Per la nuova edizione del Pomerium di Riccobaldo

Chi non mi conosce da vicino forse si sarà sorpreso nel vedere un professore dell'università della Basilicata interessato a Riccobaldo da Ferrara, e si sarà forse compiaciuto che la storia ferrarese abbia raggiunto anche il profondo sud. Devo disilluderlo. Per la verità confesso che avrei gradito di più presentarmi a voi questa sera come professore dell'università di Ferrara, "Ma", come dice Riccobaldo a proposito di Salinguerra nella Chronica parva, "piacque a Dio, i cui disegni non possono essere ingiusti, mutare le fortune della città e della sua guida, benchè egli tutto invece possa col solo volere, senza servirsi di mezzo alcuno, tutto invece conduce al fine secondo il suo destino con strumenti intermedi, giusti o ingiusti che possano sembrare". Confermo, come il notaio di Indietro tutta che si solito "nemo propheta in patria". Anch'io, ancora come Riccobaldo, ho dovuto lasciare Ferrara, "relicta non sponte genitalis soli dulcedine".
C'è tuttavia un rovescio della medaglia: perchè mi sono fatto ambasciatore dei miei interessi ferraresi dovunque il caso mi ha portato: due anni fa ho parlato a Messina di Pellegrino Prisciani; nel settembre scorso o parlato a Brescia di Livio in Riccobaldo; nel corso del presente anno accademico a Potenza si parla tra altri anche di Riccobaldo. E non perchè io mi accanisca senza motivo, ma perchè Riccobaldo si rivela giorno dopo giorno personaggio di grandissima statura. Giusto tre giorni fa una studentessa del mio corso mi diceva di essere stata affascinata dalla scoperta di questo ignoto eroe, che nessun manuale nè di storia nè di letteratura ricorda, e mi poneva domande a raffica quasi affamata di notizie.
Quando nel 1980 usciva per l'illuminata amicizia di Italo Bovolenta il mio Riccobaldo e dintorni, non disponevamo di alcuna edizione affidabile di Riccobaldo. Oggi le cose sono cambiate: l'edizione della Chronica parva Ferrariensis curata dal sottoscritto, è del 1983; del Compendium, a cura di Teresa Hankey, del 1984; del De locis, ancora per mia cura, del 1986. A parte il Compendium, apparso nella prestigiosa collana delle fonti per la storia d'Italia dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo, le altre due sono state ospitate nella collana "Monumenti" della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, anzi all'interno della collana, si presentano come numeri I e II di una sottocollana interamente dedicata alle opere riccobaldiane. Mi ripromettevo nel 1984, conclusa l'edizione del De locis di giungere all'edizione del Pomerium nel giro di quattro anni. Non sono stato all'altezza della promessa. Potrei chiamare a discolpa una lunga serie di impegni, più e meno piacevoli, che mi hanno lungamente distratto dal compito, ma non sarebbe una difesa giustificata; almeno ai miei occhi. Il fatto è che oggettivamente il lavoro da compiere è enorme, e io l'avevo sottovalutato, o mi ero sopravalutato, il che è lo stesso. Lo sapeva bene Giuseppe Billanovich, quando mi esaortava a fare l'edizione dell'Historia Romana, riemersa in soli due manoscritti, per di più mutili, e di accantonare il lavoro sul Pomerium, con i suoi tanti e dipersi testimoni. Se non sono stato in grado di concludere il lavoro nei tempi previsti, sono comunque ancora convinto della bontà della mia scelta. In primo luogo perchè è indispensabile conoscere a fondo la prima opera di Riccobaldo per poter misurare il cammino percorso in seguito. E infatti i risultati già sono significativi, e ne parlo qui per la prima volta.
Prima di tutto un rapido sguardo ai testimoni. Ai 17 manoscritti, a suo tempo segnalati da Holder-Egger e Simonsfeld, sono oggi da aggiungere un codice già Phillipps che è in vendita oggi nel catalogo del libraio antiquario Kraus al prezzo modicissimo di 28 dollari e 50 (se la Biblioteca Ariostea lo acquistasse farebbe opera larghissimamente meritoria, e tra l'altro a poco prezzo!); un manoscritto di Busto Arsizio ed un codice frammentario segnalato da Cesare Scalon nell'Archivio di Stato di Udine. Non sono da considerare i due codici "riccobaldiani" d'El Escorial, e l'universitario bolognese 1287, controllato accuratamente da una mia allieva. Manca però il codice adoperato dal Muratori per la sua parziale edizione nei Rerum. La stessa cosa mi è capitata per la Chronica parva. Per quanto molto vicino al codice estense, il testo del Muratori differisce da quella in modo tale da non farmi consentire con l'opinione del Massèra che quello fu il codice alla base dell'edizione dei Rerum.àNe deriva che del testo muratoriano si deve anche tener conto ai fini dell'edizione. Sono a metà dell'opera di collazione e non posso escludere altre novità.
Tutto da rifare, al punto che si può dire che è da fare, è l'elenco delle fonti. Nel 1980 scrivevo che le fonti del Pomerium sono pochissime, e lo dicevo basandomi quasi esclusivamente sull'elenco delle fonti fornito dallo stesso Riccobaldo nel prologo all'opera, e sui pochi riscontri che ero riuscito a fare lavorando sull'edito. L'esame accurato del testo combia totalmente le cose. Al tempo del Pomerium Riccobaldo conosce sì il Chronicon di Girolamo, la sua continuazione di Prospero d'Aquitania, Orosio, la cronaca minore di Isidoro di Siviglia che egli attribuisce come normalmente al suo tempo a Mileto vescovo, Pietro Comestore, Rufino, Eutropio (nel rifacimento di Paolo Diacono), l'Historia Langobardorum, come si dice esplicitamente nel prologo, Sallustio della guerra giugurtina e della congiura di Catilina, Seneca (i due De consolationeàe il De clementia destinato al giovane Nerone), Svetonio, l'Itinerarium Antonini, Lucano, il De consolatione philosophie di Boezio, il codice pontificale ravennate ricordati più oltre, ma anche, in puro ordine alfabetico, il De civitate Dei di Agostino, Bernardo Tesoriere, Cicerone (De officiis, Ad Herennium, Pro Deiotaro, Pro Ligario, Pro Marcello), i Disticha Catonis, Giovenale, l'Adversus Jovinianum e il Prologus Galeatus di Girolamo, la Legenda aurea di Iacobo da Varagine, Livio, Martin Polono, il Papias Vocabulista, il cronista francese Rigord, l'Apologeticum di Tertulliano, Vegezio, la Vita Anselmi. E altro, perchè non di tutto mi è riuscito fino ad ora di rintracciare la fonte. Da escludere è la conoscenza di Sigeberto di Gembloux, che invece davo per certa nel 1980. Al tempo del Pomerium Riccobaldo non conosce ancora Giustino, Floro, e Cesare, che raggiungerà più tardi. Escludo anche derivazioni dalla Bibbia, come invece fa la Hankey nella sua edizione del Compendium. Non ho trovato echi da Beda, ma Giuseppe Billanovich mi ha preannunziato che mostrerà tra poco un prestito di testi da Albertino Mussato a Riccobaldo, in cui dovrebbe figurare anche il Beda del De temporum ratione. Non è neppure traccia di Plinio, Marziano Capella, l'Anonimo Ravennate, le etimologie di Isidoro, abbondantemente adoperati nel De locis; per Solino ne riparleremo.
Ma quale è il tempo di redazione dell'opera? La cronologia della composizione del Pomerium è questione complessa che andrà ripresa ovviamente nella introduzione all'edizione, ma è già possibile indicare con una certa precisione.
I più antichi conoscitori del Pomerium - Pellegrino Prisciani, Gaspare Sardi, e giù giù fino al Muratori, al Baruffaldi, agli eruditi ferraresi otto centeschi -, conobbero una sola redazione dell'opera. Invece i pionieri mo derni degli studi riccobaldiani - Simonsfeld, Holder-Egger, prima, seguiti da Massèra e Hankey poi -, recensendo e descrivendo i manoscritti, giun sero alla conclusione che l'opera conobbe tre successive redazioni, la pri ma terminata nel 1298, la seconda nel 1300, la terza nel 1302. Ripercorriamone l'itinerario.
Un primo gruppo di testimoni, che chiameremo A, conduce la nar razione del libro IV fino al 1298, per la precisione al 4 luglio; un secondo, B, fino al 1300, per la precisione fino al grande afflusso a Roma per il giu bileo; un terzo, sparuto, C, fino al 1302, per la precisione fino alla fine di giugno, alla cacciata da Milano di Matteo Visconti. In ogni caso punto fermo è la dedica dell'opera a Michele arcidiacono ravennate, che risulta morto prima del 31 ottobre del 1303. La narrazione giunge fino a Bonifacio VIII; in alcuni testimoni leggo nel libro VI:'Bonifatius VIII natione cam panus Anania oppido sedit annis VIII, mensibus X, diebus XII": l'opera si spingerebbe cioè fino alla morte di quel pontefice, vale a dire fino all'11 ottobre 1303, e così ho creduto in un primo tempo. Ma è un errore: ora mi accorgo che la durata del pontificato è lasciata in bianco nella maggior parte dei manoscritti, ed evidentemente là dove oggi la si legge è stata ag giunta più tardi (probabilmente sul finire del XVI secolo), e non certo da Riccobaldo. Perchè evidentemente? Perchè siamo in grado di segnare ben altri punti fermi.
Mentre B e C sono praticamente identici, con l'unica eccezione dell'appendice finale, tra A e BC corrono diversi aggiustamenti, secondo il Massèra frutto di correzioni dello stesso Riccobaldo; ad esempio là dove si parla della eredità della Marchesella, al nome di Azzo è sostituito quello di Obizzo, e mentre nella prima stesura si accennava ad Armanno Pungilupo, prima venerato come santo a Ferrara, ma poi condannato come eretico, giusto nel 1301, nella seconda, e terza, non se ne parla più. Il Massèra andava oltre: la prima 'edizione' dell'opera era stata terminata nel luglio del 1297, perchè così va interpretata una nota posta di solito (ma non sempre) in capo al libro:'compilatum est autem hoc opus anno Christi MCCLXXXXVII, ceptum februario, finitum infra mense quintum, studio et labore Ricobaldi ferariensis, anno secundo papatus Bonifatii VIII" (già il Massèra notava che nel febbraio 1297 non si era più nel secondo anno di pontificato di Bonifacio VIII, terminato il 23 gennaio precedente, ma nel terzo); un anno più tardi Riccobaldo aveva fatto qualche breve aggiunta relativa al 1298; ma, poichè tutti gli esemplari di A hanno queste aggiunte, non si può certo parlare, anche per A, di prima e seconda stesura, ma solo di un brevissimo ampliamento a lavoro concluso.
Le argomentazioni del Massèra sembrano convincenti; ma non lo sono, affatto, perchè non forniscono tutti gli elementi. Come ho detto, non ho ancora concluso la collazione di tutti i testimoni, ma penso di poter anticipare qui con tutta tranquillità le mie convinzioni odierne. Vediamo tutta la parte conclusiva del libro IV:

Anno Christi MCCXCVII magna Rome seditio inter Bonifatius papam et duos cardinalium de Columna, quibus mandavit ut pileos deponerent, cardinalatus insignia. Eos quoque, cum non parerent, ac ceteros clericos illius generis usque in quartam generationem privavit ecclesiasticis beneficiis et honore, palatia quoque eorum dirui fecit in Urbe, castella eorum impugnari fecit, et que vinci non potuerunt perpessa sunt populationem agrorum. Hinc cedes in Urbe et prelia. Nep;m et Columnam postea obsidione subactas duces belli in deditionem receperunt. Hoc anno opera eius Bonifatii facta est pax inter Carulum secundum regem et regem Aragonum, triplici nodo affinitatis hinc inde firmato. MCCLXXXXVIII. (rubr. om. BC) Bonifatius papa sextum librum Decretalium edidit, quo multa utilia sunt congesta. (MCCXCVIII add. BC) Oppidum Columna diu obsessum, muris subfossis, in deditionem habitum. Liberatis obsessis oppidum est subversum.

Fin qui l'unica differenza sta in quel "MCCXCVIII", che evidentemente nell'archetipo era segnato nel margine, e che A prepone in rubrica a 'Bonifatius papa...", mentre BC nel testo a "Oppidum Columna...". Poca cosa, insomma. Poi A prosegue:

Hoc anno quarto die iulii Bonifatius papa Carulum fratrem Philippi regisFrancie et filium alterius Philippi elegit et confirmavit dominum et rectorem Romaniole, Marchia Ancone, ducatus Spoletani et Patrimonium Sancti Petri

e si interrompe definitivamente. Mentre BC proseguono con

Adulphus imperator festo beati Iohannis Baptiste congressus est cum Adalberto duce Austrie condam filio Rodulfi imperatoris. In quo congressu occubuit Adulphus. Adalbertus victor statim factus est illi successor in regno.
Adalbertus dux Austrie imperator eligitur

Anno Christi MCCXCVIII mense iulio Adalbertus dux Austrie, primogenitus Rodulfi condam imperatoris, perempto in prelio Adulpho, illi successit in regno...

eccetera, fino al 1300 B, al 1302 C.
Il libro VI termina con Bonifacio VIII:

... Composuit quoque (quoque om. BC) inter regem Carulum et regem Aragonum diu inimicos.

Qui si interrompono BC, mentre A prosegue:

Anno Christi MCCXCVIII edidit Sextum librum Decretalium. Eo quoque anno composuit inter Philippum regem Francie, et Obdoardum regem Anglie. Carulum quoque fratrem regis Francie elegit et confirmavit in dominum et rectorem Romaniole, ducatus Spoleti, Marchie Anconitane et Patrimonium Sancti Petri.

Ecco la proposta del Massèra, che ricavo dalle sue carte manoscritte conservate alla Gambalunghiana di Rimini, carte che hanno tutta la commovente vivezza di un lavoro in via di elaborazione:
'Tempo di composizione del Pomerium (v. una nota nella biografia di R.°= II Studi riccobald.)
Composto inn. a 1301 (v. Andrea III oggi re d'Ungheria)
inn. 2 luglio 1298 (v. Adolfo che oggi regna)
inn. a 29 sett. 1298 (v. Guido da Montef. che oggi vive)
Composto 1297 - v. nota ecc.
Durante la composizione, nel I° semestre 1297, R."arrivò libro IV sino alle note di quell'anno che sono:
presa di Nepi (estate 1297 - ma che mese?)
presa di Colonna (?)
deposizione dei 2 cardinali (10 maggio 1297)
pace di Carlo II con Giac. III d'Aragona (aprile 1297)
canoniz. di Luigi IX (11 agosto 1297) (di questa, se il Pom.àfu finito in luglio, spiega che non c'era bisogno di attendere la bolla ecc.)
Libro VI arrivò sino a diu inimicos, che comprende avvenimenti già detti sopra. (la nota 1298 fu aggiunta poi, quindi sparì nei cdd. 2a e 3a recensione).
Poi, circa un a.° dopo Ricc. aggiunge ciò che pertiene al 1298, e questo fu nel luglio (dopo il 4 e prima del 15? 20?). Perchè aggiunte? Forse il libro non era stato ancora pubblicato e prima di farlo, Ricc. aggiunse quelle aggiunte.
Escludere che 1297=stile ab incarn.=1298".
Completiamo le note croniche che il Massèra non ebbe il tempo di perfezionare: la presa di Nepi è del settembre 1297 e quella di Colonna del 21 giugno 1298, ma nulla vieta, anzi sembra del tutto probabile, che la fonte di Riccobaldo - di cui nulla sappiamo - avesse già anticipato i fatti, o ingigantendo scontri più modesti o dando addirittura per scontata la caduta delle due fortezze in breve volgersi di tempo. Un'altra nota del Massèra infine dice:
'Nella 1a Pom. non si parla di Armanno Pungilupo; nella 2a sì, e in modo da far capire che non era stata ancora pronunciata - o non era ancor nota a R.° - la sentenza del 22 III 1301".
Premesso che non è dubbio alcuno che le aggiunte non siano di Riccobaldo, la proposta di Massèra non regge; rilevo che:
1 - La nota relativa alla nomina di Carlo di Valois a rettore di Ro magna nel 1298 è solo in A, e non trapassa in BC, come nota giustamente il Massèra, ma non si capisce perchè; non solo: la nomina, che Riccobaldo riferisce al 4 luglio 1298, avvenne in realtà il 22 aprile 1301, e se è in qualche modo comprensibile che Riccobaldo abbia commesso un errore, non si può certo ammettere che l'aggiunta dati al luglio 1298 trattando di fatti dell'aprile 1301! Anche quella nota deve essere stata stilata dopo il 22 aprile 1301, comunque, e probabilmente neppure in giorni molto prossimi a quella data, altrimenti l'errore sarebbe veramente incomprensibile.
2.- Nella parte che dovrebbe terminare con il luglio 1297, ma solo in alcuni testimoni di A, non in tutti, si trova questo brano, tra '... in deditionem receperunt" e "Hoc anno opera eius...":

Eodem anno Paduani salinas habere incipiunt. Bonifatius papa canonizavit Ludovicum regem Francie, qui interierat apud Carthaginem.

Dato che il pontefice pronunziò un primo sermone al proposito il 6 agosto e pubblicò la bolla di canonizzazione l'11 da Orvieto, siamo di fronte ad una aggiunta successiva al luglio, anche se il Massèra dice "che non c'era bisogno di attendere la bolla...";
3 - Gran parte delle 'correzioni' di BC non sono altro che lezioni er ronee. Esemplifichiamo: diamo per buona l'ipotesi di una prima, seconda e terza redazione. Trascuriamo tutte le omissioni che si possono spiegare come errori di copista, e consideriamo il passo seguente:

Hec in sinu pelagorum urbes habet in mari potentissimas et commodas, ut Ianuam, Pisas, Neapolim, Messenam (Panormum B) et alias urbes siculas...

Dovremmo concluderne che una prima volta Riccobaldo scrisse "Messenam", che corresse in "Panormum" nel 1300, e che ri-corresse in "Messenam" nel 1302; possibile, ma piuttosto singolare. In un altro caso invece non c'è il minimo dubbio che cosiddetta seconda e terza redazione non contengano altro che un errore per tagli e adattamenti:

BC
In Liguria parte que adiacet Venetie est florentissima urbs Mediolanum et alia oppida et Ticinum sive Papia
A
In Ligurie parte que adiacet Venetie est florentissima urbs Mediolanum et alia oppida; in altera parte affini Emilie est Ticinum sive Papia

Ancora:

A
... urbes quatuor in ea condiderunt, scilicet Mediolanum, Ticinum, Pergamum et Brixiam...
BC
... urbes quatuor in ea condiderunt, scilicet Mediolanum, Cremonam, Veronam et Brixiam...

Per assicurarci della giusta lezione basta leggere la fonte, Papia:

... Galli enim dum Italiam invasissent Ticinum et Mediolanum, Pergamumque et Brixiam quoque constituentes...

In un altro punto,

Anno Christi MCCXCIII Obizo Estensis marchio Ferrarie moritur mense februarii postquam dominium tenuerat annis XXIX (XXXI BCà)

la durata del dominio di Obizzo in BC (31 anni invece di 29) non è si curamente una correzione, ma un semplice errore, che non in alcun modo lecito imputare a quel Riccobaldo che era presente il giorno dell'elezione di Obizzo a signore di Ferrara e che di quel giorno ha fatto il tema di una splendida pagina della Chronica parva.
4 - La menzione di Pungilupo rimane - contrariamente a quello che dice Massèra - in tuttiài testimoni, anche di C; a proposito del sarcofago di Teodosio si legge:

... cuius sepulcrum fuit illud quo in ecclesia ferrariensi iacet Armanus quem Ferrarienses venerantur ut Dei amicum.

La sentenza di condanna dell'eretico è del 22 marzo 1301. Il Massèra ha fatto confusione, perchè - dimenticando, o fattosi sfuggire quello che abbiamo appena citato - si riferiva ad un altro brano, più avanti, sotto l'anno 1269:

Eo anno Ferrarie obiit Armanus cui ut sancto a populis delatus est honor. Obiit autem XVI decembris;

ma è ancora peggio, perchè questo brano è solo in BC, non in A, esattamente l'inverso di quel che dice il Massèra, e la conclusione - assurda - dovrebbe essere che Riccobaldo, dopo la condanna di Pungilupo, riferì della sua santità e del giorno della sua morte.
5 - In tutti i testimoni, anche di C, si legge:

Hoc tempore Guido comes de Monte Feretro, dux bellorum strenuus, condam contra Bononienses Liviensibus (Forliviensibus Muratori ) ductor belli et Pisanorum post clades reparator, depositis honoribus seculi, Minorum ordinem ingressus est, ubi hodie militat in castris Francisci.

Poichè Federico morì alla fine di settembre del 1298, questo non si sarebbe potuto scrivere nel 1302. Ma ancora più chiaro è:

Anno Christi MCCXCV Adulphus comes, Alamanus genere, rex Alamanie et imperator eligitur, qui hodie regnat

e Adolfo fu ucciso il 2 luglio 1297, ed il successore, Alberto, venne eletto il 27 luglio. Quell''hodie" non può essere di molto successivo ai primi del mese.
Concludo:
a) Riccobaldo scrisse una sola volta il Pomerium, tra febbraio e fine giugno, forse i primissimi giorni del luglio 1297, ma
b) continuò ad arricchire il testo con note marginali ed aggiunte, sia riprendendo ulteriori passi di opere che già aveva adoperato, sia attingendo ad autori che via via conosceva. A questo proposito - per quel che qui ci interessa più da vicino - se è certo che già conosceva Martin Polono, Seneca, il Livio di I e III Decade, non ho elementi per decidere per quel che riguarda la IV Decade e Solino, che sono citati in aggiunte presenti in BC, ma non in A; propendo comunque - senza alcuna prova, ripeto - a ritenere che Riccobaldo li conoscesse già, ma che non li avesse prima utilizzati considerandoli di scarsa utilità in questo lavoro; col tempo li rivalutò e li usò più abbondantemente.
c) Lo stato attuale di A, B e C deriva dal loro essere discesi da copie più o meno fornite delle aggiunte. Le note presenti in A, e non trapassate in BC, non erano ancora state vergate quando BC vennero copiati, oppure - e più verosimilmente - vennero considerate appunto note marginali di non si cura autorità, non degne di essere trascritte. Indiscutibile rimane che C contenga le note più tarde, ma non è per nulla sicuro che fossero le ultime, anche se vi è una buona dose di probabilità che lo siano.
d) Ai fini dell'edizione si deve concludere che tutto quello che è in A, e non in BC, come quello che è in BC, e non in A, è da considerare nota po steriore, seppure d'autore.
e) Si potrebbe tentare di indicare una cronologia delle aggiunte finali: un primo gruppo tra luglio 1297 e 4 luglio 1298; un secondo tra 4 luglio 1298 e settembre 1301; un terzo tra il settembre 1301 e la fine giugno 1302, a seconda che siano presenti via via in A, B e C; ma a ben guardare questo criterio non è affatto sicuro, perchè nulla vieta che Riccobaldo ab bia stilato la nota relativa al 1298 anche dopo quella del 1302 (e un caso l'abbiamo documentato), e quest'ultima nel 1303, o 1304 o dopo... Lo stes so, ovviamente, ed a maggior ragione, per tutte le aggiunte interne al lavoro.
f) La lezione di A è generalmente superiore. Quelle che il Massèra considerava correzioni suggerite da conoscenze successive, sono errori che non è lecito attribuire a Riccobaldo. Nel caso particolare della Marchesella, di grande importanza per la storia ferrarese, il nome delle sposo dato da Riccobaldo è Azzo - ribadisco-, e non Obizzo.
Stabilito questo, si potrebbe aprire il discorso su ciascuna delle fonti del Pomerium. Occupiamoci solamente di una delle questioni di maggiore peso: il Livio di Riccobaldo. Che cosa sapevamo fino a ieri a proposito di Riccobaldo e Livio? Poche cose: prima di tutto che "... Riccobaldo a Ravenna nel 1297, se maneggiava la più normale I Decade, ignorava la meno frequente III, nè ancora aveva raggiunto la sotterranea IV Decade". In secondo luogo che "nella sua nuova e, sembra, più distesa o almeno più fruttuosa dimora a Padova Riccobaldo molto profittò nel commercio con il Mussato e con i suoi soci", conquistando anche III e IV Decade, che abbondantemente adoperò nelle Historie e nel suo rifacimento del 1318, il Compendium. Tutto ciò è confermato dall'ampio uso di Livio della I, III e IV Decade nel De locis. Infine il Livio di Riccobaldo era quello recuperato da Lovato a Pomposa, come dimostra il comune interrompersi della III Decade a "hunc quem increpatis risum esse" (XXX,44,6), e della IV a XL,2,4, e la coincidenza dei profili biografici dello storico latino in Riccobaldo e Lovato, tenendo conto che quel profilo era stato steso da Lovato medesimo, analogamente da quanto fatto dal padovano a proposito di Seneca. Una scheletrica indicazione nell'edizione del Compendium ci fa da ultimo sapere che il Livio di Riccobaldo apparteneva per la prima Decade alla famiglia RnDL, per la terza alla famiglia pigreco, e per la quarta alla famiglia x.
Oggi possiamo illuminare qualche passaggio, precisare e correggere in parte. Prima di tutto rivelo che fin dal Pomerium Riccobaldo adoperò non solo la I, ma anche la III Decade, anzi, potremmo dire la III in misura maggiore rispetto alla I. In secondo luogo lo studio della tradizione del Pomerium mi conferma che Riccobaldo usò sempre più intensamente Livio man mano che il suo lavoro di raccolta delle fonti e di elaborazione di opere procedeva. Infatti una parte dei testimoni del Pomerium riporta in tal senso diverse addizioni, che si debbono ritenere d'autore, sia perchè tornano sostanzialmente invariate nelle opere successive, sia perchè non fanno che confermare quello che già sapevamo: il diuturno lavorio di Riccobaldo, continuamente preoccupato di aggiornare le opere precedenti con le nuove acquisizioni. Così pare curiosa la con vinzione della Hankey quando sostiene "che non ha trovato motivo di pensare che R. sia tornato al Pomerium quando preparava il Compendium"; le continue aggiunte, gli adattamenti, le correzioni che per tutta la vita Riccobaldo fece al suo lavoro di storico testimoniano invece che non solo il nostro tornava sui risultati dei suoi lavori precedenti, ma pure che ne sfruttava al meglio i risultati, magari mutando tono e "stile", come diceva, al variare dei committenti.
Parte di queste aggiunte riguardano proprio Livio. Ad esempio, nella prima stesura del libro II del Pomerium, Riccobaldo aveva parlato di Romolo e Remo sulla base del Chronicon di Eusebio-Girolamo; poi ,dopo qualche anno, completò il racconto con ulteriori notizie tratte da Livio I,3,10-11 e 4,3-9, e le inserì a fianco del testo originario.
In questo primo risultato dell'incontro con lo storico romano ci sono anche aspetti sconcertanti: il libro III, che pure si apre con la rubrica De Rome conditione, in realtà, nonostante citi esplicitamente il solo nome di Livio, si rifà parte a Livio, parte a Martin Polono.
Potrei riportare numerosi altri esempi, che conducono tutti ad una sola conclusione: di fatto Riccobaldo nei giorni del Pomerium se deve scegliere preferisce Orosio e Eutropio (vale a dire Paolo Diacono), ed anche Pietro Comestore, che riporta a lungo testualmente, a Livio, che quando è citato, lo è quasi sempre riassumendo, e per lo più a senso, non letteral mente. Ma certo Livio riportava notizie che in quei manuali usuali non era no, ed allora se ne approfitta: ed ecco gli episodi famosissimi di Lucrezia, Muzio Scevola, la vergine Clelia, la fine tumultuosa della magistratura dei decemviri, Camillo, le forche Caudine, e tanti altri fatti "memorabili" della I Decade. Poi, dopo il lungo intervallo dovuto alla mancanza della II, si riprende con la citazione dalla III Decade, vale a dire dall'assedio di Sa gunto da parte di Annibale. E poi vengono le battaglie, la Trebia, il Trasi meno, Canne. Quindi i tempi della rivincita romana: Capua, Asdrubale e Masinissa, Decio Magio, le imprese vittoriose di Scipione in Spagna, il Metauro, infine la guerra in Africa, Zama, di cui 'Titus Livius ordinem pugne describit".
Al tempo del Pomerium dunque Riccobaldo padroneggia anche la III Decade; e immediatamente dopo legge anche la IV: ad un certo punto una delle solite aggiunte conservate solo in parte della tradizione ricorda la fondazione delle colonie di Bologna, Modena e Parma, che deriva da Livio XXXVII,57,7-8 e XXXIX,55,7, notizie che Riccobaldo riprenderà pari pari nel De locis.àDi passaggio noto che in una di questo tipo di aggiunte, è citato anche Solino.
Non è tutto: oltre ad adoperare Livio, Riccobaldo ne delinea anche una biografia essenziale. Quando parla di Cesare segna:'Titus Livius patavinus scriptor historiarum ab Urbe condita et Messalla Corvinus orator romanus nascuntur olimpiade CLXXX"; poi, nell'impero di Augusto, trova lo spazio per annotare:"Titus Livius Patavii natus a conditione Urbis scribit histo riam et illustris habetur in orbe". E poi ancora, nel quarto anno di regno di Tiberio, ventesimo da Cristo:"Titus Livius historiographus Patavii moritur anno etatis LXXVII, qui ab Urbe condita tempore usque ad tempora Augusti romanam transcripsit historiam per decadas digerens, cui inscribendo historiam nemo conferri potuit. Ipsius quidem meminit beatus Hieronimus in prohemio Biblie dicens:"Ad Titum Livium lacteo eloquentie fonte ma nantem" et cetera. Ovidius Naso poeta eloquentissimus in exilio moritur anno imperii Tiberii quarto; apud Thomos oppidum sepelitur". Ma di dove trasse queste notizie Riccobaldo? Se leggiamo il profilo biografico di Livio attribuito a Lovato notiamo subito i punti in comune: historiographus, nascita nello stesso anno per Livio e per Messalla Corvino, morte nel 77 anno d'età, anno di morte anche per Ovidio. Ma sono tutti, escluso l'età, punti in comune con la fonte, che è il Chronicon di Girolamo: 1958, Olymp. 180:"Messalla Corvinus orator nascitur, et Titus Livius Patavinus scriptor historicus"; 2033, an. Tiberii 4, an. Dom. 19:'T. Livius historiograhus Patavii moritur. Ovidius poeta in exilio diem obiit et iuxta oppidum Thomos sepelitur". Per l'età nella biografia attribuita a Lovato i conti sono semplici, visto che vengono fornite anno di morte, 771, e di nascita, 694 dalla fondazione di Roma (calcolate in proprio, ma poichè l'anno della fondazione di Roma in Girolamo corrisponde al 1262 da Abramo, la data di nascita dovrebbe essere 696!): la differenza fa giusto 77. Per Riccobaldo la spiegazione è più complicata: dispone anch'egli delle date di morte e di nascita fornite da Girolamo, 2033 e 1958 da Abramo, ma la differenza darebbe per la verità 75; osservo però che molto frequentemente Riccobaldo altera il computo degli anni in base a proprie considerazioni, ed anche in questo caso nella rubrica segna l'anno ventesimo dalla nascita di Cristo (per Girolamo era il diciannovesimo). Poichè la nascita di Cristo corrisponde in Girolamo al 2015 da Abramo, 2015+20-1958 dà appunto 77. E fin qui tutto bene.
Ma ci sono anche differenze non da poco: per l'uno l'anno di nascita corrisponde (giustamente secondo la fonte) alla centottantesima olimpiade (secondo anno), per l'altro al terzo anno della centosettantanovesima; e l'anno di morte è per l'uno il quarto (ancora giustamente secondo la fonte) del regno di Tiberio, per l'altro il terzo. Manca il testo dell'epitafio nell'uno, manca la citazione di Girolamo nell'altro. In più in Riccobaldo si ricorda che il testo delle storie era diviso in decadi e che giungeva fino ad Augusto, notizie queste non certo desunte da Girolamo. Ora è facile pensare che il Chronicon di Girolamo, per la sua stessa struttura a diverse colonne raffrontate, si prestasse molto facilmente ad errori di lettura, soprattutto per quanto riguardava le date ed il computo degli intervalli di tempo, ma se così fosse, se cioè le discordanze si devono attribuire a letture diverse del Chronicon, la conclusione sarebbe che i due autori si sono rifatti autono mamente alla propria fonte, e non che l'uno ha avuto come fonte l'altro. Non risolutiva, ma certo di peso, la constatazione, che qui facciamo per la pri ma volta, che il Pomerium non conosca Giustino (nè Floro), che il ferrarese conquisterà solo più tardi, e proprio nella lezione pomposiana-padovana già allora in mano a Lovato. Riccobaldo dunque al tempo del Pomerium non conosceva la biografia composta dal padovano. Dopo il Pomerium il testo del presunto epitafio compare nelle opere successive di Riccobaldo. Nelle inedite Historie, composte a Padova attorno al 1313 e nel suo Compendium, in tempo prossimo alla fine del 1318.
Che cosa è cambiato? Ora è presente il testo dell'epitafio, per il resto nulla. Basta per dire che Riccobaldo aveva visto la vita composta da Lovato? Disgraziatamente no, perchè sappiamo bene che Riccobaldo fu per sonalmente a Santa Giustin, e personalmente può essersi trascritto l'epitafio. E rimane che Riccobaldo mantiene l'indicazione: nel quarto anno di Tiberio, che non si accorda con la vita di Lovato, oltre naturalmente tutto quello che è nel Pomeriumà e non è in Lovato: la divisione in decadi, la prosecuzione della narrazione fino ad Augusto, la citazione di Girolamo. A proposito di quest'ultima, noto che tra le vite di Livio riconosciute derivare da quella stesa da Lovato, riportano la citazione di Girolamo so lamente tre codici, e la citazione si ritrova infine in due autori che sicuramente conobbero le Historie di Riccobaldo, il Boccaccio e il Bandino.
Aggiungiamo che tutti i codici che si rifanno alla vita composta da Lovato riportano concordemente l'anno di nascita: anno terzo della cen tosettantanovesima olimpiade; e l'anno di morte: anno terzo di Tiberio. Riccobaldo sarebbe il solo a riportare 'olimpiade 180" ed 'anno quarto di Tiberio". Ma anche in questo qualcuno riprese da lui sicuramente: il Boccaccio, come è stato già indicato, sia nel suo zibaldone laurenziano:'Huius imperii anno IIII... usque ad tempora Augusti Romanam scripsit hystoriam per decadas dirigens..."; sia nella vita di Livio che prepose ad una sua copia della I Decade:'... anno secundo olympiadis CLXXX... anno Tiberii Cesaris IIII...". Giusto quindi:'da Riccobaldo al Boccaccio"; dubito a questo punto fortemente che si possa dire:'da Lovato a Riccobaldo".
Ma non c'è dubbio che il Livio di Riccobaldo fosse quello dei padovani. Si legge prima in Compendium V,15:

Legatis K[arthaginensibus] deinde senatus est datus. Unus ex eis ait orando, raro hominibus fortunam bonam ac mentem bonam dari...

e poi nelle Historie:

Legatis Carthaginensium deinde senatus est datus. Unus ex his inter cetera ait orando raro hominibus bonam fortunam bonamque mentem dari...

Il Livio padovano ha una lacuna tra XXX,41,6 e 42,15. Leggendo questi brani ho pensato che in quel "unus ex eis ait orando" del Compendium; e più fortemente in 'Unus ex his inter cetera ait orando..." delle Historie fossero echi di

Livio XXX,42,11. 14-15

... legati Carthaginienses vocati. Quorum aetatibus dignitatibusque conspectis... Qui cum varia oratione usus esset, nunc purganda crimina,nunc quaedam fatendo..... raro simul hominibus bonam fortunam bonamque mentem dari...

Ma è lo stesso Riccobaldo a chiarire; più avanti, nelle Historie, dice:

...hunc quem increpatis risum esse. Hic finem reperi libri XXX Titi Livii tertio decade; Qui cum varia oratione usus esset, nunc purganda crimina, nunc quaedam fatendo..... X° quem librum exactum non oppinor: nam nichil absolvit de his que acta fuerint cum legati Philippi qui cum legatis Carthaginensium uno tempore Romam venerant.

Ma qui mi riporta sulla retta via Giuseppe Billanovich: Riccobaldo sa che le legazioni cartaginese e macedonica sono giunte contemporanea mente a Roma (XXX,40,4), ma poi non vede più riferire dell'ambasciata di Filippo, proprio perchè a lui ed ai padovani manca XXX,41,6-42,13, e intuisce la lacuna. Prova più limpida non ci potrebbe essere.
Ma allora mi chiedo: non è possibile che sia stato Riccobaldo a portare Livio a Padova? E dove l'avrebbe trovato. Non certo a Pomposa, dei cui libri il nostro non mostra mai di aver goduto (Giustino gli viene tardi, dai padovani). Ho ipotizzato Nonatola, Ravenna. Ma in una lettera Billanovich perentoriamente mi scrive: "prima, terza e quarta decade di Livio, non possono venire nè da Nonantola, nè da Ravenna, perchè forono conservate insieme solo a Roma nella biblioteca dei papi e a Bamberga". Ma il monaco pomposiano che procurò al monastero il testo di Livio, pare che se lo fosse acquisito in territorio bolognese. Altro per ora non so dire.