Presentazione dell'edizione, a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli, della cronaca dello Zerbinati

 

Giuseppina Muzzarelli inaugura con questo suo lavoro un campo di attività nuovo per lei: il coraggioso e difficile mestiere di editore di cronache. Vero è che la novità consiste nella materia, non nel genere, perché già la Muzzarelli ci ha dato in passato una edizione di statuti del Monte di Pietà di Cesena, che completava un'indagine a lei congeniale, fin dagli anni universitari. E proprio alla cronaca dello Zerbinati è giunta per i suoi interessi di storia economico-social-istituzionale, in particolare al nesso tra Monti di Pietà-questione francescana e questione ebraica, che l'hanno vista autrice di diversi saggi dedicati alla Romagna prima, all'Emilia poi, a Ferrara infine, oltre che a stilare un bilancio storiografico in merito per quel che concerne l'Italia.
L'attenzione che singolarmente lo Zerbinati dedica nella sua cronaca all'istituzione del Monte di Pietà a Ferrara - istituzione tardiva, ma non per questo peculiare - giustificava di per sé l'approccio. La predicazione di frate Giacomo Ongarelli da Padova, si dice, ha "come principal causa... per estirpare le usure delli giudei". Verrebbe fatto di pensare che ci troviamo di fronte ad una conferma dell'interpretazione, ribadita recentemente in un bel libro di Giacomo Todeschini, che vede in questi fatti l'esprorio ed il rovesciamento operato dai Francescani di teorie economiche di tutt'altro significato nel mondo ebraico. In realtà a me sembra che l'istituzione del Monte ferrarese sia più diretta a soccorrere chi si trovasse in difficoltà perché normalmente esposto alle variazioni della fortuna, che non a sostituire l'attività creditizia ebraica in generale, che infatti come sappiamo continuò tranquillamente.
Ma la cronaca risultava poi attraente non solo per quel tema, del resto affrontato dall'autore con non grave profondità, al punto da rendere necessaria una edizione. Quel diario di non grande mole è infatti, come tutti noi che ci occupiamo di cose ferraresi sappiamo, e come opportunamente ribadisce nella sua prefazione Luciano Chiappini, testimonianza "diretta e coeva di un periodo del tutto scoperto nell'annalistica cittadina". Le ragioni per affrontare dunque questa fatica erano note. Ma il lavoro di editore è faticoso, in genere lungo oltre le previsioni, e per lo più fortemente ingrato, soprattutto per quel che concerne i testi narrativi. Così se non è certo infrequente disporre oggi sempre più di edizioni di testi documentari, raro è invece che ci vengano proposte edizioni di storie, cronache, annali. Ho già avuto occasione e motivo di ricordarlo presentando al mondo studentesco universitario una antologia di scritti sulla storiografia medievale italiana, continuo, e temo di dover continuare a lamentarlo per un pezzo, anche se l'occasione che ci vede qui stasera è un segno, per quanto timido, beneaugurante.
Proprio perché sono in prima linea su questo fronte, mi rendo perfettamente conto delle difficoltà che presentava l'impresa. Non tanto sul piano della trascrizione - questo è sempre il meno, mi diceva colloquialmente il mentore Adriano Franceschini, ed il compianto cavalier Bargellesi ci si era provato infatti, ma ad una edizione non era mai arrivato: abbiamo infatti un unico manoscritto, per di più conservato in casa, all'Ariostea, con non gravi difficoltà di lettura. Il vero problema consiste piuttosto nel valore da attribuire a questa "testimonianza".
Raro trovare a questo proposito situazione peggiore: quello che ci rimane è una copia fatta a quasi un secolo di distanza da un discendente - non sappiamo neppure con quale preciso grado di parentela - dell'autore. Trascrizione in aggiunta "selettiva" di un testo sicuramente più ampio, e con interventi che non è possibile divinare per quantità e qualità, ma che certo hanno fortemente inquinato l'originale. Interventi direi anche "redazionali", che si colgono qua e là esplicitamente, in un gioco di rimandi tra testo e note marginali, ma che è possibile individuare anche nel testo, e che da un rapido esame ho l'impressione siano stati molto gravi e, forse, significativi. Difficile pensare che il testo all'origine facesse menzione di un qualche personaggio notando subito dopo il suo destino futuro, proprio per il carattere strettamente "contemporaneo" di un diario; difficile ritenere che ad un certo punto si cominciasse a parlare di Giulio II senza avere neppure accennato precedentemente alla morte di Pio III. E sono sicuramente delle intrusioni frasi del tipo: "come il tutto nota messer Paolo Zerbinati diffusamente sotto più capi, secundo il tempo che ocursono"; "... detto hebreo banchiero nominato dalla scrittura cronicha che tralascio". Ovvio è che Giovanni Maria Zerbinati "cavasse" dalle note dell'antenato Paolo quello che a lui sembrava degno di ricordo, e probabilmente aggiunse pure qualche cosa di suo; ma nessuno è in grado di dire quanto turbamento abbia portato al testo che gli servì di base, a meno che non riemerga quell'originale che, stando al peraltro piuttosto infido Ughi, vide ed adoperò lo Scalabrini.
Comunque sia non c'era via d'uscita, e l'edizione della Muzzarelli non poteva che essere diplomatica, attenta solo a segnalare un'inversione cronologica, l'inesattezza di certe date; il carattere in fondo provvisorio del testo, visto che a margine si trovano perfino indicazioni sul come sistemare la materia. L'insoddisfazione dell'editore in questi casi è evidente, ma irrimediabile: intervenire, dice la Muzzarelli a ragione, si poteva fare solo all'insegna dell'arbitrio e dei gusti personali; criteri che di scientifico ben poco hanno. Basti dunque l'avvertenza di adoperare questo testo con le cautele del caso. Bisogna aggiungere che qualche errore di identificazione dei luoghi, dovuti al fatto che per la prima volta la Muzzarelli si occupa del territorio ferrarese, saranno facilmente sanabili dal cultore di storia locale.
Fatte queste avvertenze, come si inquadra quel testo nella storiografia ferrarese? Non siamo certo al piano nobile della storia. Il vegliardo Riccobaldo non ha nulla a che spartire con questo diario; ma siamo pure lontani dai toni celebrativi della casa d'Este che in varia misura si ritrovano in quasi tutte le cronache ferraresi immediatamente precedenti, dalla Polyhistoria di Nicolò Da Ferrara, al Chronicon Estense, al De rebus Estensium, al Delaito, al da Marano, alla smaccata piaggeria degli annali di Giovanni da Ferrara, a Pietro Cirneo. Il coevo Pellegrino Prisciani conversa con ben altri personaggi, del passato e del presente. L'unica volta che lo Zerbinati cita un classico, un luogo della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, lo fa in maniera confusa e imprecisa, tanto che la grammatica non regge, la citazione è introvabile, e noi siamo portati a ritenere che lo Zerbinati riportasse magari di seconda ( o terza...) mano, magari da una predica fraintesa o comunque mal intesa. Le note stese dallo Zerbinati, con scarsa sistematicità del resto - almeno stando a quello di cui disponiamo -, si apparentano di più evidentemente con il cosiddetto Diario ferrarese di autori incerti, pubblicato parzialmente prima dal Muratori, poi dal Pardi; con le cronache dello Zambotti; forse con quelle del Ferrarini, di Ondedio de Vitale, degli Antigini e di Paolo da Legnago; ma su questi ultimi sappiamo tanto poco che non c'è che da augurarsi che la Muzzarelli, forte di questa esperienza, voglia affrontarli decisamente in futuro, come ho motivo di sperare. Certo il parallelo più calzante è con il diario del Caleffini, sia per la contiguità cronologica, sia per il carattere stesso dell'opera, sia per l'estrazione sociale degli autori.
In generale la storiografia ferrarese ha caratteri del tutto singolari, come mi è accaduto di ricordare insieme ad Augusto Vasina nell'occasione dell'approntamento di un repertorio cronistico dell'Emilia Romagna: un numero notevolissimo di esponenti, una grande diversità di approfondimento degli studi sui vari autori, tanto lavoro - in definitiva - ancora da svolgere, con ampie possibilità di impegno e gloria per tutti. Il lavoro di cui parliamo stasera è di quelli senza studi in merito. Sappiamo solo per quel che concerne la sua fortuna che il Frizzi lo apprezzò e l'adoperò. Anche il genere cui appartiene - il giornale privato - propone qualche problematica di utilizzo. In fondo - a ben guardare - anche un diario non è mai squisitamente tale, puro innocente ed ingenuo, come sappiamo. I diari di Ciano e le memorie di Churchill mentono a più riprese; per quanto dichiaratamente "privato" il diario è sempre scritto pensando che prima o poi qualcuno lo leggerà - è anche il caso di Anna Frank -, ed in una qualche maniera, cautamente, è sempre da considerare testimonianza "pubblica", se non altro per il semplice fatto di riportare cose "pubblicamente" note, anche nell'eventualità che ciò che è di dominio pubblico non sia assolutamente ciò che realmente si è verificato. In fondo noi disponiamo del testo di Paolo Zerbinati - seppur falcidiato - perché effettivamente un altro l'ha letto ed ha ritenuto degno di pubblicarlo.
Ciò non toglie che questo testo si presenti con alcune peculiarità che ne fanno comunque un unicum. Se confronti e paralleli si possono e si debbono fare, con lo Zambotti, con il Caleffini, come puntualmente fa e verifica la Muzzarelli, rimangono accostamenti in definitiva meccanici ed esterni. L'occhio dello Zerbinati è sicuramente tutto "ferrarese", come quello di Bernardino Zambotti e di Ugo Caleffini; ma lo Zambotti - vorrei dire - guarda sempre ai quartieri alti, ed il Caleffini a quelli bassi. Nessuno di loro è protagonista di primo piano, ma tutti si sentono in qualche modo protagonisti della storia di Ferrara. In tutti, e non poteva essere diversamente, le vicende di corte la fanno da padrone (lo Zerbinati inizia praticamente diffondendosi sui fasti del matrimonio di Alfonso con Lucrezia Borgia), ma profondamente diversa è la partecipazione personale e quella che per via mediata i vari cronisti registrano complessivamente. Se dunque è poco feconda la via del confronto, perché, come dice testualmente la Muzzarelli "opere di uomini assai dissimili per personalità, interessi, cultura e mezzi espressivi", converrà allora mettere l'accento come fa egregiamente l'editore nell'introduzione su alcuni temi di carattere più generale propri alla cronaca. Non direi però che il modello storiografico del nostro sia annalistico. Il mondo dell'autore è diverso, ha un suo centro di interessi, appunto, mentre l'annalista si perde comunque non riuscendo a padroneggiare la vita che gli passa davanti, e confonde regolarmente le prospettive, annulla i limiti, elenca brutalmente. Così non è per il nostro autore.
Paolo Zerbinati sembra essere stato un travet dell'amministrazione pubblica cittadina. La sua attenzione costante, ripetuta, in un punto quasi ossessiva alla registrazione del prezzo del pane, quasi un bollettino commerciale (24 volte, se non ho contato male), me lo fanno immaginare molto vicino agli uffici dell'approvvigionamento alimentare. Tanto più che le variazioni dei prezzi sono spesso legate alla spiegazione delle cause, eventi naturali per lo più, ma anche fatti bellici, o congiunture particolari. Così da questa singolare specola Zerbinati guarda alle vicende di Ferrara. Se dai dati da lui forniti non si potrà prescindere da parte di chi ha interesse ai fatti economici, non meno dovrà tener conto delle minute annotazioni relative ai piccoli fatti di cronaca nera chi voglia porre attenzione alla vita cittadina. Perché lo Zambotti è proprio una gazzetta di Ferrara, che riferisce magari con l'enfasi del caso degli spettacoli in piazza e per la strada, delle serve impazzite, delle viti che sviluppano pampini a Natale e del vitello a due teste e degli incendi in città: insomma, per usare le parole della Muzzarelli, "i fatti di cui parlava la piazza". A questo proposito chi squalificasse totalmente il valore di questi ricordi, banalizzandoli come irrilevanti, si precluderebbe le possibilità di comprendere quello che un uomo medio della Ferrara a cavallo del 1500 riteneva rilevante. Così se non ci si deve attendere dallo Zerbinati acute interpretazioni della politica, né grande né piccola, ci si deve sforzare comunque di rovesciare le nostre più naturali inclinazioni a gerarchizzare l'importanza degli avvenimenti ed il ruolo delle persone e dei gruppi, cercando di vedere il più possibile quanto invece avveduto fosse, sotto quel particolare e limitato punto di vista, il giudizio e la sensibilità dell'autore. E' una indicazione di metodo che mi pare risulti chiaramente oltre una lettura superficiale della cronaca. Certo è avvilente per lo studioso di oggi constatare, ad esempio, che "la descrizione della situazione di miseria, per altro tutt'altro che inconsueta, appare partecipata e dolente; se essa contribuisce a rendere più vera la descrizione di quegli anni, difficili per la stragrande maggioranza delle persone e sotto molteplici aspetti, non presenta però alcun tratto di "denuncia sociale" che forse non è legittimo aspettarsi di trovare". Non era nelle corde dello Zerbinati occuparsi delle ragioni della politica, e tanto meno della politica sociale. Come neppure delle ragioni dello spirito. Tocca invece oggi allo studioso adoperarlo a questo fine.
In fondo si tratta di un sempliciotto, colpito dal funambolo, "cosa che mai più non fu fatta né veduta a Ferrara", da un terremoto, dal gelo del Po. La peste è naturalmente argomento privilegiato; le notizie relative alle guerre con i Veneziani e con il papa rimbalzano nei crocicchi e nelle osterie, e qualche volta toccano da vicino, sfiorando l'epopea. La cultura invece non interessa affatto allo Zerbinati - è importante tuttavia notare come ad un certo punto parli di Nicolò Panezato chiamandolo "humanista ferrarese", una delle prime attestazioni del termine, e da parte di un indotto! Lo interessa di più la menzione di tanti personaggi di più o meno alto grado sociale. Di rilevanza particolare le notizie su alcune vicende edilizie: il crollo della edificanda chiesa di San Francesco, la costruzione delle mura e del nuovo Santo Spirito: tutte note che suggeriscono prepotente la necessità di riscrivere il pur fortunatissimo libro di Bruno Zevi dedicato al Rossetti.
Il materiale offerto dunque allo studioso ed al curioso della storia cittadina è vario ed abbondante. A chi vorrà utilizzarlo è offerta ora facile occasione; di questo dobbiamo essere grati a Giuseppina Muzzarelli ed alla Deputazione di storia patria.