Hereticalia italica

Il quadro degli studiosi di eresia medievale in Italia non si è di molto alterato da quando, una decina d'anni fa, ce ne occupammo 1 : scomparsi i maestri Ilarino da Milano, Christine Thouzellier e Raoul Manselli, i più anziani hanno riedito i loro lavori, i più giovani hanno continuato, fornendo nuove prove, ma sono rimasti gli stessi. Di un qualche nuova leva bisognerà dire; di altri, solo generici od occasionali od inopinati cultori di cose ereticali, non metterà neppure conto accennare.
Nel 1978 parlavo di "malessere ereticale" 2 ; oggi leggo: «... più che ad eresie organicamente strutturate, aventi quella linearità che poi riscontriamo soltanto nei trattati inquisitoriali, ci troviamo di fronte ad un mondo pervaso da un 'malessere ereticale', un mondo alla cui base ci sono le istanze pauperistiche, l'aspirazione al rinnovamento integrale della Chiesa, il desiderio da parte dei laici di maggiore partecipazione alla vita di questa in qualità di attori e soggetti»; ed ancora:«C'è un malessere determinato dalle incongruità proprie della realtà in cui i singoli operano e tale malessere si dispiega sotto forme che sono senz'altro eretiche, che l'autorità costituita, sia essa civile o religiosa, come tali colpisce; una situazione di disagio in cui motivi religiosi e politici, istanze sociali, si incrociano...» 3 : anche se non si rimanda esplicitamente a quel mio lavoro la cosa non può che farmi piacere 4 . Perfino il Manselli ha inserito nella riedizione del suo L'eresia del male nel 1980 una frase che non era nell'edizione del 1963: «... la fisionomia del catarismo, come di una eresia che nei suoi molteplici volti, ha tentato di offrire alle nuove masse dell'Europa dopo il Mille, una fede di consolazione esistenziale» 5 . Finalmente leggiamo, in un lavoro di un grande esperto del valdismo italiano:«il rapporto del valdismo alpino con le sue presunte fonti è forse tutto da riconsiderare: come da riconsiderare è l'effettiva incidenza sulla religiosità delle popolazione montane dei catari» 6 . E leggo:«Le origini occidentali [dell'eresia] affondano nella crisi che attorno al Mille si manifesta nella Chiesa e nella società, e risentono di una condizione obiettiva di disagio e di irrequietezza» 7 . Infine la Lomastro:«Se l'eresia seppe fare adepti sia tra gli abitanti di borgo San Pietro, artigiani, professionisti, ma anche semplici salariati, sia sul Colle, tra nobili di sangue o di denaro, vuol dire che sapeva rispondere ad esigenze e inquietudini diverse, che coagulava aspirazioni e malesseri diffusi che attraversavano verticalmente la società del Duecento» 8 .
Dicevo ancora che l'eretico è colui che non riesce a tenere il ritmo di rapida trasformazione di quei tempi, e che risolve questa sua incapacità in una scelta spirituale; oggi leggo:«E non si può pensare che gli aspetti religiosi facciano da velo a realtà "strutturali" diverse; anzi, sembra essere il contrario, non come trasferimento sul piano religioso di tensioni, di insoddisfazioni e di crisi che religiose non sono, con forme di sdoppiamento inspiegabili, ma come riduzione ad un'unica prospettiva e valutazione di tutti i valori umani. Ed è proprio in questo che le eresie rappresentano un ritardo culturale e l'incomprensione profonda di un mondo in trasformazione» 9 . E ancora:«l'esperienza religiosa catara muoveva parallela al fluire della vita degli uomini, quando non estranea alla dinamica delle relazioni, istituzionalizzate o spontanee, tra individui, gruppi ed enti. Ciò che inizialmente era stato un elemento di forza, alla lunga si trasformò in motivo di debolezza: l'estraneità rispetto al divenire storico, mondano, che aveva favorito l'iniziale diffusione e il radicamento dei catari, esempi viventi di evangelismo povero e spirituale, si rivelò in seguito un grave limite...» 10 .
Ho scritto poi di "disagio" storiografico nei miei coetanei eresiologi, ed oggi leggo:«Cercheremo di lumeggiare la figura di Dolcino, del suo predecessore, dei suoi seguaci, provando a mettere in evidenza tutta una serie di problemi non ancora risolti o, peggio, risolti con risultati talmente contrapposti che, lungi dal portare il lettore a schierarsi da una parte o dall'altra, riescono soltanto ad acuire una sensazione di disagio, originato dalla coscienza che la verità forse sta al centro o, forse, è da ricercare da tutt'altra parte; forse non si riuscirà mai a scoprirla» 11 ; ed ancora:«... occorre fare tutta una serie di precisazioni che - ironia della sorte - non ci preciseranno nulla e l'unica certezza che ne ricaveremo sarà quella di aver acuito il senso di disagio cui accennavamo» 12 . Segno che quel che dicevamo è stato accettato 13 , ma solo in parte, quella "negativa" - quello che non sono gli eretici -, con riserve nette che permangono per quel che riguardava le proposte "positive" - quel che possiamo dire per certo degli eretici. Sì, certo, va bene il disagio, ma insomma quello che noi vogliamo sapere - sembra che mi si dica - è pur sempre quel nucleo organico - forzatamente dottrinario, dunque - peculiare di quell'eresia che analizziamo 14 . Se io dicevo che era infecondo accanirsi sulla dottrina, leggo ancora in Orioli:«... in questo periodo le etichette sono meno denotanti di quanto vogliano farci intendere gli inquisitori e di quanto noi stessi, per un innato e più o meno consapevole desiderio di sistematicità, vorremmo fossero, anche al fine di poter più facilmente codificare certe realtà» 15 - e si noti il "disagio" e la riluttanza di quel «vorremmo» 16 -, e Paolini prima constata:«Il problema infatti dell'eresia non è tanto il risultato di una teorica disputa dogmatica, quanto essenzialmente una varia esperienza esistenziale e religiosa di non conformismo», ma poi si «meraviglia» della «sconcertante leggerezza e semplicismo con cui» gli eretici si accostano al Vangelo 17 . Negavo ogni capacità di superare l'impasse ricorrendo in questo caso al "sincretismo ereticale" come avevano fatto Gonnet e Merlo 18 , e la cosa mi pare oggi accettata 19 .
Il disagio di cui parlavo allora, però, mi sembra del tutto superato: nuove certezze hanno preso il posto dei tentennamenti, soprattutto metodologici, del passato, anche se questo non significa che oggi ci sia un accordo di fondo tra gli studiosi.
Tutt'altro. Direi anzi che quello che si delineava come difformità interpretativa oggi si è chiarito come netto distanziarsi degli approcci e - ovviamente - dei punti di arrivo.
Così come allora la domanda di partenza comune - mi parve - era:«chi sono gli eretici?», oggi le domande sono altre: quale il significato dell'esperienza ereticale nella società contemporanea? Quale il ruolo dei contradittori? Quanto è profondo il solco da cui scaturisce l'eresia? E quanto è lunga l'onda ereticale? Variamente si è risposto, ma sostanzialmente eludendo quella prima questione - l'identità dell'eretico - che a me era sembrata di preliminare rilevanza. Come mai?
Ci possono essere solo due risposte: o la questione non è stata giudicata affatto rilevante, oppure ad essa si è data soluzione non direttamente, ma enumerando una casistica che intrinsecamente costituiva il ritratto di eretico cui si tendeva.
Sarà necessario partire di lontano. Il "malessere ereticale" - al quale oggi mi permetto di credere con rinnovata sicurezza - si manifesta nel basso Medioevo con un così vario aspetto da rendere impossibile il redigerne una tipologia 20 . Per quanto qualche tentativo in merito sia stato fatto - ma non in Italia! - l'eresiologo italiano ne è così profondamente cosciente da essersi dedicato quasi esclusivamente a moltiplicare le proprie informazioni per segmenti cronologici e geografici, con il rischio di smarrire quel dato certo che pure accumuna l'argomento: la devianza religiosa. Eppure non è mancato chi ha avvertito del pericolo della frammentazione 21 . Senza pretendere senza ragioni quello che non è sempre lecito chiedere 22 , bisognerà pur dire che se si studia l'eresia, a Genova come nel Friuli, e/o si analizza il rapporto eresia/mestiere, eresia/sodomia, eresia/donne, eresia/comportamento, e via all'infinito o quasi, vogliamo dire, si dovrà ricordare che si studia l'eresia, o almeno quella che viene presentata come tale. La quantità di informazioni che possiamo trarre da nuove letture, da nuove fonti, o da riletture, o da fonti più acutamente indagate, non possono servire all'unico scopo - pur preliminare, doveroso - di accrescere quantitativamente i "dati" del problema, quanto piuttosto ci devono aiutare a chiarire un fenomeno ancora per molti versi oscuro nelle motivazioni di fondo, e qualche volta anche nelle sue stesse manifestazioni esteriori. Quanto ci consente di procedere oltre studiare la "cittadinità" degli eretici, dove si addensano 23 , se tutto ciò non è dimensionato alla comprensione del fatto eminentemente religioso? Indubbiamente utile radunare un mazzo di schede più nutrito di eretici 24 ; ma se poi quel materiale rimane senza commento ulteriore, senza giustificazione interpretativa, un clip di un dossier senza seguito? La pura raccolta di informazioni si giustificherebbe se effettivamente degli eretici sapessimo poco; tanto poco da non presentare altro che quelle schede. Il che non è sicuramente oggi, e sicuramente oggi in Italia. Ma certo si può pensare che il lettore odierno è così erudito nel tema da rendere addirittura inutile affermazioni consequenziali ovvie, e questo potrebbe essere, se poi comunemente a queste ovvietà si facesse seppur implicito riferimento. Ma così non è, ed allora la nostra perplessità si muta nell'insoddisfazione piena di chi vorrebbe sempre sapere di più e si trova continuamente costretto a fare il percorso che altri avrebbe dovuto fare prima, e sicuramente avrebbe potuto fare meglio.
Ho negato in passato fecondità alla ricerca dei contenuti dottrinari, e credevo che oggi nessuno ci credesse più. A proposito dell'area veneta ci si è provato ancora una volta - e credo per ultimo - lo scomparso Paolo Marangon, in un libretto che la premessa voleva dedicato a registrare «la viva voce degli eretici» 25 , ma ben scarso è stato il bottino raccolto, assolutamente indefinibile in flussi di pensiero, ma neppure di credenze, oltre affermazioni singole, del resto non sempre perspicue. Insomma non ci si vuole convincere del «modesto e ovvio patrimonio dottrinale del catarismo» 26 .
Nel movimento dolciniano, invece, Orioli vede proprio la negazione della chiave interpretativa da noi proposta:«Se confusione c'era, se malessere di fondo poteva esserci... essi trovano nel movimento apostolico e nella figura di Dolcino una precisa e non generica risposta che, da una parte, sembra soddisfare le esigenze dell'individuo calato nel proprio quotidiano, e dall'altra sembra imporsi quale motivata e autorevole alternativa ad una realtà sofferente per le contraddizioni proprie dei momenti di transizione. Nel caso specifico degli Apostolici dolciniani, la risposta concreta ch'essi offrono alle istanze e alle esigenze diffuse, l'orgogliosa 'filosofia della storia' operata dal Novarese, l'inveramento del credo teorico in prassi esistenziale - vuoi nel raccogliersi, tutti insieme, in un luogo sicuro, vuoi nella resistenza armata - e, non ultime, le preoccupatissime attenzioni e reazioni delle autorità, permettono di supporre legittimamente che l'alternativa offerta dal movimento apostolico travalicasse i limiti di una diffusa angoscia esistenziale o quelli di generico malessere socio-religioso per porsi invece, a tutti gli effetti, sul piano, teorico e concreto, di una nova religio, di un valore 'positivo' in cui credere e per il quale agire» 27 . «E di fronte alle contingenze ecco la concreta risposta dolciniana, ecco il superamento attivo del malessere: ecco la scelta politica e il probabilissimo schieramento a fianco dei Visconti; ed ecco le adesioni in Piemonte, che costituiscono la più lampante dimostrazione, non solo dell'evoluzione della teoria in prassi esistenziale, ma anche del superamento dell'angoscia e del ritrovato significato esistenziale mediante la scelta di fede» 28. Insomma quando «resistono o combattono, hanno trovato una loro precisa e definita dimensione esistenziale; hanno trovato la risposta - e la soluzione - a dubbi o malesseri, operando una scelta, divenendo Apostolici, o meglio, Dolciniani, di fatto» 29 . Proposta convincente? Per parte mia credo che quando «l'eretico si arma, resiste, si difende, attacca, combatte» 30 , al contrario, la sua parabola non abbia più nulla di "ereticalmente" significativo: anzi celebri nella volontà di resistere armato - per scelta o necessità non importa 31 - la sua sconfitta ad incidere; ed ancor più - nella fattispecie - se tutta l'estrema vicenda di Dolcino debba essere intesa come strumentalizzazione viscontea, vale a dire se fosse vero che «ex condicto et ordinatione et inductione dicti Mathei predictus hereticus Dulcinus congregavit exercitum super montem» 32 . Ma vediamo attentamente: le ragioni del seguito di Dolcino sarebbero da individuare in un programma filosofico-esistenzial-politico:«Il movimento apostolico-dolciniano, dunque, appare un sicurissimo esempio di risposta positiva ad un malessere che in altre zone e per altre realtà sembrerà non riuscire a trovare seri sbocchi e reali concretizzazioni. La 'filosofia della storia' del Novarese, la promessa catartica di un mondo nuovo qui sulla terra, la lotta armata, la significativa coincidenza di intenti con la strategia viscontea - altra risposta 'in positivo' ad un malessere questa volta di ordine politico - spiegano forse più di qualsiasi orpello letterario o di qualsiasi strumentalizzazione ideologica la sopravvivenza e il 'successo' del mito dolciniano» 33 . A parte la non marginale osservazione che «... il pensiero dolciniano a noi noto è soltanto quello riportato dalla parte avversa...» 34 , Orioli si premura di farci sapere le ragioni del successo dell'iniziatore del movimento, Gerardo Segarelli:«forse è proprio l'estrema semplicità del suo credo e del suo essere a decretarne il successo» 35 . Penso non si potrebbe dire meglio di così:«piace lo zelo religioso, piace l'attuata povertà, piace la scenografica gestualità, piace la mancanza di spocchiosa superiorità e la cordialità dell'approccio, piace l'incontestabile buona fede dell'iniziatore, piacciono le parole semplici, pronunciate da persone che hanno lo stesso accento, le stesse cadenze dialettali di coloro ai quali si rivolgono; soprattutto, ed è importante, piace il coinvolgimento religioso che quest'Ordo Apostolorum permette, la possibilità ch'esso offre a chichessia... di gestire in prima persona le proprie istanze religiose» 36 . E le cose non cambiano con i dolciniani:«Ancor prima che la coscienza dell'approccio con una religiosità vissuta su di un piano più accessibile al fruitore di quanto non potesse essere la religione ufficiale, giocava molto, a favore della simpatia nei confronti degli eterodossi, proprio la stima e il rispetto personale ch'essi sapevano suscitare» 37 . Che cosa ci può essere in tutto questo di "eretico"? Nulla, assolutamente nulla. Tranne il conferimento di autorità a chi questa autorità non è stata istituzionalmente concessa: questa è l'eresia, e non solo dei seguaci del Segarelli. Ma si rifletta ancora attentamente che non c'è assolutamente nulla tra i motivi del successo che sia in una qualche maniera istituzionalizzabile; tranne la figura del capo. Segarelli non volle essere capo, ma lo era di fatto, e fu condannato - dopo diversi anni e tentennamenti - come eresiarca; Dolcino invece volle assumersi consapevolmente l'onere del capo: questo lo rese - con molti minori problemi per chi lo doveva condannare - eresiarca. Gli altri sono solo seguaci: ben si sapeva, come dice il Compagni riprendendo Matteo, che «Percosso il pastore, fiano disperse le pecore» 38 che tolto di mezzo il capo un movimento non altrimenti strutturato si sarebbe dissolto: e così avvenne. Ma allora perché chiedersi altro? Dire:«dispiace molto... non poter essere in grado di determinare se i gruppi facenti capo a Guido Putagio e a Matteo della Marca fossero soltanto il segno di una adesione a leaders diversi o non piuttosto, e più probabilmente, il riflesso di indirizzi, comportamentali e fors'anche teorici, diversi o in fase di differenziazione» 39 , e:«L'episodio della gestione del Putagio... fa supporre la mancanza, in seno al movimento apostolico, di vere e proprie riserve teoriche per quanto poteva concernere la funzione di un capo. Ciò potrebbe spiegare, almeno in parte, il perché dell'accettazione di Dolcino...» 40 , significa continuare a sostenere che non ci può essere seguito senza un vero, solido, articolato nocciolo dottrinale. Salvo poi cercarlo all'infinito e non trovarlo mai. Gli inquisitori non riescono ad incasellare l'eretico che hanno di fronte con la precisione necessaria nelle sette ereticali previste dai manuali? Perché quell'eretico non appartiene proprio a nessuna setta, né coscientemente né incoscientemente. Eppure ecco l'interprete moderno, per salvare sè e l'inquisitore, ricorrere al sincretismo dottrinale, «alle possibili frammistioni eterodosse» 41 , o, peggio, al mimetismo ereticale, alla simulazione, al travestimento, e via di questo passo. Ma per i dolciniani pare sia diverso: trovata la prima lettera di Dolcino - di cui parla Bernard Gui -, il gioco è fatto:«Gli Apostolici, ora, non hanno più soltanto una prassi comportamentale; gli Apostolici hanno trovato i loro dogmi, il loro credo, la loro speranza» 42 ; salvo poi spiegare le ragioni del seguito «con un amore ad personam che travalica la pervicace ostinazione in una fede ma, talora rasentando il fanatismo, si tramuta in fiducia e devozione, in incrollabile sicurezza nei confronti di quel caput che avrebbe trascinato i suoi fedeli al trionfo finale» 43 , e salvo poi ammettere tranquillamente che «questo gran seduttore di folle, questo temibilissimo eresiarca... non sembra essere stato... né particolarmente originale né particolarmente eversivo sul piano teoretico» 44 ; la resistenza armata è più che altro «tenacia difensiva», e non è azzardato ritenere che Dolcino abbia poi mutato più volte il suo credo 45 ; salvo poi dire che «nella maggior parte dei casi la parola apostolica si rivolgeva ad un pubblico di grande semplicità intellettuale e quasi sempre privo di bagaglio culturale, portato a cogliere nessi con la realtà conosciuta - politica e religiosa - e ad esser colpito da esempi semplici ed immediati ma non certo in grado di recepire minuzie e profonde disquisizioni» 46 ; non solo: la dottrina c'è sicuramente, ma in fondo non conta:«Quale e di che portata fossero la recezione e l'effettivo apprendimento del pensiero dolciniano, anche se la maggior parte degli ascoltatori ne aveva soltanto una nebulosa, epidermica concezione e anche se, in taluni casi, esso veniva frainteso o comunque modificato, resta però l'indubitabile dato di fatto dello spontaneismo numeroso delle adesioni, dell'incrollabile fiducia dei fedeli» 47 . E rimangono comunque fatti curiosi:«nel Dolcino del Gui, il Dolcino esegeta» non c'è neppure consonanza con gli "Apostolici" dei processi bolognesi per quanto riguarda l'identificazione delle auctoritates scritturistiche, perfino siamo lontani dal Segarelli:«se in Gerardo il verbo evangelico non ammetteva - e non necessitava - interpretazioni, in Dolcino l'autorità biblica diviene un supporto - o meglio, il supporto per eccellenza - della teorizzazione» 48 . Ma poi il garbuglio diventa macroscopico: il confronto tra quanto riferito dal Gui, da Jacques de Thérines e dall'autore dell'Historia , che solo a costo di capriole possono dialogare sensatamente, non deve condurre a soluzioni banali, perché «altrimenti non sarebbe minimamente spiegabile il successo della sua parola» 49 , come se invece, altrimenti, quel successo sarebbe spiegabile! Ci si attacca al dolcinianesimo come Linus alla sua coperta: altrimenti sarebbe il vuoto. Poiché «v'eran maestri universitari che si recavano ad ascoltare quest'uomo "qui dicebat mirabilia"» 50 , che cosa è lecito dedurre? A mio modesto avviso proprio nulla, come assolutamente nulla dedurrei dal fatto che professori universitari oggi vadano in visibilio per Renzo Arbore. E che senso ha accanirsi in questo modo sulla fantomatica terza lettera:«Forse composta durante lo stanziamento valsesiano, avrebbe potuto contenere, probabilmente , una nuova procrastinazione degli eventi vaticinati, attesi e non verificatisi; e un'accentuazione delle tematiche più 'sovversive'; e un invito, a tutti i fedeli del movimento, al monte della salvezza, all'ultimo rifugio. Forse scritta nel periodo biellese, avrebbe potuto essere, soprattutto, una disperata richiesta d'aiuto. Forse scritta, infine, a Martinengo, attorno al '305, avrebbe potuto essere l'enunciazione teorica di un estremismo comportamentale, prossimo ad essere applicato concretamente ed il bando ufficiale per il raduno dei fedeli...» 51 ?
Ed ecco infine la conclusione:«Se non è priva di suggestione l'identificazione de «i fallimenti delle illusioni esistenziali del Medioevo...» come «l'esperienza fallimentare della storia dell'umanità» 52 , e «se ci si può trovare tutti d'accordo, oggi, nel non accontentarci, per definire l'eresia, dell'aforisma secondo il quale un eretico è tale solo nel momento in cui come tale viene definito e giudicato, non è neppure accettabile, perché, oltretutto, pericolosamente incline a creare un medesimo tipo di etichettamento, il concetto del fenomeno ereticale inteso quale stato, o meglio, substrato, esistenziale di quotidianità» 53 , e in aggiunta:«l'eccessiva dilatazione del concetto di malessere fa correre il rischio di attribuire al cosiddetto eretico una veste di non volontà che lo porterebbe a porsi nei confronti del processo inquisitoriale, che come eretico lo definirà, in uno stato d'animo simile a quello di un paziente di fronte ai misteri via via rivelatigli dal suo analista; come colui, cioè, che quasi attenda dalla definizione inquisitoriale la giustificazione e la spiegazione del proprio essere e del proprio malessere. Il che risulta, alla fine, una dilatazione del ben più sottile assioma morgheniano. E il che equivale, in sostanza, ad una negazione dell'effettiva realtà dell'eresia, intesa come scelta cosciente» 54 . E' proprio la scelta volontaria che vanifica la mia proposta interpretativa:«In realtà un Apostolico - ma anche un Cataro o un Valdese o un qualsivoglia altro eterodosso che non soltanto venisse giudicato tale ma che tale si dichiarasse - faceva - e viveva - un'affermazione di autonomia decisionale, affermazione che da sola basterebbe a dimostrare il superamento del malessere» 55 .
Ragionamento pienamente convincente; se così fosse in realtà, e non è. O dobbiamo cancellare dagli atti dei processi tutti quei passi da cui risulta che gli eretici non si rendono affatto conto di essere tali, non hanno mai sentito parlare delle sette che li si accusa di ingrossare, partecipano attivamente agli atti di culto, celebrano i santi, chiedono indulgenze, si confessano, fanno atti di penitenza e di carità? Da che altro si misura la consapevolezza della scelta, se questa «non ha nulla a che vedere con la possibile indeterminatezza della recezione del credo ereticale da parte del credente, nulla con l'eventuale genericità comportamentale, nulla con la frequente e possibile confusione di temi e di modi da parte del singolo, nulla con l'inquadramento schematizzato e limitativo sovrapposto dall'inquirente» 56 ? Come è comprensibile la volontà di scegliere "diversamente" se non si capisce affatto poi come sia possibile ridurre ad un minimo di omogeneità questo "diverso" credere? Il voler professare più intensamente la propria spiritualità non significa automaticamente che lo si debba fare seguendo solo certe vie, tanto meno, a rigore, quelle ereticali. Ma qui siamo di fronte ad un equivoco ricorrente: l'eretico che sceglie l'eresia per essere più coerentemente cristiano. Non è così. Per lo più è l'insicuro, l'incerto sulle forme della propria fede che volendo far qualche cosa a tutti i costi finisce col divenire sospetto-credente-fautore di eresia. Quando lo si mette di fronte all'inquisitore - non certo nel caso di eretici defunti, che sono, sottolineiamo, numerosissimi! -, il rispetto, la convinzione, la capacità di comprendere, ma anche la tortura e la testardaggine - santa e meno santa - dei singoli, portano a soluzioni diverse, dall'abiura alla scelta di perseverare fino al rogo. Neppure la scelta della fuga, e quella armata - nella quale Orioli crede di vedere la cifra dell'alternativa Dolcino - si può dire scelta consapevole e "contro", perché per lo più dettata da ragioni di necessità, come Orioli in fondo sa bene e dice. Dire:«ecco la dimostrazione più clamorosa del superamento attivo del disagio esistenziale: nel momento in cui un qualsivoglia credente o fautore o simpatizzante raggiunge Dolcino per vivere - e combattere - con lui, costui diviene Dolciniano» 57 , significa che tutti gli "eretici" che non combatterono non erano "eretici", cioè che solo i dolciniani sono eretici? O se invece la scelta di raggiungere Dolcino sui monti è solo un "segno" - aggiuntivo, ulteriore, probante, eclatante - di quella "scelta contro", quali altri diversi "segni" possiamo identificare? Neppure nel movimento apostolico è ravvisabile un caso di unicità eccezionale 58 . Consideriamo questo profilo della vicenda di Pietro da Lugo:«La sua iniziale adesione all'eresia è forse il prodotto d'un malessere genericamente e generalmente diffuso, la sua condanna è forse il risultato della metodica applicazione di clichés standardizzati, ma la sua azione, il suo convincimento, il suo credo, il suo essere in quanto Apostolico, hanno una connotazione di autonomia cosciente, di attivo, preciso ed inequivocabile, superamento dello stato di crisi esistenziale. Pietro non viene solo giudicato Apostolico; Pietro è  Apostolico, dunque Pietro è » 59 . Ma che c'è di diverso dal caso di centinaia di altri eretici? Questa identità, fatta scaturire da un movimento cartesiano, come si distingue da quella di un altro qualsiasi Giuliano o Maria "eretici"? Veramente non comprendiamo. Dopo che si è sostenuto:«ecco la teoria scaturire dalla pratica e dalla contingenza» 60 , come si può ugualmente affermare:«quello che, con Gerardo Segarelli e i suoi primi seguaci, era uno dei tanti movimenti pauperistici e penitenziali improntati all'exemplum della vita evangelica, con Dolcino diviene chiesa alternativa, ideologia e teologia della storia; e in questa visuale - o meglio: anche in questa visuale - divengono più facilmente comprensibili la resistenza e la lotta armata» 61 ? Per il manifesto ideologico che Orioli ravvisa nelle lettere di Dolcino riportate dal Gui? Ma se lo stesso Orioli non esplicita che continue perplessità sulla consapevolezza e sulla profondità della recezione dottrinaria... E chi ha scritto:«E perché mai, poi, un teorico ereticale, quale fu Dolcino, avrebbe dovuto produrre tematiche e teorie completamente ex novo ? perché mai avrebbe dovuto essere immune - o esserne assurdamente estraneo - da tutti i fermenti religiosi della sua epoca?» 62 ? E perché mai, diciamo noi, la sua vicenda ereticale dovrebbe essere allora "diversa", eccezionale, unica? Per il carisma del capo? Certamente, ma non è certo caso raro; la rarità consiste nell'estrema difesa, che pure per Orioli ha spiegazioni diverse e contingenti. Non si vede a che cosa ancorare questa "alternativa", per quanto ci si sforzi. «... soprattutto suggerimento rivitalizzante per un concreto superamento del disagio provocato dalla crisi politico-esistenziale del momento» 63 ? La ripetitività non significa perspicuità: nonostante «ecco la vera novità dolciniana» non procediamo di un micron. «Ma l'adesione al credo dolciniano, pur nelle frequenti limitazioni intellettive della recezione, era anche il potersi sentire attivamente partecipi grazie alla fede eterodossa e di contro ai freni imposti dall'ortodossia, di una dimensione salvifica e operante» 64 . Non si può dire lo stesso per ogni "eretico"? O non è forse vero che tutti gli eretici, indistintamente, negano che sia la via dei frati a condurre alla salvezza, volendo dire ovviamente che la propria è la via retta?
Ma se non è neppure la dottrina su cui dobbiamo moltiplicare lo sforzo. quali paradigmi dobbiamo considerare? La persona dell'eretico, dicevo. Leggo oggi:«Può sembrare assurdo, ma più si entra nel merito, più si esaminano le fonti e non solo quelle considerate canonicamente dolciniane, più si ha la netta impressione che apostolici dolciniani fossero soltanto quelli che con Dolcino combatterono sui monti o che ebbero a che vedere con lui, lo conobbero, intrattennero rapporti più o meno diretti. Per gli altri dobbiamo accettare le definizioni inquisitoriali, le etichette che per sistematicità e talora per ragioni di opportunità gli inquisitori appiccavano» 65 . Ma non basta. Non starò a ripetere, perché l'ho gia fatto, una esemplificazione che facilissimamente si potrebbe replicare fino a comprendere diverse decine di casi, dalla quale si evince che non è quello che l'eresiarca diceva a colpire, a giustificare il successo di un'eresia, quanto invece il fatto che era colui al quale si fa risalire l'origine dell'eresia a colpire chi lo stava ad ascoltare. Gerardo Segarelli «quello zotico, incolto, incapace di ripetere anche una semplice frase come "Penitentiam agite", storpiandola, come fa, in "Penitençagite", riesce a coagulare attorno a sé un numero sempre crescente di adepti, un'adesione a livello popolare che non si ferma a Parma» 66 . La ragione del successo non è nella dottrina, come per Dolcino, perché in lui - come in Dolcino - «di veramente nuovo non c'è nulla; di originale ben poco» 67 , ma perché, come dice un teste «sembrava un uomo buono e diceva belle parole» 68 , che spesso d'altra parte non si sanno ripetere, ma neanche ricordare genericamente; «e non è reticenza: stimano gli eretici perché li ritengono dei boni homines , sono buoni per cui altrettanto buona deve essere la dottrina che predicano, quale essa sia» 69 .
Tutt'altro discorso va fatto per gli uomini di chiesa che esprimono la condanna: Salimbene denigra il Segarelli, ma la sua vicenda è «interpretata come un'imitazione "deviante" del francescanesimo» 70 . «Interpretata», non è affatto vero che lo fosse. Bernard Gui «è un inquisitore tutto teso a codificare ciò che a noi sempre più sembra difficilmente codificabile» 71 . Giudizi che si potrebbero tranquillamente estendere, tanto più che poi risulta evidente che il reclutamento sociale degli eretici non appare significativo, nè i loro addensamenti, la presenza femminile nemmeno, in tema di etica economica non risulta che «la neutralità morale del lavoro nell'ideologia catara» 72 . ed in particolare, per quel che riguarda l'usura, «l'attività feneratizia sembra non interessare affatto l'inquisitore, il quale, d'altra parte, anche quando le circostanze processuali lo inducono ad imporre la proibizione, dimostra comunque in proposito un tiepido interesse ed un'ampia disponibilità a soluzioni di compromesso» 73 . Tuttavia gli inquisitori non potevano fare diversamente: altrimenti l'eresia sarebbe risultata loro incomprensibile:«Gli stessi processi... sono funzionali al fine di cercare di meglio comprendere l'ideologia dolciniana, ma possono essere devianti qualora li si ritenga esemplari delle forme e delle basi su cui poggiavano le adesioni degli adepti» 74 . Vale - mutatis mutandis - per i nostri eretici quello che scriveva Ovidio Capitani per i patarini milanesi:«Le implicazioni dottrinali, chiaramente istituzionali, al limite "ideologiche", per tutti i Patarini, sono una necessità nella logica dei cronisti milanesi: io non ho mai pensato che fossero nella logica dei Patarini» 75 . Vale a dire che il giudizio che dobbiamo dare dell'operato di chi condanna l'eresia - non solo gli inquisitori. ma anche i papi, i governanti comunali, gli imperatori - va dimensionato sull'analisi complessiva degli intendimenti di chi condanna. E gli intendimenti saranno via via diversi, con differenziato peso e volontarietà.
Eppure, ripeto, non si deve dimenticare la specificità religiosa del fenomeno. Credo definitivamente tramontata anche la stagione interpretativa dell'eresia come coagulo di malcontento sociale, e tanto meno politico. Ma allora, se l'eresia non è lo specchio per rivendicazioni politico-sociali, se la dottrina è troppo povera e confusa, in che cosa consiste la peculiarità religiosa ereticale?
Qui le citazioni da lavori dei miei colleghi si riducono drasticamente.
Ma mi pare difficilmente discutibile che se al malessere ereticale gli uomini di chiesa rispondono con una spesso cieca sicurezza assertoria, un ugual malessere si rivela prepotente nel mondo laico (per quanto si possa usare quel termine), oltre che in qualche uomo di chiesa di cultura.
Vediamo di chiarire il concetto di pericolosità. Leggiamo Merlo:«Estremizzando i concetti stessi utilizzati da Salimbene, si sarebbe tentati di affermare che la "fatuitas" del popolo cristiano si era incontrata con la "stultitia" di Gherardo e degli Apostolici: il loro successo e la loro pericolosità non trovavano forse ragion d'essere anche in questa convergenza? In tal senso si potrà parlare di un movimento "popolare" , non solo dal punto di vista sociologico, ma antropologico-culturale?» 76 . Alle sue domande Merlo sembra propenso a rispondere di sì, salvo poi aggiungere che «un movimento che tuttavia, nel suo dialettico riferirsi ai modelli delle organizzazioni religiose a cui si affiancava mimeticamente, non può non porsi presto il problema dei rapporti con la Chiesa e della propria definizione istituzionale» 77 , il che ci pare non solo giusto ma doveroso. Una proposta popolare, dunque, al di fuori del monopolio dei comportamenti religiosi fortemente voluto dai Mendicanti, in cui consiste la ragione prima del successo/pericolo, poi mimesi dell'ordinamento della Chiesa ortodossa che trascina ad una istituzionalizzazione del movimento ereticale. Il che presupporrebbe una nitida coscienza di essere "altra cosa" dalla Chiesa: ma da quali elementi possiamo dedurre la presenza di una simile autocoscienza? Al contrario quasi tutto ci porta a concludere che quelli che ci vengono presentati come eretici credono fermamente di essere cristiani 78 , e non risponde a verità che si credano più cristiani degli altri, ma così, semplicemente, come danno fiducia a chi si presenta per quel che dice e fa come un "bonus homo", rifiutano credibilità al frate che cavalca «pingues equos» invece di camminare, e che mira ad approfittare dei beni sequestrati agli "eretici": si credono veri cristiani. Basti pensare ai moti antiinquisitoriali:«il s'agit moins d'une critique des principes juridiques de la répression contre les hérésies, que d'un désaccord sur certains points précis de la lutte contre les hétérodoxes: désaccord basé sur des raison morales et sur le fait que le ou les condamnés jouissent d'une estime publique supérieure à celle qui entoure les juges, ou que la sentences est retenue arbitraire, ou encore que le comportement des condamnés suscite l'émotion et la commisération du public. Il s'agit donc d'un refus éthique de légitimation qui n'arrive pas à se traduire, du moins à partir du second quart du XIIIe siècle, en en refus juridique de légitimation de l'activité répressive de l'Eglise» 79 . Di nuovo è una questione di fede nelle persone 80 ; non sono le verità dottrinali in discussione. Credo giustissimo affermare:«La violazione della norma conciliare e il rifiuto delle conseguenti ingiunzioni papali di sottomettersi all'obbedienza romana li trasformano in eretici» 81 , ma quell'ingiunzione risponde alla necessità di affermare recisamente il principio di autorità, non a contrastare una "diversa" proposta di religiosità:«Il cerchio delle accuse sembra dunque chiudersi per comprendere in un'indifferenziata piattaforma "ereticale" tutte le manifestazioni che minacciavano l'autorità papale, autorità ad un tempo ecclesiastica e politica» 82 . E non è estremamente significativo che il clero non regolare non partecipi alla persecuzione, quando non sia addirittura dalla parte degli "eretici" 83 ? E non sappiamo ormai con certezza che il processo è un «un instrument direct de propagande» 84 . Anche la santificazione di Pietro di Verona è propaganda 85 .
E se quell'ingiunzione all'obbedienza non ci fosse stata? Gli eretici non sarebbero esistiti? Non dico ovviamente come eretici, ma come persone, con idee, convinzioni, comportamenti? Ripeterò ancora una volta che se si segue quella linea l'eretico perde ogni individualità, esiste ad uso dell'inquisitore. Ma mi permetto di riaffermare che non è così: fondamentale rilevare il riconoscimento ufficiale dell'eresia (la condanna); ugualmente fondamentale chiarire perché l'eretico ha reso necessaria quella condanna. All'eretico in negativo è necessario affiancare l'eretico in positivo, altrimenti rischiamo di parlare della presentazione di una cosa, senza sapere nulla della cosa 86 .
Bene si presta alla esemplificazione a questo proposito un recente contributo di Jacques Dalarun sull'eresia a Rimini. Al riguardo io mi ero espresso per una specie di «mistificazione storiografica» 87 . Invece il Dalarun sostiene che «en dépit de leurs dissemblances formelles, sources diplomatiques et hagiographiques s'accordent sur l'essentiel» 88 . E qual è questo essenziale? «Le premier constat est la puissance de l'implantation hérétique dans la cité romagnole, amplifiée par les légendes... attestée par les lettres et diplômes». Lettere papali e imperiali, leggende agiografiche: delle lettere solo quattro parlano esplicitamente di eresia, e non solo di eresia, ma anche di malversazioni a proposito delle decime, dell'usura diffusa e altro ancora. Quando si accenna all'eresia lo si fa in maniera normalmente generica, rimandando al decreto De fugandis hereticis 89 Sulle fonti agiografiche perfino il Manselli era stato cautissimo. Non basta: è vero che «sur le contenu doctrinal de l'hérésie en revanche, on ne peut trouver aucun éclaircissement», però «deux faits cependant émergent des sources. L'idée d'une hiérarchie hérétiques découle de l'expression de Lucius III "paterinorum principes"...» 90 . Una gerarchia catara si desume dall'espressione «paterinorum principes»? Ma qui, oltre che di fronte ad un argomento risibile, dubitiamo perfino della sincerità dell'approccio. Si consideri la perentorietà di questa conclusione:«En dépit de toutes le subtilités d'analyse, une chose reste sûre: papes, empereurs, évêques, prêvot, saints prédicateurs ont bien été persuadés de lutter contre des hérétiques, scindés de par leur liberté pervertie de la communauté chrétienne et de la seule vrai foi» 91 . Le «subtilités d'analyse» cui si allude sono trasparentemente le nostre. Se questo è un buon modello d'analisi lasciamo al lettore il giudizio. Ma ben altro vogliamo additare come paradigmatico in questo lavoro. Parlando di Armanno Pungilupo si osserva:«On sait qu'Armanno Pungilupo reçut en 1266 le consolamentum à Vérone, ce qui laisse supposer qu'il était alors cathare» 92 . Dalle bozze, benevolmente, suppongo, l'autore ha espunto il seguito:«Les efforts de G. Zanella pour atténuer la portée du fait nous semblent dépenser beaucoup de finesse pour nier l'évidence». Ammirabile sicurezza... Ma il Delarun dovrebbe spiegare allora perché mai, se questo era tanto evidente, le ossa di Pungilupo rimasero tranquillamente per trent'anni nella cattedrale di Ferrara, per di più venerate come sante spoglie, e dovrebbe soprattutto rileggere, nell'edizione degli atti del processo che ho dato, quel brano che, là dove la rubrica approntata dall'inquisitore affermava Quod Punzilupus dedit et accepit consolamentum ab hereticis secundum eorum ritum , dice:«Sapientes non dederunt consilium utrum scit probata rubrica vel non» 93 . Le sicurezze del Dalarun riposano su di un fittissimo reticolo di allusioni, cenni, supposizioni; eccone una rapida esemplificazione: Armanno Pungilupo aveva visitato certi eretici a Rimini; allora «comment ne pas supposer, avec F. G. Battaglini, que les maisons de Mirabella à Rimini servaient "ad ospizio de' patareni"?», peggio:«le cas de Risabella, d'Armanno Pungilupo attestent la permanence d'un "nocciolo" d'hérésie "tecnica", nettement dans la mouvance cathare» 94 . Sulla base del testo seguente:«Signori e madonne et voi altri, guardateve da costei! Certo ella è el demonio che sotto specie di humiltà v'inganna, perché urla como lupo, ciufola como serpente et mughia como bo. Et in tucta la Scriptura, non se è trovata sinon una simile a costei: e fu la Cananea, che andò a trovare Iesu, pregando che liberasse la sua figliola da lo inmundo spirito; et anchora quella urlava. Dicovi che questa è perfida paterina. Fate che le vostre donne niuna compagnia tengano seco!», il Dalarun ne inferisce:«De l'ancienne Patarie milanaise, Claire a sans doute la rigueur outranciére, la haine des vanités du mondes et de ses richesse... On pourrait de ce fait relever dans la légende romagnole des ferments de dualisme: farouche mépris de la chair et exaltation de l'Esprit; mais ce n'est, sans aucun rapport avec la doctrine cathare, que la pente la plus fréquentes du christianisme médiéval. Ivre de l'Esprit, Claire m'est pas pour autant suspecte... de prôner le mérites du Libre Esprit. Elle serait plutôt proches des spirituels et cela peut expliquer la violence de l'inquisition... », e via di seguito, tra «se sent», «se devine», «ressemble», «proche» e «on peut supposer», fino all'apoteosi finale:«Rimini a ici valeur de laboratoire. Derrière les hurlements de Claire se percoivent déjà les vois célestes de Jeanne d'Arc, mais se devine aussi son dernier cri sur le bûcher:"Jésus"» 95 . «Gesù!» è invece l'invocazione sconsolata che viene alla nostra bocca di fronte a simile modo di procedere...
Veniamo ad altro. Se si pone forte attenzione alla storia del vario atteggiarsi della legislazione comunale in tema di eresia, oggi offertaci con acume e profondità in un ottimo contributo di Andrea Padovani 96 , si vede chiaramente come l'eresia non apparve come un pericolo fino al terzo decennio del secolo XIII 97 . I comuni dimostrano «più consapevoli affermazioni d'autonoma competenza che uno spirito disciplinato alle direttive pontificie» 98 , insieme a confuse cognizioni dell'eresia: si veda l'equiparazione stabilita da Boncompagno tra «latrones raptores homicidas sacrilegos bannitos hereticos et falsarios» 99 . L'eccezione sembra costituita dal caso di Orvieto, dove l'autorità ecclesiastica sembra agire in perfetto accordo, anche nella terribilità della punizione, con il podestà 100 . Ma se oggi leggiamo la lettura dell'episodio fornita da Ovidio Capitani scopriamo che siamo invece di fronte ad un ennesimo caso dell'antagonismo tra autorità che fortemente vogliono affermare la propria identità 101 , anche in tema d'eresia, ma dove sicuramente l'eresia è fatto contingente ed occasionale o strumento. Rimane invece «l'estrema varietà dei mezzi repressivi impiegati dal vescovo e dal podestà, certamente non riconducibile, in ogni caso a "leges et canones"» 102 . Particolarmente convincente la constatazione che si tratta di situazione generalizzata: a Rimini come a Modena, Prato, Firenze, Siena. Nel 1221 il cardinale Ugolino d'Ostia rileva «l'assenza di disposizioni antiereticali in alcuni dei maggiori centri dell'Italia settentrionale»: Volterra, Firenze, Treviso, Bergamo, per limitarsi alle città che già allora posseggono statuti che ci sono stati conservati 103 . «Alla fine del terzo decennio del secolo XIII le forme giuridiche assunte dalla repressione ereticale ad opera delle autorità ecclesiastiche appaiono ancora incerte e diversificate» 104 . Non è più possibile credere allora alle vecchie ricostruzioni, per cui il culmine della diffusione ereticale si ebbe tra la fine del XII e la metà del XIII secolo. Se veramente il crescere ereticale fosse stato così evidente, come si è prospettato in passato, risulterebbe del tutto incomprensibile l'insensibilità dimostrata da quelle stesse città che in seguito si riveleranno esser stati "centri" di eresia. Eppure quando così abbiamo concluso per via diversa, dall'analisi degli atti del processo ad Armanno Pungilupo, e dall'esame sui documenti superstiti delle "zone" frequentate da Armanno, Rimini, Verona, ci è stato risposto con sufficienza che non avevamo tenuto conto dell'istituirsi successivo dell'inquisizione 105 , oppure che, se davvero le cose stavano così per la regione oggetto della nostra indagine, non è detto che lo stesso si potesse dire per altre parti d'Italia 106 . Mi permetto di insistere: se veramente l'eresia fosse stata recepita come pericolo, i mezzi idonei a reprimerla sarebbero stati escogitati. E non ci si osservi che gli eretici erano occulti, perché ugualmente occulti risulterebbero per noi: non occulti, ipotetici.

La vera svolta significativa è segnata dagli statuti di Brescia del 1230, che rappresentano un archetipo per quelli successivi di Padova, Verona, Vicenza, Treviso, probabilmente Bologna, Ferrara.
L'eresia, perseguita come crimine di lesa maestà, con particolare rinvio alla costituzione Manichaeos 107 , richiede una indagine sistematica, non più occasionale, promossa dal podestà «sotto la propria, personale responsabilità» 108 . Senza che questo significhi, affatto, che il pericolo sia avvertito coscientemente, nelle sue varianti ed in eventuali sviluppi cronologici, tanto che «le stesse disposizioni antiereticali di Parma e Vercelli, databili con certezza al 1233, sono d'altronde contenute in più tarde stesure, rispettivamente del 1255 e del 1241 109 . Allora risulta anche chiaro come il gioco di chiarificazione reciproca abbia portato spesso a soluzioni di compromesso, ad evidenziare «gli stretti legami che avvincevano il procedimento canonico a quello civile e, in aggiunta, la progressiva modificazione subita dalla legislazione ecclesiastica nel complesso sistema dei rapporti pubblicistici operanti a livello cittadino»; inoltre l'inarrestabile definirsi dell'assetto comunale «aveva già dimostrato ad abbondanza che l'azione repressiva del vescovo non avrebbe trovato attuazione senza il sostegno dei poteri civili» 110 . Oltre il conflitto di competenza, dunque, l'eresia diventa veramente un pericolo per l'organismo cittadino? Ma come si spiegherebbe che continua a non esserlo in una "zona" particolarmente sensibile alla ricezione ereticale, il Piemonte, i cui statuti; rimangono caratterizzati da «grande mitezza se non, addirittura, da sostanziale disinteresse nei confronti dell'eresia»: in quelli di Pinerolo «è prevista soltanto una multa di 10 soldi a carico di chiunque ospiti un valdese»; «in due statuti... indirizzati da Tommaso I alla città di Susa non si trova parola che si riferisca all'eresia»; «lo stesso vale anche per un analogo documento... che Tommaso II spedisce al comune di Torino»; «il primo documento che attesti una repressione dell'eresia valdese da parte dei signori sabaudi risale al tempo di Amedeo VIII (1391-1439)»!; «gli statuti di Acqui del 1277... non portano disposizione alcuna in tema d'eresia»; «nulla di preciso sappiamo per Alba...»; «solo un accenno - e per di più marginale - al nostro problema contengono gli statuti di Chieri...»; «... non più decisa appare l'iniziativa di Carlo d'Angiò, Conte di Provenza, che tra 1258 ed il 1262 si afferma in Cuneo, Alba, Cherasco, Savigliano e Mondovì. Non sappiamo quale legislazione antiereticale approntasse per quelle terre il fratello di Luigi IX: ma lo statuto di Nizza, suo vecchio possedimento, si limita a diffidare che alcuno «celebribus turpibus actibus maculare praesumat» i giorni dichiarati festivi dalla Chiesa e a minacciare il sequestro dei beni agli scomunicati renitenti... Il tutto senza pronunciare una sola volta il nome d'eresia...» 111 . Fatto sta che nel resto dell'Italia "ereticale" solo a partire dal 1252, l'anno della Ad extirpanda di Innocenzo IV, «la persecuzione sistematica delle sette viene eretta ad elemento essenziale dell'edificio sociale in ogni città» 112 . Giusto nella seconda metà del secolo si infittiscono i nomi degli eretici nell'Italia settentrionale. Ma è anche il momento in cui l'ordinamento cittadino si va nettamente trasformando, ed ecco le città, guelfe o ghibelline che fossero, alla ricerca del «compromesso che facesse salva la loro autonomia nello stesso momento in cui si attuava il delicato passaggio dai liberi ordinamenti alle prime espressioni del centralismo signorile» 113 . Eppure «un buon numero di statuti, ancora nella seconda metà del Duecento e nei primi anni del Trecento non contiene norme contro l'eresia»: Chianciano (1287), Pistoria (1284 e 1296), Firenze (1293), Bassano (1259 e 1295), Montagutolo (1280-1297), Modena (1306-1307), Cremona (1339) 114, senza contare i numerosissimi episodi di intolleranza popolare dell'azione inquisitoriale a Rimini, Faenza, Parma, Bologna 115 . Venezia, come si sa, scelse la strada «della trattativa defatigante e dilatoria», fino a quel «misto di secolare e d'ecclesiastico», di cui parlava il Sarpi; non eccezione, comunque, come nota benissimo Padovani, ma «sistema usuale, in tema di eresia, per molti comuni italiani» 116 . Certo con difficoltà a Como nel 1255 ed a Ferrara nel 1268 gli statuti recepiscono le norme antiereticali; Genova si rifiuta di farlo nel 1256; a Mantova i magistrati intralciano l'operato degli inquisitori; ancora nel 1267 l'inquisitore intima l'inserzione negli statuti dei provvedimenti antiereticali, il che avvenne, con probabile ridimensionamento delle pretese - come a San Gimignano - solamente nel 1274-82; Firenze insiste nel rifiuto; Padova obbedisce; un esempio di mediazione è quello di Verona: nel 1270 appaiono negli statuti le leggi di Federico II e le bolle di Innocenzo IV, e poco dopo l'Ad extirpanda di Alessandro IV, che «qui, appare come estratto senza data della omonima bolla di Innocenzo IV. Rispetto a quest'ultima mancano le "leges" 3-19, 21-24 e 30-38 istitutive dell'ufficio dei dodici cattolici, due notai e due servi alle dirette dipendenze del vescovo e degli Inquisitori per la ricerca e la cattura degli eretici» 117 . Ma «non si pensi che la promulgazione della normativa antiereticale comporti necessariamente una presenza eterodossa» 118 . Il notissimo fatto di Sirmione, da me giudicato «molto 'particolare'», ad uso della politica dei signori della Scala 119 , è così commentato dal Padovani:«In realtà il luttuoso evento, frutto di circostanze occasionali e concomitanti non ebbe a ripetersi né a Verona né in alcun'altra città della Marca, ma dovette bastare a Roma per continuare a tollerare una sgradita infrazione delle sue direttive. Una volta dimostrata l'efficienza dei suoi organi repressivi, la signoria Scaligera continuò a preservare intatta libertà di movimenti accontentando gli ecclesiastici con qualche processo e l'opinione pubblica con pene sostanzialmente miti» 120 . Caso sostanzialmente non diverso è quello dei Malatesta di Rimini 121 . Forse è ancora più importante rilevare da una lato che il confronto tra Chiesa e città «dipendeva dal convincimento (reale o fittizio, poco importa) che l'eresia, appunto, non fosse "crimen mere ecclesiasticum"» 122 , dall'altro che «la lenta agonia del Catarismo italiano alla fine del Duecento impedì che il conflitto assumesse toni ancor più convulsi, mentre in breve volgere di tempo i contendenti - e specialmente il Papato - furon costretti a misurarsi con ben altro ordine di problemi 123 . La crisi dell'eresia è palmare, nonostante tentativi archeologici di additarne la presenza: «le sette finirono per essere pareggiate in una lata previsione normativa che riferiva al podestà la punizione di eretici e sodomiti, girovaghi, saltimbanchi e meretrici, adulteri ed alchimisti»124 .
In un quadro siffatto, ha ancora senso interrogarsi sulla specificità dell'eresia? O non bisogna concludere che a proposito degli eretici si combattono tutt'altre battaglie? Certo in moltissimi casi è proprio così: un'ennesima citazione al riguardo:«L'impegno del papato contro Dolcino e i suoi progetti è vigoroso. La figura di Dolcino, eretico per eccellenza, viene allora manipolata e utilizzata in modo spregiudicato - essendo egli in vita o dopo la sua morte - ai fini della politica ecclesiastica di repressione della dissidenza» 125 . Ma non si perda di vista che è proprio il porsi degli eretici in un certo modo a costringere gli altri a combattere quelle battaglie. Se scrivevo che «l'istituzione nel suo complesso è costretta a rafforzarsi » 126 , posso ora leggere:«Paradossalmente la presenza degli eretici si era dimostrata utile alla chiesa: la repressione antiereticale è elemento di giustificazione e di coesione del sistema ecclesiastico» 127 ; ed:«Eretici ed eresie avevano costretto la chiesa cattolico-romana a modificarsi...» 128 . Mi sembra però eccessivo semplificare dicendo che «la "devianza" è nell'autonomia dei comportamenti e negli effetti ecclesiasticamente e socialmente disgregatori che essi provocano: un'autonomia che per molti versi è anche culturale» 129 . L'eretico, per forza di cose, sfugge all'autorità, a quella ecclesiastica come a quella civile, o meglio: sfugge alla prevedibilità 130 . Tuttavia sempre partendo da una insoddisfazione che si manifesta sul piano della spiritualità, o comunque di una esistenzialità volontaristicamente religiosa. Come negarlo? Sia che propongano la trasparenza delle opere di carità vicendevole in opposizione alle astruserie dottrinali, sia che stabiliscano incontri, contatti, scambi di idee ed esperienze al di fuori degli ambienti, strutture normalmente intese a quello scopo, sia che prospettino visioni dell'aldilà non ortosse, sia che si dedichino a rituali difformi, non si propongono come contestatori dell'ordine cittadino, mai. Il loro essere - probabilmente è meglio dire: il loro fare - "diverso" è in contrasto esclusivamente con il monopolio delle manifestazioni religiose, soprattutto con quello rivendicato dai Mendicanti 131 . Se il Comune avanza pretese di giurisdizione in tale materia è perché la Chiesa lo costringe a farlo, visto che a sua volta si intromette nella vita cittadina, e pesantemente. Non è pensabile che la tolleranza così diffusa in città in confronto dei (pochi, se non pochissimi: a Ferrara, notorio "nido" di eretici, nel momento di punta, gli eretici sono circa l'uno per mille 132 !) "diversi" sia cecità. Come non rimanere perplessi di fronte all'enormità delle accuse ed alla povertà dei riscontri? Dovunque opera direttamente il Comune, ed ancor più il Signore, è ben consapevole dell'importanza dei terreni di intervento. Lo scioglimento dei collegi di arti e mestieri è pregiudiziale per il dominus cittadino ad una gestione senza pericoli del potere; la persecuzione ereticale no.
Ma bisogna ribadire che l'istituzionalizzazione dei movimenti ereticali, necessaria alla comprensione del fenomeno da parte degli inquisitori, proprio è inconsistente. Se fosse il contrario avrebbe ragione chi crede (o ha creduto 133 ) nella crisi dell'eresia per l'efficienza repressiva; efficienza che a me è sembrata, e sembra oggi con maggiore convinzione, una favola 134 . E i Valdesi? Non furono perseguitati? Eppure non sono scomparsi. E della labilità istituzionale dei primi valdesi ha dato ampie prove ultimamente Merlo; mentre dei catari, che continuano ad essere dipinti come fortemente istituzionalizzati 135 , non rimase nulla. Ho poi dimostrato che perfino le serie episcopali ricostruite da studiosi del calibro di Dondaine e Borst non reggono all'analisi delle fonti 136 : giusto in questo l'eresia mostra la sua totale incapacità ad incidere sia sulla religiosità sia, tanto meno, sulla società. L'eretico che, nonostante tutto, decide comunque di morire sul rogo, dimostra incrollabile fede: «mais quelle peut être l'efficacité d'un tel choix lorsqu'il ne s'insère pas dans un terrain religieux et social prompt à transformer en une action collective et politique les indication que lui fournit le message exemplaire d'un témoignage individuel?» 137 . Nessuna.
Non so convincermi che sia proprio degli eretici un atteggiamento critico nei confronti della cultura dei chierici; non riesco a credere che «tra Francesco e i "buoni cristiani" c'è una profonda frattura - è innegabile -; ma la frattura è data in primo luogo dal diverso rilievo che assume nell'esperienza dell'uno e degli altri il fatto intellettuale e filosofico» 138 . La vera discriminante non è nelle diverse posizioni di dottrina, o di contro-dottrina, che sarebbe lo stesso, ma nella contrapposizione nettissima tra la sicurezza di un Francesco che dà come incontestabile, indiscutibile tanto l'aderenza ai «mandata ecclesie» quanto il «vivere secundum formam Sancti Evangelii». Per gli eretici, i nostri eretici, il Vangelo non è rigoroso paradigma del comportamento, non obbliga alla cristomimesi, non costituisce il fulcro di proposte più o meno drastiche 139 : è tempo di dirlo a chiare lettere: semmai è il modello rappresentato dagli apostoli ad avere più forza di suggestione. Al contrario: è proprio l'insicurezza dell'atteggiarsi degli eretici che ne fa un insieme disgregato, e compatto solo nella disgregazione completa delle "proposte alternative". Il che spiega ad abundantiam l'estrema varietà delle esperienze dei singoli, il loro intrecciarsi con le diverse forme di pietà popolare, il culto dei santi laici, e con la conseguente insicurezza interpretativa complessiva dello storico di oggi. Scrive Merlo:«Credo innanzitutto che le ambiguità del concetto di "valdismo", sulle quali in diverse occasioni sono state formulate frammentarie considerazioni, siano apparse con chiarezza. Come continuare nell'utilizzazione di un termine genericamente onnicomprensivo quando ci si trova davanti a una pluralità di espressioni ed esperienze religiose e umane, individuali e collettive, i cui nessi ed elementi di continuità, storicamente accertati e accertabili, sono incerti o non esistono affatto?» 140 . Ma allora come possiamo credere in generale - osserviamo noi - che «la loro controchiesa era povera e in questo stava l'autentico pericolo per la chiesa egemonica: nella possibilità di divenire per gruppi e ceti dominanti la chiesa, fornendo tutti gli elementi per un'identità religiosa antagonistica a quella offerta dall'organismo ecclesiastico convergente nel papato: un'identità religiosa globalmente antagonistica» 141 ? Antagonismo poteva esserci solo nell'antagonismo istituzionale, ed infatti contro questo (fantomatico) si batterono gli inquisitori, e su questo ebbero facile e scontata vittoria; quello che non riuscirono a vincere di primo acchito fu invece quello per cui gli eretici effetivamente erano eretici: il labilissimo coordinamento di un gruppo di persone non "ortodosse" perchè non istituzionalizzate, e non istituzionalizzate perché "ereticalmente" non istituzionalizzabili. L'eresia muore per debolezza intrinseca, e nulla lascia di sè. La «straordinaria pluralità di orientamenti» di cui parla Merlo 142 non è applicabile esclusivamente al valdismo delle origini, ed è a mio avviso ben più di un'ipotesi «che si siano mantenuti quei gruppi in grado di darsi una struttura organizzativa» 143 . L'identità religiosa altrimenti è impossibile da verificare:«Nelle zone montuose del Delfinato un'esperienza religiosa originale si era realizzata agli inizi del XII secolo ed era stata esportata verso più popolose e sviluppate regioni. Da allora tra le genti alpine non si espresse più alcuna peculiare identità religiosa? la scelta era solo tra catarismo e valdismo, variamente interpretati e vissuti, o addirittura sincretisticamente confusi? La risposta nemmeno si intravvede» 144 . Ed allora è vano cercarla. Proprio perché generato da "malessere" il movimento ereticale è inizialmente «dinamicamente attraversato da tensioni pluridirezionali» 145 . Efficacemente si è detto che se di eversione si tratta è «potenzialità eversiva»: «un'eversione essenzialmente ecclesiologica ed ecclesiastica» 146 .
«Non si pensi però che la ricerca eresiologica possa esaurirsi nell'analisi del vissuto: le forme di non conformismo si plasmano e si manifestano nella dialettica con uomini e strutture del conformismo», mette in guardia Merlo 147 . Preoccupazione legittima, e ribadita più volte:«l'eretico medievale non è mai tale in sè, bensì nel confronto/conflitto con le istituzioni del conformismo religioso» 148 . Chiediamoci però: anche nel caso di condanne postume? Che in certi luoghi e momenti se non sono la norma sono la maggioranza? E' ovvio che il confronto con l'istituzione muti anche la posizione dell'eretico, ma solo là dove questo confronto avviene direttamente, occhi negli occhi. La sua posizione di partenza non è dettata dalle modificazioni da subire od imporre all'istituzione ortodossa, ma dalle ragioni profonde del proprio dover porsi nel mondo. E' verissimo, ad esempio, che la stima per il bonus homo comporta, per confronto, la disistima per i frati 149 ; ma si tratta pur sempre, precipuamente, inizialmente, fondamentalmente, di un valore positivo, non negativo, anche se solo sul negativo ci si misura per connotare l'eresia. La molla principale per scegliere la parte dei boni homines consiste nel voler manifestare comunque la propria scelta spirituale, pur nell'incertezza dei modi. «L'elemento comune fondamentale sembra costituito soprattutto da una religiosità essenziale e scarna che ruota attorno alla piena responsabilizzazione di ogni cristiano nel suo rapporto con Dio» 150 . Questi "eretici", e molto di più la gran massa, ben più numerosa, dei simpatizzanti, i cosiddetti fautori, vogliono dire il loro profondo desiderio di essere religiosi; anche se poi non riescono che a fare solamente altro che qualche atto di carità. Sono per questo meno "eretici"? Ma che importanza ha, per noi oggi - non per l'inquisitore di allora - stabilire quel grado di ereticità? O non è invece estremamente più rilevante mettere in risalto la diffusione, la profondità di quella voglia intensa di "fare" per "essere"? Si veda il caso, per me fortemente emblematico, di Ugo Speroni:«Il gruppo degli speronisti, al di là di un nome, è quasi del tutto ignoto». Perché mai? Ma perché la sua eresia si presenta come «un giuoco culturale intorno a problemi teologici teorici da rendere espliciti e da risolvere con gli strumenti dell'intelligenza "scolastica", piuttosto che da rendere operanti nella quotidianità della pratica e delle scelte religiose». Così Merlo, che coglie perfettamente nel segno:«non... stupisce che le idee speroniste siano presto tramontate in un mondo religioso sempre più orientato, in alcune delle sue forze migliori e più attive, a una religiosità delle opere, a una "mentalità dei doveri" nella quale è il "fare che determina l'essere" (Ovidio Capitani)» 151 . Indicare quanto la domanda di spiritualità non potesse esaurirsi nelle possibilità offerte dalla istituzione, e si ingegnasse in modo confuso, contraddittorio, più e meno consapevolmente, con e contro qualcuno, purché alla fine potesse esprimersi, per sè, per la propria famiglia, il gruppo cui si apparteneva: questo è ciò che ci si deve sforzare di indagare, nella estrema varianza delle manifestazioni; non ha più molto significato accanirsi a ricercare la consistenza di correnti, le gerarchie, il "pensiero" ereticale. O non è vero che «dal secolo XIII in poi, la religione non ritiene tanto di dover giustificare dei fini che dà per scontati, ma sempre di più i mezzi per coordinare il comportamento umano al raggiungimento di questi fini dati per scontati» 152 ?
Se consideriamo l'atto ufficiale della condanna postuma di Marco Gallo non possiamo dedurre nulla circa la sua eresia: le sue promesse «di non aderire alla fede degli eretici, di non prestare loro aiuto, consiglio o favore, di non difendere loro e le loro perfide dottrine, di non insegnare il loro errore, di non disputare con loro su nessun articolo di fede, di non andare alle loro prediche, di non vivere secondo il modo tradizionale dei patarini e degli eretici, ma secondo quello della Chiesa romana» 153 , non sono promesse di Marco Gallo: sono l'applicazione del formulario al caso di Marco Gallo 154 . Più utili per noi sono invece la ragioni messe in campo dagli eredi per difenderne la memoria (e i beni):«Marco ebbe moglie... e con lei stette in matrimonio fino a che visse... dal suo matrimonio nacquero figli e figlie... frequentava persone di buona fama, andava alla messa, agli uffici divini e alle prediche... ricevette in punto di morte i sacramenti della Chiesa» 155 . Questi segni di non-ereticità sono quelli che si crede di dover presentare all'inquisitore perché su segni analoghi l'inquisitore giudica dell'ereticità. Ma non c'è chi non veda come l'eresia in senso proprio non sia messa in campo né dall'accusa né dalla difesa: nessuno accenna a credenze difformi dalla dottrina ortodossa, né ad atti di culto rivelatori dell'appartenenza ad una setta. Frequenza alla messa significa ortodossia e non frequenza eresia? Certo che no. Eppure è proprio su questo che si mette in moto il sospetto prima, l'accertamento e la condanna poi. Non è lecito a mio avviso banalizzare sostenendo sia che la condanna è speciosa, sia che il contenuto dottrinale eterodosso è dato per scontato. L'inquisitore ha capito perfettamente invece che l' "eresia" si annida là dove la mancata omologazione del comportamento indica la difficoltà, l'incapacità, l'impossibilità di omologazione della propria spiritualità 156 . Se non è certo possibile legare soddisfacentemente la qualità del momento di crisi alla scelta eterodossa - sconfitta politica, difficoltà economiche, emarginazione sociale... 157 - rimane per me che la conclusione su «quale eresia?» possa essere in quasi tutti i casi almeno duplice: là dove è possibile rilevarlo «questi eretici della fine del secolo testimoniano di una pietà religiosa profondamente sentita» 158 ; in secondo luogo l'impossibilità di legare la manifestazione ereticale ad un "tipo" - ceto, mestiere, provenienza... - non deve condurre ad un totale scetticismo 159 , ma al convincimento che è «nel coincidere dei vari elementi - la pratica usuraia, l'adesione ad una residua mentalità non riconducibile totalmente a principi ortodossi, la spregiudicatezza dell'azione inquisitoriale - che si originano queste ultime condanne "per eresia"» 160 , per riprendere solo alcuni di questi «elementi» dalla parole della Lomastro. La sicurezza che ormai abbiamo acquisito sulla mancanza di validità dei paradigmi deve farci credere che giusto quella mancanza è la ragione profonda degli "eretici". Più di Dolcino ci aiuta a capire l'eresia Gerardo Segarelli, Armanno Pungilupo 161 più del manuale inquisitoriale, la testimonianza degli eredi di Marco Gallo più della sua condanna. Questi uomini che fanno penitenza, partecipano della vita del prossimo, celebrando la festa di santa Lucia in chiesa e visitando i prigionieri nel carcere, affidano il proprio vissuto religioso alla pratica delle buone opere, stimano i boni homines e sono stimati come buoni, ci rivelano molto più di ogni trattato. Rispondono alla prepotente esigenza, individuale o di gruppo, di essere cristiani. «E' una sfida sul piano della qualità  della testimonianza cristiana in vista della salvezza personale: non giudicano, testimoniano il Cristo; non pretendono coerenze cristiane all'esterno, cercano di essere essi stessi degni della salvazione eterna» 162 . Senza che questo comporti necessariamente per tutti un rifiuto, né implicito né esplicito, dell'ufficiale ortodossia: alle volte sì, spesso no. Si veda questa precisa osservazione:«Le oscillazioni da un campo all'altro - dal cattolicesimo all'albigesimo, e viceversa - non devono stupire. Di fronte ad una chiesa cattolica orientata verso il conformismo religioso e il rigido disciplinamento dei fedeli e fornita a tal fine di una robusta armatura, la scelta eterodossa e deviante dipende da continue decisioni, non è mai definitiva persino in un villaggio dei Pirenei isolato a 1300 metri di alitudine quale Montaillou» 163 . Perché non è il confronto tra eretici ed ortodossi il terreno proprio su cui misurare il grado della propria adesione alla vita cristiana 164 : il confronto avviene solamente davanti allo specchio, ed è solo proporzionale al grado del proprio impegno, ed analogamente proporzionale è la pericolosità "eversiva". E finalmente oggi cominciamo a vedere accettata - seppur dubitativamente - quest'idea: «L'eresia è comunque una scelta intellettuale e morale, non sempre portata sin alle estreme conseguenze, ma in molti capace di orientare una vita e di produrre rigorose coerenze. L'avventura di autonomia personale che il non conformismo religioso implica è forse la dimensione della ricerca eresiologica» 165 . L'eresia non è disordinata ; è inordinata. Così concludevo anni fa:«"Ognuno al suo posto!", sembra dire l'inquisitore, "E che ci resti!"» 166 , ed oggi Merlo:«Opportunamente Gregorio X, nel concilio di Lione, aveva ricomposto e riordinato ciò che era minacciato di frammentazione e di disgregazione: ciascuno di nuovo al proprio posto in armonia con la volontà divina...» 167 .
Temi di una sconcertante modernità! In fondo ad Armanno Pungilupo toccò destino non diverso da quello toccato a Palmiro Togliatti: entrambi in odore di santità (almeno da una parte), ed entrambi sconfessati e dannati trent'anni dopo il trapasso. Chi o che cosa ci dicono che Pungilupo fosse più (o meno) eretico di Togliatti? L'equivoco si perpetua: per loro il problema era di vivere nel mondo; non di plasmare il mondo a propria somiglianza. E l'"eresia" di don Primo Mazzolari, di don Zeno, di don Milani, non era giusto quella di "fare" per "essere"? E lo sconvolgente ampliarsi del volontariato laico dei nostri giorni che posto ha nel catechismo di Pio X, e quali suono i suoi testi guida?
Il nostro disagio di fronte a tanti testimoni della necessità di obbedire al dettato della propria coscienza, normalmente, generalmente senza eroismi, qualche volta a tutti i costi, va superato. Nelle enormi difficoltà della documentazione, oltre la gabbia dei processi, credo fermamente sia il tempo, per il nostro redde rationem , di render conto, finalmente, più degli eretici, che non degli inquisitori 168.