.