Fontana, Aldighiero.

Si è discusso in passato sul casato di provenienza dei Fontanesi, diversamente interpretandosi da parte degli studiosi una indicazione contenuta nella Chronica parva Ferrariensis di Riccobaldo da Ferrara, secondo il quale «ex Aldigeriis sunt exorti». Si è constatato che, se discendono dagli Aldighieri, non c'è alcuna prova documentaria. In realtà la difficoltà non sembra insuperabile, a patto di non voler vedere rigidamente. Infatti Riccobaldo, precedentemente al passo citato, scrive con maggiore chiarezza: «Aldigerii de Fontana, qui nunc Fontanenses dicuntur». Sembrerebbe di dover intendere che i Fontanesi, molti dei quali presero il nome di Aldighiero - il nostro è il secondo, od il terzo, di quel nome che conosciamo -, derivino da un capostipite de Fontana. Il legame con gli Aldighieri, invece che enunciato da Riccobaldo, sarebbe allora solamente frutto di una lettura forzata, e le osservazioni fatte dall'Ostoja circa la netta distinzione delle due famiglie, ed anzi riguarda una certa superiorità dei Fontanesi sugli Aldighieri, acquisterebbero nuovo valore. Comunque stiano le cose, resta in ogni caso che i Fontana appaiono come cittadini di Ferrara - eminenti cittadini - nella documentazione soltanto a partire dalla fine del secolo XII. Le nostre conoscenze sulla famiglia si incentrano proprio in particolare sul solo A. Nella contesa che vide opposto per mezzo secolo Torelli ed Estensi per il predominio in Ferrara, i Fontana furono costantemente insieme a Turchi e Giocoli tra i maggiori sostenitori dei signori d'Este, ma per la verità nulla sappiamo circa il ruolo reale da essi svolto fino alla presa della città nel 1240. Il primo atto di vita politica pubblica che vede testimone A. è la conclusione dell'alleanza fra Bologna e Ferrara siglata il 2 luglio 1240. A partire da quella data le sue fortune appaiono in continua e rapida crescita, niente affatto dovute in modo preminente all'appoggio di Azzo d'Este. Godrà sempre dell'amicizia particolare dell'arcivescovo di Ravenna, del quale ricoprì il ruolo di visconte in una serie numerosa di atti che ci sono pervenuti, tra il 29 aprile 1247 ed il 23 marzo 1257. D'altra parte la signoria di fatto di Azzo VII era ancora troppo giovane per spegnere l'emulazione tra le famiglie che lo sostenevano, in particolare tra Turchi e Fontana. Sembra anzi che già un qualche motivo d'attrito tra A. ed i signori d'Este si riesca ad intravvedere ben dieci anni prima della rottura pubblica del 1270. Il 22 marzo 1260 rientrarono in città, con il malcelato favore di Filippo arcivescovo ravennate, in veste di penitenti le famiglie che in seguito ai fatti del 1240 si erano dovute allontanare da Ferrara, e che per lo più avevano trovato un luogo di rifugio giusto nel Ravennate. Sappiamo dell'ostilità del marchese per il movimento dei flagellanti, come sappiamo del legame stretto tra A. e Filippo. Ora è possibile, per non dire probabile che il 5 giugno successivo - che vide i ripetuti tentativi dei Turchi per il raggiungimento dell'egemonia sfociare in un appariscente risultato: la cacciata con la forza dei Fontana dalla città - segnasse un momento di opposizione robusta non solo tra Fontana e Turchi, ovviamente, ma anche tra A. ed Azzo VII; con quelli sul predominio, con questo sul modo di intendere i modi della spiritualità: una sorta di anticipazione di quanto avverrà più tardi a proposito del Pungilupo. A. con i suoi fu in grado di ritornare - e costringere alla fuga la famiglia rivale - il 20 febbraio dell'anno successivo. Dopo di che l'ascendente di A. sul marchese dovette riuscire al massimo grado, se Riccobaldo poté scrivere: «Erat inter potentes Ferrarie consilio, opibus et potentia prevalens vir Aldigerius de Fontana. Huius consilio et nuto Azzonis aula et civitas regebatur». Ègiunto il grande momento di A.; non solo governa città e corte del marchese, ma si prepara anche il futuro: è proprio lui - sostiene ancora Riccobaldo - a condurre opera continua ed intensa («persuasit et studio instanti effecit») per convincere Azzo a designare erede nel suo testamento il nipote Obizzo. Non basta: il terreno è ulteriormente assestato, quando il marchese è prossimo alla fine, con una riunione voluta da A. che si tiene a Ferrara tra gli amici «potentes» delle città vicine; riunione protetta, già con intendimenti intimidatori, da gruppi di armati fedeli ugualmente fatti affluire da più luoghi, mentre gli elementi più pericolosi tra gli avversari vengono fatti allontanare dalla città. La discussione si accende; due tesi opposte si fronteggiano. La prima, sostenuta con vigore da A., propone la sostituzione di Azzo con Obizzo; la seconda, perorata dall'arcivescovo Filippo e dai più eminenti dei nobili ravennati, è invece per lo stesso A. Prevale infine la prima, e si decide per Obizzo. Potrebbe sembrare sorprendente il parere di A., se lo si considera in base agli avvenimenti successivi, che naturalmente allora nessuno era in grado di prevedere; ma una lettura attenta del testo del cronista di Ferrara può evitare fraintendimenti. La prospettiva di A. non è certo quella dell'innovazione: la riunione vien fatta «pro conservatione partis eorum», dice Riccobaldo. La candidatura di Obizzo è osteggiata dall'arcivescovo e dai ravennati per la scarsa affidabilità di un giovane di diciassette anni che in realtà nessuno conosce per esser vissuto a lungo lontano da Ferrara, e di cui quindi non si possono prevedere comportamenti, inclinazioni, virtù e difetti, e la previsione è alla base di ogni decisione politica. Invece sono proprio queste caratteristiche che muovono A., preoccupato di mantenere nel quadro ferrarese il proprio ruolo egemone, ma non ancora tanto forte da imporre formalmente il suo nome al vertice istituzionale. Del resto Azzo VII, che spesso era stato lontano dalla città, e che non sempre aveva mantenuto la carica di podestà, aveva dimostrato che si poteva governare anche senza attributi formali. La scelta di A., di persona oggettivamente debole ma prestigiosa per il nome che portava, mirava insomma a garantirgli per il presente e l'immediato futuro il rafforzamento dello status quo. Una conferma egregia si trova nel discorso che poco dopo A. fece di fronte a tutto il popolo ferrarese. Rapidamente liquidata la cerimonia della sepoltura del defunto marchese, le campane ed i banditori chiamano a riunione i ferraresi. Parlano per primi gli esponenti delle città vicine, che chiedono la legittimazione pubblica di quanto già deciso in privato; alla fine arringa la folla A., «huius tam sancti edifici architectus», che spudoratamente conclude il suo discorso avvertendo che, se Obizzo non dovesse essere accolto come successore di Azzo a Ferrara, A. e quelli che lo affiancavano avrebbero anche potuto crearsi dal nulla un signore fantoccio, «unum dominatorem construeremus ex paleis», tanto sono certi del loro potere. Dimostrazione la più chiara possibile che A. non vedeva affatto nel nuovo giovane signore un qualche ostacolo al suo progetto. L'acclamazione popolare - sotto vigilanza armata! - sancisce la volontà di A., ed atti giuridici formali certificano immediatamente la successione politica. Gli anni direttamente successivi danno completamente ragione ad A., che, «Obizonis magister», nomina e costituisce funzionari e consiglieri in città e nella corte del signore, di cui si preoccupa anche di difendere ed accrescere il patrimonio; tutto si decide per suo volere, «ipse omnia moderabat», è lui il vero signore di Ferrara.Ma poi il clima si deteriora; Obizzo si muove con sempre maggiore autorevolezza, l'antagonismo tra signore di diritto e di fatto si manifesta. Il primo segno della rivalità aperta ci è noto sul finire del 1269. A. risulta testimone il 20 dicembre, accanto al vescovo, a Federico arciprete, al canonico Ferrarino, ed ai nobili Menabò - antichi partigiani dei Torelli! -, alla certificazione notarile di un miracolo avvenuto al sepolcro del "santo" Armanno Pungilupo; pare una conferma che sul piano della manifestazione di pietà religiosa, almeno, Estensi e Fontana sono su sponde opposte, forse una seconda volta. Poiché è noto come Obizzo favorisse la soluzione del "caso" Pungilupo (condannato trent'anni più tardi come eretico, il suo cadavere estratto dal sepolcro nella cattedrale, bruciato e le ceneri sparse nel Po). Ma è certo che l'anno cruciale è il successivo. A sei anni di distanza dal riconoscimento ufficiale della sua signoria Obizzo era cresciuto non solo d'età, e mostrava di non voler affatto essere un signore di paglia. I contrasti con A. dovettero essere grandi e noti a tutti, se Riccobaldo osserva che la morte improvvisa del Fontana, per veleno si sospettava, nel luglio 1270, era stata imputata proprio al signore d'Este. Scomparso il capo della famiglia, gravemente infermo l'amico arcivescovo Filippo, prossimo alla morte, la rottura aperta e violenta tra Estensi e Fontana si consuma immediatamente. Nell'agosto il fratello e il figlio di A. ed altri nobili - l'alleanza con i vecchi nemici Turchi testimonia che veramente si scontra il disegno di A., di disporre della signoria, con la volontà di affermazione del signore - si oppongono con la forza ad Obizzo, ma vengono sopraffatti. Non si trattò di un episodio: la lotta continuò fino all'allontanamento a lungo definitivo della famiglia, del resto fortemente decimata, nei primi mesi del 1277. Si rifletta che nel ricordo dell'anonimo autore della vita di Cola di Rienzo i Fontana erano stati i veri signori di Ferrara, ma successivamente erano stati cacciati per aver venduto la città ai Veneziani, e gli Estensi ne avevano preso il posto. Era in ogni caso la totale sconfitta politica di A.; elevatissimo epitaffio ne scrisse Riccobaldo: «In navigatione nauta Typhis erat, ceteri principes ut naute minores obtemperabant. Denique per annos fere sex vela navis ipsius Aldigerii flatibus secundis implevit Fortuna. Ventorum rex Eolus, incluso miti Zephiro, Aquilonem et nubiferum Eurum induxit, qui Aldigerii navem diu fluctibus agitatam tandem immersit».

Fonti inedite

Iacopo da Marano, Principio et origine de la Cittade di Ferrara, in Biblioteca Comunale "Ariostea" di Ferrara, I, 534, t. I, cc. 223v, 224v.

Fonti edite

Ricobaldi Ferrariensis Pomerium Ravennatis Ecclesie in RIS, IX (1726), col. 138; Ricobaldi Ferrariensis Compilatio chronologica, ibid., col. 250; V. Federici - G. Buzzi, Regesto della chiesa di Ravenna. Le carte dell'archivio estense, Roma 1911-31, I, n. 497; II, nn. 560, 587, 594; Statuta Ferrariae anno MCCLXXXVII, a cura di W. Montorsi, Ferrara 1955, pp. 5-8; Anonimo Romano Cronica, ed. G. Porta, Milano 1979, cap. V; Riccobaldo da Ferrara, Chronica parva Ferrariensis, ed. G. Zanella, Ferrara 1983, pp. 184-93, 196-99, 217; G. Zanella, Itinerari ereticali: patari e catari tra Rimini e Verona, Roma 1986, p. 73.

Bibliografia

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