Nel mondo bizantino il dux è il capo militare
delle province, specie quelle periferiche più
esposte a pericoli esterni. Appena recuperata l'Italia
- ormai irrimediabilmente perdute per i "Romani"
le altre regioni dell'Europa occidentale - dopo l'interminabile
guerra greco-gotica (554), Giustiniano tentò
di ricostituire la duplice forma dell'amministrazione
provinciale, civile, affidata ai giudici, e militare,
affidata ai duchi. Per breve periodo sembrò
possibile un ritorno all'antico ordinamento, ma l'invasione
dei Longobardi del 568-69 rese impossibile il proseguimento
immutato di quella forma di governo del territorio
in quelle regioni che resistettero, in qualche caso
anche molto a lungo, agli invasori. Anzi le necessità
della difesa imposero l'unicità delle supreme
responsabilità, così che il comandante
militare, il duca, è spesso noto con il nome
un tempo applicato agli alti gradi dell'amministrazione
civile, cioè come magister militum, e qualche
volta come iudex, ufficiale dunque sempre più
autonomo e sempre più gravato di responsabilità
generalmente politiche, che a sua volta si avvale di
ufficiali minori scelti in sede locale da clero ed
ottimati. Così nel settentrione d'Italia, la
carica tese a divenire ereditaria, in particolare nelle
regioni lagunari, mentre nei territori bizantini del
meridione, là dove sopravviveva un dominio più
o meno diretto di Costantinopoli, la logica militare,
per opporsi all'offensiva degli Arabi, fece diminuire
l'importanza del ducato a favore del thema guidato
dallo stratego.
Come in tanti altri casi, anche la parola dux, insieme
al rispetto generico per la funzione di comando, passò
nel mondo germanico in generale comprendendo due tradizioni
diverse, in questo caso ad indicare quelli che la tradizione
riconosceva come i capi dei vari gruppi guerrieri,
e "duchi" si ritrovano ben presto in tutti
i nuovi regni impiantati entro il limes romano.
In modo particolare il "ducato" diviene istituzione
tipica dei Longobardi, non certo nel senso che i vincitori
subentrano in tutto e per tutti ai vinti assumendone
semplicemente i titoli onorifici: dopo la violenza
dell'invasione nell'Italia longobarda rimase ben poco
del quadro amministrativo bizantino. Il regno era forte
a nord, con centro a Pavia, ma ugualmente forti e sostanzialmente
indipendenti erano i due ducati di Spoleto e Benevento,
destinato quest'ultimo a sopravvivere al regno molto
a lungo. Se il duca bizantino era alto ufficiale nominato
e sottoposto, il duca longobardo è tale per
la considerazione guadagnata tra i suoi, entro la sua
<<fara>>, ed i duchi, altro che collaboratori
del re, sono piuttosto i suoi antagonisti - solo molto
raramente è il re a nominare un duca -, tanto
che si può dire che la storia del regno longobardo
in Italia è la storia dei contrasti tra il re
ed i duchi, come risulta dalla Historia Langobardorum
di Paolo Diacono. Ma gli stessi poteri dei duchi non
sono omogenei. Il duca del settentrione, generalmente
insediato in una città, riceve ed onora la legislazione
regale; i due grandi ducati centro-meridionali legiferano
per proprio conto, quello beneventano si fregia del
titolo di dux gentis Langobardorum, gode di un apparato
burocratico relativamente efficiente suggerito dai
contigui territori bizantini, ha una propria moneta.
E in generale i duchi dei territori di confine godevano
di poteri più ampi di quelli insediati nelle
zone interne. Del resto i poteri dei duchi subirono
forti mutamenti nel corso del regno, dai primi anni,
quando si mossero largamente indipendenti dalla sfera
regale, agli ultimi, quando la monarchia si rafforzò
e poté esercitare un certo controllo sull'azione
dei duchi mediante funzionari ad hoc. Alcuni si avvalsero
di gastaldi e conti nell'amministrare il territorio,
alcuni godettero di una vicinanza particolare col regno,
alcuni godettero di un rilevante sostegno parentale,
alcuni misero presto in mostra caratteri dinastici,
alcuni si imposero per doti personali, al di fuori
dei meriti del lignaggio. Tutto ciò segnò
profondamente la natura dei rapporti tra duchi e re,
contribuendo ad una generale fluidità e debolezza
del regno. Accadde anche che non tutti i territori
fossero nelle mani di un duca, ma soggetti ad un gastaldo
regio con poteri del tutto analoghi a quelli di un
duca, senza le complicazioni indotte dai legami parentali,
ma magari costretto ad agire in concomitanza, se non
in concorrenza, con un altro gastaldo, preposto all'amministrazione
di beni del fisco regio. Ciò che distingueva
il duca dal gastaldo era l'autonomia decisionale del
primo, non l'esercizio del potere, e del resto poteva
accadere che un gastaldo, messosi particolarmente in
luce, divenisse duca, e che un duca divenisse re. Quando
poi si consideri che le ambizioni personali o tendenzialmente
dinastiche permisero ad un duca di agire militarmente
contro un ducato finitimo al fine di ampliare la propria
regione di predominio, e che il titolo di duca in qualche
caso suggerisse al re di utilizzarne il titolare come
ambasciatore di prestigio entro ed al di fuori dei
confini longobardi, si ha un'idea chiara della fluidità
del valore di quella carica per tutta la durata del
regno.
Al di fuori d'Italia, negli altri regni germanici, come
ricordato, i governatori delle province avevano titoli
ripresi dalla tradizione romana: patricius, dux, comes.
Anch'essi furono a lungo tempo largamente autonomi
dal potere regio, e con caratteri ereditari più
accentuati. Ma la sistemazione carolingia dell'Europa
fece del conte, e del marchese (duces nelle fonti sono
anche conti e marchesi!), l'ufficiale pubblico per
eccellenza, ed anche i duchi che rimasero, nel vinto
regno longobardo come altrove, si assimilarono totalmente
ai conti e soprattutto ai marchesi - si trova perfino
l'alternanza dei titoli, dux e marchio -, vale a dire
agli ufficiali delle province più grandi e generalmente
di confine, nel caso dell'Italia Istria, Friuli, Spoleto,
Tuscia. Nel quadro Europeo però il ducato assunse
più chiaramente le caratteristiche di territorio
di ampie proporzioni, comprendente al suo interno anche
più contee, con inequivocabili accentuazioni
"nazionali": Baviera, Bretagna. A ciò
si aggiungano le complicazioni dovute al diffondersi
del rapporto di fedeltà personale col sovrano,
modello "esportato" dai carolingi in tutta
l' Europa da loro dominata, per cui l'ufficiale pubblico
è contemporaneamente titolare di una funzione
statuale e responsabile verso il suo signore, possessore
di beni propri ed amministratore di beni propri della
sua carica, con la ben nota commistione di privato
e pubblico che caratterizzò quei secoli del
Medioevo, e con la tendenza ad esercitare patrimonialmente
il potere delegato.
Come si verificò poi con la disgregazione dell'impero.
Una tendenza analoga caratterizzò anche le vicende
di ducati bizantini. Il duca, specie quello di Rialto,
si rese sempre più autonomo da Bisanzio, ma
accentuò i suoi legami, e la sua legittimazione,
con gli ottimati locali, ma senza i problemi vassallatici.
A Gaeta alla metà del secolo X compare il titolo
di hypatos et dux, di consul et dux. La stratificazione
sociale, divenuta più complessa, accentua la
necessità del consenso dei maggiorenti, e rafforza
la tendenza all'esercizio di un potere nuovo, cittadino
o territorialmente ben caratterizzato, tanto che accade
che il duca sia anche vescovo. Così a Roma come
a Napoli e ad Amalfi. Il duca, come a Bisanzio, si
associa il figlio nel potere, e si adopera per il suo
riconoscimento.
Lentamente si va ovunque verso il costituirsi di apparati
territoriali dinastici, anche di vasto respiro. Con
il formarsi delle signorie cittadine prima, e regionali
poi, con la caratteristiche del principato, i ducati
manterranno le loro denominazioni originarie, ma muteranno
profondamente la loro fisionomia, accentuando il loro
carattere autonomo, di veri e propri stati, magari
entro uno stato "nazionale", trascorrendo
nell'età moderna.
Bibliografia
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- V. Fiorani Piacentini - S. Tramontana Il Mezzogiorno
dai Bizantini a Federico II Torino 1983 (Storia d'Italia
3); R. Manselli Il sistema degli stati italiani dal
1250 al 1454 in Comuni e Signorie: istituzioni, società
e lotte per l'egemonia Torino 1981 (Storia d'Italia
4) 177-263.